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Audizione dei sostituti procuratori della Repubblica presso il tribunale di Viterbo, Franco Pacifici e Stefano D'Arma davanti alla Commissione d'inchiesta sul ciclo dei rifiuti
PRESIDENTE (Massimo Scalia). L'ordine del giorno reca l'audizione del dottor Franco Pacifici e del dottor Stefano D'arma, sostituti procuratori della Repubblica presso il tribunale di Viterbo, in merito agli aspetti inerenti ai profili di competenza della Commissione connessi all'attività del loro ufficio; in particolare, la Commissione è interessata ad acquisire elementi informativi e valutazioni in ordine al procedimento avente ad oggetto le ipotesi di reato del traffico illecito di rifiuti speciali pericolosi e della gestione dei fanghi illecitamente smaltiti presso le aree della provincia di Viterbo.
Nel rivolgere un saluto ed un ringraziamento per la disponibilità manifestata, darei la parola al dottor Franco Pacifici, quindi al dottor Stefano D'arma, riservando eventuali domande dei colleghi della Commissione al termine dei loro interventi.
FRANCO PACIFICI, Sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Viterbo. Il procedimento che ha portato all'adozione di alcune misure cautelari trae origine da una situazione verificata dal NOE nella zona di Viterbo. Sono stati, in particolare, individuati tre siti di ripristino ambientale nei quali venivano smaltiti materiali che non corrispondevano, secondo le analisi compiute, ai parametri previsti per lo smaltimento. Quindi, sono state attivate indagini anche di natura tecnica al fine di stabilire le provenienze di tali rifiuti, i collegamenti personali tra i soggetti interessati e quanto potesse risultare necessario ai fini delle indagini in corso.
L'esito delle indagini compiute fino a questo momento ha evidenziato un fenomeno dalla dimensione ultraprovinciale, in quanto i cosiddetti produttori di rifiuti sono sicuramente collocabili in zone diverse da quella del viterbese; anche per questo abbiamo potuto usufruire delle indagini del NOE che, agendo a livello nazionale, aveva, sicuramente più di noi, il controllo della situazione, in relazione alle indagini che erano state eseguite e che erano in corso su delega di altre procure della Repubblica.
Questo è il punto saliente della tematica in oggetto - anche ai fini dei lavori della Commissione -, in quanto, presumibilmente, l'intervento di un organo di polizia che avesse avuto valenza soltanto in ambito provinciale o regionale, del Lazio, sicuramente non avrebbe consentito di sviluppare le indagini in campo nazionale che hanno poi evidenziato determinate fattispecie di reato, così come accertato non solo dalla procura, con la richiesta di misure cautelari, ma anche dal GIP e dal tribunale del riesame, che ha confermato tutti i provvedimenti cautelari adottati. Accanto alle misure cautelari personali, sono state disposte dal GIP, su richiesta della procura, anche misure cautelari reali in riferimento ai siti presso i quali sono stati smaltiti questi rifiuti.
A livello nazionale, sono stati registrati alcuni collegamenti nelle zone della Campania, del napoletano, del Veneto, della Lombardia, del Piemonte e della Toscana, relativi a procedimenti riguardanti anche altre procure della Repubblica; ovviamente, al fine della valutazione dell'ambito di applicazione dell'articolo 53-bis del decreto legislativo n. 22 del 1997, vi sono stati dei contatti, alcuni formalizzati, con le altre procure della Repubblica.
Per quanto riguarda l'aspetto ambientale, le analisi (la procura della Repubblica ha dato incarico ad un consulente di verificare, in modo specifico, la situazione ambientale esistente nei tre siti oggetto delle indagini) sono ancora in corso ed i lavori termineranno in data da accertare. Secondo certi elementi di valutazione posti all'attenzione dei pubblici ministeri, sono stati identificati alcuni aspetti sicuramente non in regola per quanto riguarda sia il terreno sia i corsi d'acqua ed i pozzi.
