Eja, Eja, baccala!
di Carlo Galeotti
La stanza di Jac è proprio come una sua tavola: ci si trova di tutto. Allospite non lo dice per cortesia, ma lui deve portare a termine la sua tavola nei tempi e nei modi che ha stabilito. Lintervistatore gli impedisce di lavorare e lui, immerso nel fumo del suo sigaro e dietro gli occhiali neri, cerca, con gentilezza e allegria, di liquidarlo in men che non si dica. E allora per tornare a lavorare si sottopone alla perfida tortura e racconta la sua vita. «Il primo disegno lho fatto a sei anni. A Termoli nel molisano, dove sono nato il 9 marzo del 23 sotto il segno dei pesci, le strade erano sterrate. Per far passare i carretti venivano ricoperte in parte da grandi lastroni, uno in fila allaltro. I miei primi disegni li facevo col carboncino su queste lastre. Erano in qualche modo le mie prime strisce». Un inizio non facile. Ma come nasce Jacovitti? E poi questo nome... Ma è vero? Cosa ha inciso sul futuro disegnatore? Lei ha iniziato giovanissimo a lavorare per il prestigioso settimanale cattolico il Vittorioso. Intanto studiava al liceo artistico... La produzione di quel periodo oltre al Vittorioso? E poi? Jacovitti si ferma un attimo a pensare. Poi se ne esce con una riflessione sui suoi amici di sempre: inchiostro e carta. Lei è stato indicato come un disegnatore di destra, un fascista. Che rapporto ha con il fascismo? Suo padre era fascista. Ma un irrequieto come lei come poteva vivere tranquillo sotto il fascismo? E lei per il Movimento sociale ha lavorato. Che rapporto ha avuto con la Dc? Andreotti? Ma insomma lei è un disegnatore di destra? Da Linus fu sbattuto fuori, però. Come è morto il Diario Vitt, che ha rappresentato per intere generazione un appuntamento agognato? Lei ha lavorato anche con Playmen. Come vota Jacovitti? Di recente? Quali politici stima? Gli hobby di Jacovitti... Ha dei discepoli? Cè qualche parentela tra Jacovitti ei fiamminghi? Quale satira ama? Che rapporto ha con la morte? E Mussolini... Quale epitaffio sulla tomba di Jacovitti? Il personaggio che più ama? La donna più bella? Chi è Jacovitti?
Roma 2 -febbraio - 1995
I mega occhiali neri e il sigaro. Benito Franco Jacovitti, il più grande vignettista di questo fine secolo, si muove nella sua stanza un po preoccupato: «Devo consegnare sette tavole alla Mondadori entro un mese», borbotta, mentre, per pura cortesia con gli ospiti, mette da parte una tavola che dovrà diventare un puzzle. A oltre settantanni Jac lavora, lavora, lavora... Senza sosta. Proprio come quando, a sedici anni, aveva iniziato a collaborare col Vittorioso. «Disegnavo otto ore al giorno e allo stesso tempo andavo al liceo artistico a Firenze».
La collezione di armi da fuoco. «Una volta avevo armi vere, era una mia grande passione. Poi, per non avere noie, ho preferito questo tipo di armi: identiche a quelle vere ma che non possono sparare». Il microscopico tavolinetto dove il disegnatore lavora con le piccole bottigliette dinchiostro di china. I ritratti di Jac fatti da altri artisti. Un cartello giocoso: «Vietato cosare». Le corna di un alce. Un pupazzetto che riproduce il suo Pinocchio, con limmancabile salamino. I giornali dei club Jacovitti. Nella libreria i classici dellarte di Rizzoli. La sambuca Jacogusto. Pacchi dei sigari danesi Apostolado «Gli avana e i toscani sono troppo pesanti e costano di più. Fumo 4/5 sigari al giorno, quando non lavoro». E poi una infinità di ninnoli e oggettini che ricordano i personaggi inventati in cinquantanni di lavoro. In un mobile chiuso centinaia e centinaia di tavole: «Questa è una storia sugli indiani. I popoli delle diverse tribù parlano i dialetti italiani: napoletano, siciliano. Quelle invece sono una parte delle tremila tavole che hanno come protagonista Cocco Bill. Poi ci sono le storie di extraterrestri...». Mentre parla Jacovitti è sempre col pensiero al lavoro da terminare.
