L'incontro di Giovanni Paolo II con i giovani viterbesi Quella sera che salutammo il Papa in polacco di Gianluca Zappa
Viterbo 3 aprile 2005 - ore 0,10 - Abbiamo chiesto a Gianluca Zappa, giornalista, esponente di Comunione e liberazione, cattolico impegnato da sempre una testimonianza dei suoi incontri con Giovanni Paolo II.
Quella sera del 27 maggio 1984 in piazza del Comune a Viterbo, io ero proprio sotto il balcone dal quale Giovanni Paolo II si affacciò per salutare tutti i giovani lì convenuti. Avevamo cantato per più di un'ora, anche sotto la pioggia, nell'attesa che il grande ospite si facesse vedere.
Ricordo che con tutto l'entusiasmo dei miei vent'anni ero salito su una transenna perché tutti mi potessero vedere e, in precario equilibrio, sorretto dalle mani degli amici, avevo diretto i canti.
Avevo già imparato i canti polacchi di benvenuto (Sto lat e Oto iest gen? li scrivo come si pronunciano) e li avevo a mia volta insegnati a tutti, in modo che il Papa si sentisse salutare nella sua lingua. Fu una grandissima festa.
Poi, arrivato il Papa, ebbi l'onore di leggere a nome di tutti i giovani
di Viterbo il discorso di saluto, che avevo scritto col cuore. Terminava così: Noi siamo di Cristo e della Chiesa. Noi siamo suoi, Santo Padre!.
Applausi generali. E Giovanni Paolo II, una volta che la piazza si fu calmata, disse una frase che non dimenticherò mai: Come avrei voluto abbracciare questo vostro rappresentante! Come avrei voluto abbracciare tutti voi!.
E sono sicuro che, se non ci fossero stati quei quattro o cinque metri di dislivello e la balaustra del balcone, il Papa mi avrebbe abbracciato davvero.
Avesse potuto, sarebbe saltato, volato giù immediatamente, perché il suo entusiasmo è stato sempre grande e vero, come l'entusiasmo di un bambino.
Se penso a Giovanni Paolo II penso immediatamente a un padre. E immediatamente mi ricordo delle lacrime di commozione che hanno segnato ogni mio incontro con lui.
L'ho incontrato parecchie volte. Per esempio cinque anni dopo quella sera a Viterbo. Allora ero a Roma per il servizio di leva, ancora (per delle fortunate circostanze o per un misterioso disegno) impegnato nell'accoglienza della sua visita, ancora a dirigere canti, a far cantare centinaia di giovani o il coro di una parrocchia o, più semplicemente, i bambini del catechismo.
Sono stato fianco a fianco con il Papa, in un modo semplice e umanissimo.
Un padre, un punto di riferimento. Non un mito, no, perché i miti rimandano a se stessi, mentre era chiaro che quell'uomo vestito di bianco rimandava a Cristo. Quell'uomo guardava più in alto, o più in profondità, dentro il Mistero che ci ha fatti. Tutto il problema del cristianesimo, in fin dei conti, non è quello di capire, di convincersi, di sforzarsi di credere.
E' solo quello di ricevere la grazia dell'incontro con Cristo. Di sperimentare un fatto, di percepire, di riconoscere la Sua presenza qui, ora. Ed è proprio in questo che mi hanno aiutato gli incontri con il Papa, in quegli anni molto delicati in cui si matura, si giudica, si passa al vaglio quello che la famiglia ti ha trasnmesso per tradizione. E si fanno scelte che pesano.
Al suo cospetto percepivo la grandezza e la tenerezza di Dio. Di più: sentivo la grandezza della Chiesa e la bellezza di esserne parte. Le celebrazioni della domenica delle palme in piazza San Pietro; quelle feste di compleanno private dentro il Vaticano (lui avrebbe voluto vederci più spesso, avrebbe voluto un complemese), noi di Comunione e Liberazione e lui a cantare con noi; l'incontro con i giovani allo stadio olimpico... ti sentivi dentro un respiro grande e in lui, che passava e salutava, vedevo Cristo.
E ho visto Cristo anche in questa sua ultima, dolorosa prova. In quel suo penoso grido muto di pochi giorni fa. Un gigante che vorrebbe parlare con la sua voce tuonante, imprigionato in un corpo stanco e debilitato.
I suoi occhi sono diventati stanchi. La sua voce non l'abbiamo più percepita.
Quegli occhi si chiudono davanti a un mondo che non appare intenzionato a diventare migliore. Quella voce pare essersi arresa di fronte all'ostinazione di un mondo che non l'ha mai ascoltata fino in fondo, quando reclamava la pace, il rispetto totale della vita umana, il sacrificio dell'amore.
Pare una resa, ma non è così. Quell'uomo in bianco se ne va da gigante, come da gigante ha vissuto. Le parole chiare e definitive sono state dette.
La Via, l'unica possibile, è stata nuovamente indicata alle nostre coscienze.
Fin dalla prima Enciclica, nella quale riposizionava Cristo al centro del cosmo e della storia. Ha fatto di tutto, ha viaggiato ovunque, ha incontrato tutti, a tutti ha chiesto scusa. Si è umiliato davanti ai potenti, si è chinato davanti ai poveri. Ha perdonato chi gli aveva sparato, ha dialogato con tutti, pur senza mai rinnegare la fedeltà ad una missione e ad un messaggio molto più grande di lui.
E noi siamo stati testimoni di tutto questo. Noi che non potremo dimenticare.
La grande sentinella della nostra cittadella sta per andare a godere il riposo accanto al Re.
Grazie, Santo Padre!