Per uno di questi siti, il sindaco del comune di riferimento ha adottato, come autorità sanitaria locale, un provvedimento cautelativo di divieto di utilizzo delle acque a fini potabili. Si tratta di un aspetto oggettivo che dovrà essere verificato; in particolare, il consulente dei pubblici ministeri dovrà valutare l'attinenza ed il nesso causale tra la situazione irregolare dei ripristini ambientali e la situazione di inquinamento delle acque, nonché le eventuali responsabilità, ove ve ne siano.
Vi è inoltre da chiedersi come mai nella provincia di Viterbo - che, tutto sommato, dal punto di vista quantitativo, è sicuramente più circoscritta rispetto ad altre zone d'Italia - siano stati utilizzati dei centri di ripristino ambientale per la riconduzione di rifiuti che, per tipologia e qualità, non dovevano essere smaltiti in quei siti. Occorre sottolineare al riguardo l'inefficienza degli organi di vigilanza e di controllo (è un dato oggettivo). Ovviamente, sarebbe prematuro esporre in questa sede altri aspetti attinenti alla questione che saranno oggetto di specifica indagine da parte della procura della Repubblica. Occorre, a mio avviso, sottolineare in questa sede l'inefficienza di tali organi; ove i controlli e la vigilanza fossero stati efficienti, il lasso di tempo entro il quale poteva essere svolta un'attività illecita sicuramente sarebbe stato molto più modesto, rispetto, invece, a quello accertato dalla procura della Repubblica.
Per quanto riguarda, più in particolare, tali smaltimenti, la tecnica più usata è quella del cosiddetto giro-bolla (sicuramente, la conoscete molto meglio di noi).
Vorrei, inoltre, sottolineare che l'attività svolta da un tecnico di laboratorio è stata ricondotta nell'ambito di applicazione dell'articolo 53-bis, così come ritenuto dal GIP, in quanto le analisi che sono state eseguite per legge da colui che, in particolare, avrebbe dovuto ricevere tali rifiuti sono risultate solo in apparenza regolari; in realtà, non erano assolutamente tali, ma erano di gran lunga al di fuori dei parametri legislativi.
Se può essere utile all'attività della Commissione, osservo che si è detto che tali soggetti hanno partecipato ad attività illecita di cui all'articolo 53-bis, ma che, come reato autonomo, rispondono ai sensi dell'articolo 481 del codice penale (se non vado errato, è prevista la pena fino a due anni di reclusione). È un reato che è considerato dal codice penale come minimale rispetto ad altre ipotesi di reato; invece, nella realtà dei fatti (la Commissione potrà prendere spunto da questa considerazione, peraltro, ovvia), il lavoro dell'analista potrebbe essere valutato non tanto nell'ambito di un incarico di servizio di pubblica necessità, quanto sotto altri punti di vista, considerato l'aspetto sociale e pubblico che tali soggetti esplicano, le responsabilità che si assumono nei confronti della propria professione, degli organi di controllo e della società ed i danni che possono derivare dallo svolgimento di attività illecita da parte di questi soggetti, responsabilità che - ribadisco - possono sicuramente rientrare nell'ambito dell'articolo 53-bis (ove non vi siano elementi di partecipazione ai sensi di tale articolo, risponderebbero semplicemente di un reato che il nostro legislatore considera attualmente come minimale).
STEFANO D'ARMA, Sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Viterbo. Vorrei ricordare velocemente le contestazioni che abbiamo ritenuto di muovere nella richiesta di custodia cautelare al GIP (che le ha in gran parte accolte) e che sono state confermate dal tribunale del riesame di Roma, chiamato a pronunciarsi in ordine a determinate questioni.
Vorrei descrivere i capi di imputazione provvisori che abbiamo contestato e le tipologie dei rifiuti impropriamente conferiti in questi centri di ripristino ambientale, in violazione delle tabelle di cui all'allegato III del decreto ministeriale 5 febbraio del 1998.
Vorrei ricordare che l'ordinanza di custodia cautelare emessa dal GIP il 18 aprile del 2005 ha riguardato alcune categorie di persone, precisando che non abbiamo proceduto contro i produttori, perché alcuni di essi sono stati raggiunti da ulteriori provvedimenti emessi in altri procedimenti penali presso altre procure della Repubblica (mi riferisco, in particolare, a quella di Venezia); inoltre (è un dato importante), non disponevamo di elementi tali da consentirci di dire chi fossero i gestori effettivi delle aziende che si liberavano dei rifiuti in modo illegittimo, improprio ed irregolare.