«Certo che è vero è di origine slava - albanese! Come mia madre Elvira. Fino a sei/sette anni parlavo albanese. Mio padre Michele faceva il ferroviere. Ho poi un fratello e una sorella. Ricordo un episodio per far capire come si viveva. Ero caduto in un braciere e mi ero bruciato le braccia. Ebbene fui curato da alcune donne, delle specie di fattucchiere, con la piscia mista a terra messa sulle scottature. E... guarii! A Termoli cera poi il problema dellacqua. Arrivava col treno. Un barilotto per lavarsi costava 20 centesimi. Molti bambini morivano perché si utilizzava questacqua che doveva servire per lavarsi e costava di meno. Morì anche un mio fratellino appena nato. Proprio per questi problemi ci trasferimmo, avevo otto anni, a Ortona a mare. A undici anni ci trasferimmo a Firenze dove ho frequentato il liceo artistico. E li che mi hanno affibbiato il nomignoli lisca di pesce per la mia altezza e per la magrezza»
«Mio padre faceva anche loperatore in una sala di proiezione cinematografica. Questo mi ha dato la possibilità di vedere centinaia di film. Erano i film western quelli che preferivo. Come ricordavo, disegnavo su queste grandi lastre i film che vedevo. Mio padre era povero e non poteva comprarmi i giocattoli. Io ero molto creativo, si direbbe oggi. Mi costruivo da solo i giocattoli. Con le forbici, lago e il filo costruivo dei pupazzi di stoffa. Facevo i trenini, le casette, le automobiline. Disegnavo poi dei veri e propri albi. I primi disegni erano dei panorami poi sono passato al disegno umoristico. Dopo aver fatto la prima e seconda commerciale a Macerata, consigliarono a mio padre di portarmi in una città d'arte: Urbino o Firenze. Mio Padre optò poi per Firenze».
Quali erano i fumetti che leggeva il piccolo Jacovitti?
«Braccio di Ferro di Segar e soprattutto Lil Abner di Al Capp».
«Ero a Firenze ed uno dei miei disegni fu visto da uno dellAzione cattolica, del Vittorioso. Era la fine del 39 e mi fu chiesta una storia. Feci una striscia con Pippo, Pertica e Palla».
«Avevo sedici anni e studiavo. Per disegnare le strisce mi alzavo alle quattro del mattino. Nel 43 ho finito lartistico, e mi sono iscritto ad architettura. Il fascismo era caduto, i tedeschi a noi universitari ci portarono al Nord. Sono stato per oltre un mese in una caserma, indossavamo delle divise tedesche e facevamo lavori di pulizia. Una volta sono caduto da un camion che mi trasportava e mi sono rotto un polso. Un prete, quando ha saputo il mio nome, mi ha aiutato, mi ha dato dei vestiti da civile. Da vicino Udine, dove ero, sono scappato a Firenze dove sono stato nascosto per 4/5 mesi, fino alla Liberazione».
«Va ricordato nel 43 lillustrazione di Pinocchio per La Scuola editrice di Brescia. Unopera che è stata ristampata per una ventina danni. Nel 55 ho iniziato a lavorare per la pubblicità. Cè stata anche una collaborazione col Travaso delle idee ».
«Nel 46 ho lasciato Firenze e andai a Roma. Nel 55 ho iniziato una collaborare con il Giorno. Lì è nato Cocco Bill. Facevo un supplemento che usciva il giovedì: Il Giorno dei ragazzi. Il giovedì il Giorno vendeva dalle 40 alle 50 mila copie in più. Linserto è uscito fino al 67. Dal 67 al 72 sono stato alla Rizzoli. Lavoravo per Linus, Oggi, LEuropeo, La Domenica del Corriere. Lavoravo, come mia abitudine, otto/nove ore al giorno. Da solo, senza aiutanti. Mi davano uno stipendio fisso da pubblicista e le tavole erano pagate a parte. Le tavole alle fine ritornavano a me. Ne ho un archivio di circa duemila. Molte di quelle del Vittorioso però sono andate perse durante la guerra. Una parte sono state andate alla Mondadori».
«E un vero peccato i pennini e linchiostro di china non sono più buoni come quelli di una volta. Linchiostro è più chiaro - dice rammaricato, indicando le boccette che ha sul tavolo - . Anche la carta non è quella di una volta. Fa schizzare linchiostro. Per questo i disegni mi tocca ripassarli più volte. Vede, è tutto lavoro in più».
Come andò a Roma?
«Mi sono sposato nel 49 con Floriana Jodice, poi ho avuto una figlia: Silvia. Appena arrivato lavoravo con personaggi come Marchesi, Metz, Fellini, Mosca, Steno facevamo i ritratti, le caricature degli americani. Erano quelli del Bertoldo e del MarcAurelio. Collaborai con Age e Scarpelli che lavorava al Don Basilio. I giornali di satira nascevano e morivano subito».
«Mio padre era fascista ma non aderì alla repubblica di Salò. E poi va ricordato un episodio: nel periodo delle persecuzioni razziali, avvertì alcune famiglie ebree e che scapparono e si salvarono. Per quanto mi riguarda, nel periodo in cui vissi nascosto a Firenze feci due strisce satiriche proprio sul fascismo. Protagonista era Battista lingenuo fascista. Divenne famosa la battuta: Eja, Eja, baccala!. E poi creai una storia: Ahi Flitt . I personaggi si salutavano non con il saluto romano ma con le corna. Era una satira sul nazismo. Erano una trentina di tavole pubblicate nel 44 in una rivista di studenti cattolici. Questo prima che arrivasse il famoso film di Charlot. Io lho detto più di una volta: sono un liberale, un estremista di centro, un anarcoide».
«Beh, qualche episodio stranino cè stato. A sette anni avevo disegnato il trasvolatore Italo Balbo, un vero eroe di quei tempi, con al posto dei fasci, nelle mostrine della divisa, due falci e martello. Mio padre, che non sera accorto del pasticcio, portò alla casa del fascio il disegno. Certamente non fu ben accolto. Ma quella volta non ci furono conseguenze. Nel 42, avevo 19 anni, lavoravo al Vittorioso e proprio per non rimanere indietro col lavoro ho saltato qualche adunata del sabato fascista. Insieme ad altri, i fascisti ci portarono in una stanza e ci picchiarono di santa ragione. Mio padre protestò alla casa del fascio. Alla fine della guerra mio padre tornò comunque al Msi».
«Michelini, segretario missino dallora, mi chiese un disegno per la campagna elettorale. Lo feci ma non mi sono fatto pagare. Dalla Dc invece mi sono fatto pagare molto perché i soldi loro li avevano. Già fregavano. Ai radicali poi ho dato i miei disegni per la raccolta di fondi».
«Come ricordavo, ho lavorato a lungo col Vittorioso, che non era la Dc ma insomma. A Roma ho conosciuto Alcide De Gasperi. E naturalmente ho incontrato Andreotti».
«Andreotti è senza dubbio un grande furbacchione, ma mafioso proprio no. Tra i democristiani il più onesto mi è sembrato sempre Fanfani».
«Mi piacciono Fini e Berlusconi. Ma va ricordato che ho lavorato, sempre gratuitamente, per giornali come il Male, Cuore e Tango».
«Anche questo non è vero, me ne sono andato io. Era la metà degli anni Settanta, ed io sfottevo sia la destra che la sinistra. Del Buono mi disse di non sfottere la sinistra. Il clima non era adatto. Io tolsi sia le sfottiture della destra che della sinistra. Ma poi me ne andai. Due anni dopo mi richiamarono. Tornai con le avventure di Gionni Peppe. Mi arrivarono, questa volta, perfino delle telefonate minatorie. Sfottevo il movimento studentesco: Raglia, raglia giovane itaglia, era una delle battute che fece imbestialire più di un lettore».