Pertanto, in questa fase ci siamo astenuti dall'approfondire (lo faremo successivamente) la tematica in questione.
Siamo, invece, partiti dagli intermediari, vale a dire coloro che hanno curato l'intermediazione di questi conferimenti (in particolare, per lungo tempo sono state condotte intercettazioni telefoniche ambientali), per passare poi ai trasportatori che hanno trasportato materialmente i rifiuti, su incarico degli intermediari, agli analisti, come rilevato dal collega Pacifici, che hanno elaborato analisi ideologicamente false, nonché ai gestori dei tre siti di Vetralla, Castel Sant'Elia e Capranica, in cui sono stati smaltiti i rifiuti.
I rifiuti presentavano dei valori fuori regola rispetto ai limiti previsti dalla tabella di cui all'allegato III del decreto ministeriale 5 febbraio del 1998. Una categoria molto significativa dei medesimi è rappresentata dai fanghi di cartiera (fenomeno molto esteso sul campo nazionale). Molte cartiere conferiscono i residui di lavorazione (i fanghi di cartiera) in centri di ripristino ambientale. Secondo i tecnici, i fanghi di cartiera presentano tutti, salvo poche eccezioni, valori di COD molto alti ed al di fuori dei parametri previsti nella tabella, ai sensi dell'allegato III. Ciò comporta la necessità di verificare se in altri centri di ripristino ambientale del viterbese siano pervenuti altri fanghi di cartiera, perché è quasi scontato che i suddetti presentino un valore di COD non regolare.
Il COD è un parametro molto importante, molto spesso sottovalutato, che comporta una ricaduta ambientale abbastanza forte, perché causa fenomeni di fermentazione; le sostanze organiche presenti non vengono ossidate adeguatamente dall'ambiente circostante e, pertanto, vengono veicolate nelle acque, provocando fenomeni di inquinamento anche nelle falde acquifere.
Complessivamente, nel corso dell'ultimo anno o poco più nei tre siti di cui ci occupiamo sono pervenuti circa 35 milioni di chili di fanghi di cartiera che presentavano un valore di COD alle stelle rispetto al limite molto basso previsto dal decreto ministeriale. I fanghi di cartiera provenivano dalla Burgo Spa di Duino, dalla cartiera Reno De Medici Spa di Magenta e dalla Lucchese Spa. In taluni casi, oltre al COD, questi fanghi di cartiera presentavano un valore del nichel alto rispetto al limite di legge. In particolare, il limite previsto per il COD si aggira intorno ai 90, mentre i fanghi oggetto dell'indagine raggiungevano un valore di 911 (un valore dieci volte più alto rispetto al limite previsto dalla legge).
Sono state compiute alcune analisi al riguardo che, tuttavia, si sono dimostrate false, perché attestavano un valore del COD nei limiti di legge; ma ciò non era corrispondente alla realtà, come evidenziato dalle analisi dell'ARPA, confermate poi dalle nostre analisi tecniche. Inoltre, nel corso di alcuni interrogatori, taluni indagati hanno anche ammesso di essere a conoscenza del fatto che il valore di COD fosse alle stelle e di aver chiesto al chimico, mettendosi d'accordo con lo stesso, di ridurne il valore nelle analisi.
Una seconda categoria forse più grave rispetto a quella dei fanghi di cartiera è rappresentata da alcune ceneri pesanti derivanti dall'incenerimento delle biomasse; si tratta di ceneri pesanti diverse da quelle rientranti nella voce 190, 112 CER, cui fanno capo i fanghi, gli unici, che possono essere conferiti in centri di ripristino ambientale. I nostri fanghi, invece, provenivano da un'azienda, la C&C del Veneto, che riceveva ceneri prodotte da impianti di termovalorizzatori di rifiuti solidi urbani e sanitari. Questa azienda dovrebbe lavorare questo tipo di ceneri per trasformarli in cemento. Essendo un cementificio, rientra nella categoria R5.
Si è occupata del caso la procura di Venezia con un'indagine anche molto importante. Questi fanghi non venivano assolutamente trattati con il meccanismo del cosiddetto giro-bolla per la produzione di cemento. Venivano considerati come se fossero cemento, ma, in realtà, si trattava dei soliti fanghi che venivano ulteriormente smistati, passando dalla categoria R5 (cementificio) a R10 (centro di ripristino ambientale). Pervenivano poi nei tre siti del viterbese con le stesse caratteristiche con cui giungevano all'azienda C&C, vale a dire con la qualità di fanghi provenienti da rifiuti solidi urbani bruciati e, addirittura, di fanghi sanitari. Sono arrivati circa 11 milioni di chili in due dei tre siti di cui ci occupiamo.
Abbiamo constatato anche l'arrivo di circa 4.000 tonnellate di ceneri pesanti da acciaieria (acciaierie Bas Power e Vesta Srl), con un meccanismo identico a quello rilevato precedentemente. Venivano fatti veicolare fittiziamente presso i centri di trattamento, ma il trattamento non si realizzava e, successivamente, venivano inviati tal quali nel viterbese, con un cambio semplicemente nominalistico di CER e con analisi di accompagnamento false.
Questo è un fenomeno interessante - forse, il più interessante dal punto di vista tecnico - ed è collegato con l'oggetto dell'indagine napoletana cui ha accennato il collega Pacifici, cioè il procedimento n. 55125 del 2002 di Napoli. I fatti risalgono al 2003: il consorzio Milano Pulita produceva ed inviava rifiuti urbani non compostati in alcuni centri di stoccaggio affinché fossero trattati e, teoricamente, attraverso due passaggi consecutivi, trasformati in ammendante. L'ammendante è una materia prima che, in quanto tale, ha anche un valore economico e che può essere lecitamente conferita nei centri di ripristino ambientale.
Tuttavia, sia il NOE sia i tecnici ci hanno confermato che al fine di trasformare questi rifiuti provenienti dal consorzio Milano Pulita in ammendante sarebbero stati necessari lunghi trattamenti, di circa 90 giorni; invece, tutto avveniva in circa 30 minuti. Nella stessa giornata, infatti, questi rifiuti partivano da Milano, arrivavano nei centri di stoccaggio, dove subivano un trattamento di circa mezz'ora, e ne uscivano con il codice e con la qualificazione di ammendante, senza ricevere, in pratica, alcun trattamento, poiché tutto era fittizio. Nel 2003, nel viterbese sono arrivati oltre un milione di chilogrammi di questo tipo di rifiuti.
PRESIDENTE. In tutto questo, che cosa c'entra la procura della Repubblica di Napoli?
STEFANO D'ARMA, Sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Viterbo. La procura della Repubblica di Napoli ha proceduto nei confronti dei centri di stoccaggio. L'ipotesi era che i produttori non sapessero. In effetti, non abbiamo elementi per affermare che i responsabili del consorzio Milano Pulita fossero a conoscenza dell'esito successivo.
FRANCO PACIFICI, Sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Viterbo. Sicuramente l'inquinamento è stato prodotto con i rifiuti provenienti dal consorzio Milano Pulita ma, come osservava giustamente il collega D'Arma, non disponiamo di elementi sufficienti - e non credo ve ne siano presso altre procure della Repubblica o, almeno, non ne siamo a conoscenza - per provare la responsabilità di quest'ultimo; si è verificato attraverso altri meccanismi che, successivamente, sono stati accertati.
STEFANO D'ARMA, Sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Viterbo. L'ipotesi era che il consorzio Milano Pulita pagasse bene gli intermediari per smaltire correttamente questi rifiuti. Poi, almeno a quanto ci risulta, gli intermediari operavano diversamente.
PRESIDENTE. Perché è intervenuta la procura della Repubblica di Napoli?
STEFANO D'ARMA, Sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Viterbo. Perché i centri di stoccaggio in cui avvenivano queste apparenti e fittizie operazioni di trattamento e, comunque, presso i quali i camion arrivavano, prima di ripartire per Viterbo, si trovavano nel napoletano e, quindi, la competenza è della procura della Repubblica di Napoli.