«Il Diario Vitt non è affatto morto. Il problema è diverso. Fino al 60 eravamo gli unici a fare un diario per le scuole con la Ave, una casa editrice cattolica. E quindi eravamo visibili. Si tiravano qualcosa come tre milioni di copie. Poi arrivarono gli altri diari. In ogni caso il diario ha continuato ad essere pubblicato. Per dieci anni sè chiamato Diario Jacovitti, ma dal 92 la Pigna ha comprato i diritti di testata dalla Ave ed è tornato il Diario Vitt».
«Si mi chiesero una serie di tavole erotiche dall80 all82. Poi mi sono stufato. Di recente ho ripreso il filone erotico. Con Stampa alternativa di Marcello Baraghini ho pubblicato il Kamasutra spaziale».
«Nei primi anni del dopo guerra ho votato Dc, poi sempre liberale».
«Ho votato per Berlusconi, mi dispiace che sia andato a finire male. Bossi non lo posso vedere. DAlema invece mi va bene perché non è più comunista».
«Mah... Di Vittorio, De Gasperi, Fanfani, Nilde Jotti, Napolitano, Fini. Come persone e non per le idee politiche: Almirante e Michelini. Parlavano chiaro. Moro invece mi sembrava unanguilla, anche se mi è dispiaciuto della sua morte».
«Amo la musica anni Trenta. Il jazz. Una volta avevo in casa anche una batteria completa. Poi colleziono armi. Mi piacciono soprattutto i fucili Winchester, avevo una collezione. Avevo anche le pistole del Far West. Ma tre anni fa rischiai larresto perché non avevo fatto una denuncia. E mi sequestrarono tutto. Avevo anche un cinturone da cow boy».
«Sì un ragazzo di venti anni che mi sembra sia proprio bravo. E figlio di un immigrato dalla Russia e vive in Puglia. Si chiama: Nedeljko Balaica»
«Qualche rapporto cè. Come nei pittori fiamminghi, e in special modo Bruegel, cè il brulichio della vita che si ritrova nelle mie tavole. E poi qua e là spunta lassurdo: il diavolo, il deforme».
«Non amo la satira che fa sghignazzare. Amo lumorismo che fa ridere, e deve far ridere tutti. Non mi piacciono le vignette fatte di scarabocchi che basano tutto sulla battuta. Come quelle di Elle Kappa, Chiappori, Altan. Posso apprezzare le battute di Altan, ma il disegno non esiste. Io preferisco valorizzare sia il disegno che la battuta. Ho inventato anche delle espressioni similonomatopeiche diverse da quelle delle strisce americane: gulp, sob, sdeng. Per uno schiaffone io metto: Schiaffffon. Oppure: Cazzotttton. Con le iniziali grandi».
«Prima avevo paura, ora non più. Tocca a tutti. Mi fa sorridere il fatto che debbano morire anche quelli che hanno molti miliardi. Io non voglio soffrire, spero di andare a letto la sera e di svegliarmi morto la mattina. Sono contro la pena di morte. Ma vorrei che la pena di morte ci fosse per chi uccide i bambini in Bosnia, in Ruanda. Hitler e Stalin vanno condannati a morte».
«Lho conosciuto. E venuto a battere il grano nel mio paese. A sei anni gli scrissi una lettera. Caro duce io mi chiamo come te. Quando tu morirai - gli dissi - io prenderò il tuo posto. Mi rispose: Stai tranquillo, io vivrò a lungo . Poveretto ha fatto una brutta fine».
«Fui, sono e sarò un clown. Continuerò a disegnare nellaldilà. Ho paura del nulla. Quando cominci a capire che di là non cè nulla, inizia la paura. Quando cominci a entrare nel nulla...Questo mi fa paura. Lumanità è un corpo unico. Io vivo come parte di questa umanità totale. Vivo nel presente, lunica cosa che esiste. Nello spazio ogni punto è il centro. Nel tempo qualunque momento è il presente, è infinito. Mi piace leggere cose sul microcosmo e sul macrocosmo».
«Charlot».
«Sembra strano ma... Barbra Streisand».
«Io sono un clown, un pagliaccio. Sono orgoglioso di essere un pagliaccio. Sono un matto».
Roma 2 -febbraio - 1995 - www.tusciaweb.it