PRESIDENTE. Quindi, da Milano giungevano a Napoli, dove erano trattati, e poi erano trasportati a Viterbo?
STEFANO D'ARMA, Sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Viterbo. Esattamente. Questi rifiuti stazionavano per circa mezz'ora a Napoli, per poi essere trasportati a Viterbo.
Inoltre, ci siamo occupati di altre tre categorie di rifiuti. Una è molto simile a quella di cui abbiamo detto, con la differenza che il prodotto finale, anziché come ammendante, era qualificato come terricciato. Si è trattato, sempre nel 2003, di circa 5 milioni di chilogrammi.
Più recentemente, invece, abbiamo individuato una categoria di rifiuti da bonifica contaminati da PCB che sono arrivati, in particolare, nel centro di ripristino ambientale di Castel Sant'Elia, per un quantitativo di 3 milioni 600 mila chilogrammi. In questo caso c'è stato un problema ulteriore. Il centro di Castel Sant'Elia in parte è di ripristino ambientale e in parte è classificato come D1, vale a dire come discarica. Questi rifiuti PCB erano stati distribuiti a metà tra la discarica e il centro di ripristino ambientale, in modo tale da realizzare con essi una sorta di muro o di cordolo di divisione tra le due parti. Ovviamente, come rilevato dalla stessa provincia, questa soluzione non era possibile perché la legge prevede - come sapete molto bene - che la parte destinata a ripristino ambientale non possa essere a contatto con la discarica. Quindi, tra discarica e ripristino serviva una separazione da realizzarsi con inerti, mentre era stata realizzata con rifiuti inquinati, provenienti da bonifica.
FRANCO PACIFICI, Sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Viterbo. Questa circostanza è stata rilevata dalla stessa provincia, chiamata dal NOE per un sopralluogo congiunto nell'ultima fase dell'indagine, in cui erano in corso di svolgimento le indagini tecniche da parte della procura.
STEFANO D'ARMA, Sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Viterbo. Stiamo approfondendo quali conseguenze tutto questo abbia comportato a valle, cioè nei tre siti. Il consulente tecnico, provvisoriamente, ha effettuato alcune analisi sullo strato più superficiale di questi siti, riscontrando effetti abbastanza gravi, secondo quanto ci ha riferito. Analizzando le acque che percolano dalla superficie e sono destinate a penetrare nelle falde acquifere e nel terreno, ha rilevato, in tutti e tre i siti, altissimi valori di piombo, zinco, alluminio, ferro, cadmio e rame, di molto superiori rispetto ai limiti previsti sia dal decreto legislativo n. 152 del 1999 sulle acque, sia dal decreto ministeriale n. 471 del 1999, relativo alle acque sotterranee. Perciò, si tratta di valori molto alti e molto preoccupanti.
Inoltre, si sono verificati vistosissimi fenomeni di fermentazione; in altri termini, le acque fermentavano ed emanavano cattivo odore. Questa circostanza è molto importante, soprattutto in ordine all'elemento soggettivo, perché molti tra gli indagati si difendono sostenendo che, certamente, la situazione dei rifiuti non era regolare ma che essi non lo sapevano, non potevano saperlo e, quindi, non c'è dolo.
Dal momento che l'articolo 53-bis prevede un reato doloso, essi si difendono in ordine all'elemento soggettivo, sostenendo che non erano a conoscenza del fatto che i rifiuti non erano regolari, che c'erano analisi di accompagnamento che attestavano la loro regolarità e così via. Uno degli elementi di cui disponiamo, oltre alle intercettazioni e ad alcune confessioni, è che essi osservavano questi fenomeni di fermentazione perché si recavano ogni giorno in quei siti. Questi fenomeni, infatti, non dovrebbero verificarsi nei centri di ripristino ambientale, nei quali dovrebbero confluire soltanto materiali inerti che non danno luogo a fermentazione.
PRESIDENTE. Do ora la parola ai colleghi che desiderano intervenire.
TOMMASO SODANO. La relazione è molto ricca e ci fornisce alcuni elementi di riflessione, soprattutto per quanto riguarda le ceneri degli inceneritori. Spesso, infatti, ci domandiamo che fine debbano fare e mi sembra che in questo caso fosse stato trovato un sistema di smaltimento molto efficace (Commenti del deputato Piglionica). Vorrei sapere - se lo ritenete opportuno, possiamo secretare le risposte - dove sono avvenuti questi episodi, in quali cementifici sono state trasferite le ceneri, in quali centri di compostaggio è stato effettuato il trattamento molto rapido che ci avete descritto e, infine, in quale comune si è verificato l'inquinamento della falda profonda con il conseguente divieto di emungimento dell'acqua dai pozzi.
DONATO PIGLIONICA. Chiedo scusa, ma ho le idee un po' confuse. Ci stiamo occupando della vicenda di Magliano Sabina oppure si tratta di altra vicenda? Rivolgo questa domanda dal momento che i fatti si sono verificati al confine tra i due territori. Chi aveva concesso le autorizzazioni a questi centri? Si è trattato di procedure - come si dice - semplificate? Erano mai stati effettuati sopralluoghi da parte degli uffici provinciali che avrebbero dovuto vigilare, credo, sul reale esercizio di quelle funzioni? Ritenete che ci siano state inerzie o, peggio, collusioni da parte della pubblica amministrazione?
Per quanto riguarda, invece, l'ammendante, vorrei sapere se era commercializzato o semplicemente smaltito. Nel caso sia stato venduto, vorrei sapere se abbiate verificato i terreni presso i quali, eventualmente, lo sia stato.
EGIDIO BANTI. Vorrei soffermarmi ancora sull'interrogativo relativo a come mai i fatti siano accaduti nel viterbese. Di quale tipo di siti di ripristino ambientale si tratta? Che cosa c'era in precedenza e come nasce il ripristino ambientale? C'erano siti particolarmente adatti a questo genere di attività?
Inoltre, vorrei sapere: c'è un coinvolgimento della criminalità organizzata? Evidentemente, si è determinato un giro di comunicazioni e, per così dire, di inviti in tutta Italia per andare a depositare in quei siti materiale illecito. Da dove provengono i gestori? Avevano collegamenti, se non nel settore criminale, perlomeno nel settore dello smaltimento? Secondo voi, anche in base alle intercettazioni di cui disponete, come è nata l'attività che ha portato al compimento dei reati o di fatti che si presumono tali?
Per quanto riguarda gli organi di vigilanza, mi ricollego a quanto affermava il collega Piglionica. Il dottor Pacifici ha affermato che l'inefficienza degli organi di vigilanza è oggettiva. Da che cosa è derivata, da una sottovalutazione del problema o sono state formulate ipotesi di collusioni? Oppure, semplicemente è derivata dalla insufficienza di organico o delle strutture a disposizione della pubblica amministrazione?
PRESIDENTE. Vorrei aggiungere, a mia volta, alcuni quesiti.
Innanzitutto, vorrei sapere quale sia stato il primo elemento che vi ha consentito di avviare una iniziativa così efficace e così ricca di risultati.
Lei ha affermato, tra l'altro, che si è verificata una carenza di controlli, che avrebbero potuto evitare che perdurasse lo smaltimento illecito. Perciò, vorrei chiedervi anche - al pari dei colleghi che sono intervenuti - a quali tipi di controlli vi riferiate, chi avrebbe dovuto effettuarli e per quale motivo, secondo voi, non sono stati effettuati.
DONATO PIGLIONICA. Se mi consente, signor presidente, vorrei formulare un'altra domanda. Le indagini sui produttori dei rifiuti continuano? L'interrogativo riguarda i tempi che intercorrevano affinché tornasse indietro l'ultima copia del modulo o formulario per l'avvenuto smaltimento. Probabilmente, infatti, tornava un po' in anticipo rispetto ai tempi previsti e anche presso il consorzio Milano Pulita ci si sarebbe potuto chiedere come mai lo smaltimento avvenisse in tempi così rapidi. È possibile che i produttori non si ponessero il problema di che cosa accadesse di quello che loro consegnavano?
PRESIDENTE. Prego il dottor Pacifici e il dottor D'Arma di rispondere ai quesiti loro rivolti.
FRANCO PACIFICI, Sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Viterbo. In pratica, le questioni di interesse di questa Commissione riguardano, ad ampio raggio, quasi tutto l'oggetto delle nostre indagini.
Innanzitutto, desidero precisare che l'indagine di cui ci occupiamo non è la stessa che riguarda Magliano Sabina. In quel caso, infatti, ha operato la procura della Repubblica di Rieti. Invece, questa indagine è nata da alcune analisi effettuate dall'ARPA, per iniziativa del NOE, presso alcuni siti. Queste analisi hanno permesso di evidenziare la non corrispondenza con i parametri normativi previsti dal decreto ministeriale di alcuni rifiuti presenti in quei siti. Ad eccezione di quello di Castel Sant'Elia, una parte del quale è destinato a ripristino ambientale e un'altra parte a discarica, tutti gli altri siti sono costituiti da cave che devono essere ripristinate in base alla normativa. Questo è assolutamente legittimo, come aspetto teorico. Tuttavia, l'utilizzazione in concreto è risultata non conforme a quanto previsto.
EGIDIO BANTI. Si tratta di cave di pietra?
FRANCO PACIFICI, Sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Viterbo. No, sono cave di tufo. In tutti e tre i casi, si è trattato di procedure semplificate e, ovviamente, ciò richiama l'attenzione sui controlli, cioè se siano stati eseguiti o meno.
Come affermavo in precedenza, questa fase è ancora all'attenzione ed alla valutazione dei pubblici ministeri in quanto la verifica relativa alla effettuazione dei controlli, ovviamente, proprio al fine di una certa efficacia delle indagini, è stata iniziata quando sono state eseguite le ordinanze di custodia cautelare. Infatti, assegnare una priorità ai controlli durante le indagini avrebbe potuto vanificare gli effetti delle stesse indagini. Sulla base di parziali accertamenti che abbiamo effettuato - sicuramente, la nostra risposta al riguardo non può essere esaustiva - questi controlli sarebbero stati effettuati ma non conosciamo bene la frequenza né le modalità dei sopralluoghi, perché ancora non sappiamo, addirittura, se siano stati verbalizzati o meno.
Questo è un aspetto di riflessione anche per quanto riguarda l'esercizio dell'attività amministrativa di vigilanza e di controllo che, sicuramente, deve essere ricondotta all'organo preposto, cioè l'ente provincia.
Perciò, tutto quanto ho affermato o sto per affermare si riferisce all'ente provincia che, come sappiamo, non esegue direttamente le analisi ma le richiede alla ARPA. In alcuni casi, le analisi sono state eseguite anche nel corso dei controlli non formali e non formalizzati - come ripeto, a tale questione non siamo in grado di darvi risposte ora - e già nel periodo precedente lo svolgimento delle indagini hanno evidenziato alcuni elementi di non rispondenza dei rifiuti ai parametri di legge e del decreto ministeriale del 1998. Da quanto verificato finora, non è stato adottato alcun provvedimento da parte dell'ente provincia volto alla sospensione dell'attività o d'altro tipo, almeno per quanto riguarda questi tre siti.
Il fenomeno dei ripristini ambientali, nella zona di Viterbo, sembra abbastanza esteso e, certamente, non è riconducibile soltanto a questi tre. Ancora oggi, non sappiamo quanti ve ne siano ma sicuramente si tratta di un numero di gran lunga superiore a quello che è stato oggetto di indagine. Ecco per quale motivo il mio collega, giustamente, evidenziava come, presumibilmente, dovranno essere compiute alcune attività - forse in modo fisiologico - da parte degli organi di vigilanza e di controllo, in modo istituzionale, su iniziativa della procura della Repubblica, ove sia rilevata la mancata estensione dei controlli sulle altre attività.
Si è trattato di inerzia o di collusione? Nella richiesta di ordinanza di custodia cautelare sono stati posti in evidenza alcuni aspetti che hanno consentito il traffico e lo smaltimento nel viterbese proprio di quei rifiuti che fittiziamente provenivano da Napoli. Al riguardo, su iniziativa della procura della Repubblica di Napoli, sono state effettuate alcune significative intercettazioni telefoniche che ci sono state inviate e che abbiamo potuto utilizzare legittimamente, anche in sede processuale. In queste telefonate si parlava di contatti con alcuni soggetti che hanno consentito di instaurare questo binario che ha portato a Viterbo, quale meta finale del viaggio.
Per quanto riguarda gli altri siti e le altre provenienze, anche in questo caso sono state effettuate intercettazioni telefoniche che possono avere un rilievo. Ci auguriamo di poter giungere a una verità su questo punto, una verità assoluta che consenta, da un lato, di perseguire i reati commessi e, dall'altro - anche se questo aspetto riguarda maggiormente altri organi dello Stato - di assicurare che la vigilanza e i controlli, che istituzionalmente devono essere compiuti, lo siano effettivamente, in futuro, in modo imparziale, legittimo e proficuo.
Ovviamente, la risposta su questo punto è diplomatica e deve essere interpretata in quanto tale. Noi dobbiamo attenerci ai risultati delle indagini finora compiute. Ci auguriamo di potere riferire, in futuro, o di svolgere un'attività che evidenzi la verità, qualunque sia. Adesso, non sarebbe equilibrato, da parte nostra, lanciarsi in ipotesi che ancora non hanno trovato conferma in fonti di prova certe.
Sulle altre questioni risponderà il collega D'Arma.
STEFANO D'ARMA, Sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Viterbo. Innanzitutto, risponderò riguardo ai centri di stoccaggio nei quali avvenivano le operazioni che noi riteniamo fittizie. Del primo abbiamo già trattato, si tratta della C&C Srl, che ha una doppia sede nel Veneto, a Venezia e a Pernumia, in provincia di Padova. Un altro centro è della Agroter Srl, ubicato in Campania. In questo momento, non sono in condizione di dire dove fosse esattamente la sede di questa società, se nella provincia di Napoli o di Caserta. Potrò essere più preciso in seguito.
TOMMASO SODANO. Forse, possiamo dare una risposta anche al collega Piglonica, nel senso che la Agroter Srl probabilmente è la società che effettuava la vendita di ammendante e terriccio.
STEFANO D'ARMA, Sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Viterbo. Il punto è che non si trattava di una vendita.
DONATO PIGLIONICA. Il problema è proprio questo: chi ha ricevuto la consegna del concime dovrà pure avere avuto un sospetto.
STEFANO D'ARMA, Sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Viterbo. La questione attiene all'elemento soggettivo del reato. Uno degli elementi che abbiamo potuto utilizzare, infatti, era proprio questo: per quale motivo qualcuno che riceva terricciato si fa pagare e non paga, invece, a sua volta la consegna? Per quale motivo pretende di essere pagato? Ovviamente, non si trattava di terricciato ed è per questo motivo che chiedeva denaro. Questo ci ha consentito di affermare che le persone interessate erano consapevoli del fatto che non si trattava di terricciato ma di sostanze del tutto diverse.
Un'altra società coinvolta è la Ecos Srl, che si occupa di un centro di stoccaggio e ha sede in Barberino Val d'Elsa, in provincia di Firenze; un'altra ancora è la Eco Arena Spa, quella che riceveva le ceneri delle acciaierie, con sede a Bussolengo, in provincia di Verona; infine, il consorzio Milano Pulita aveva contatti con la Servizi Ecologici Valdichiana, con sede in provincia di Arezzo e con vari centri di stoccaggio tra cui l'impianto della Guinza Grande Green, che ha sede a Montalto di Castro. Non so se quest'ultima sia la società interessata dal procedimento cui si è fatto riferimento in precedenza. Queste sono le precisazioni relative ai centri di stoccaggio.
Per quanto riguarda il comune inquinato, si tratta di Vetralla. Desidero precisare, comunque, che l'inquinamento non interessa l'intero comune ma alcuni pozzi ubicati nei dintorni del centro di ripristino.
Per quanto attiene al modo in cui ha avuto inizio l'indagine, si può affermare che lo strumento normativo dell'articolo 53-bis in effetti è molto efficace perché consente di costruire bene l'ipotesi di reato. Infatti, a noi basta l'esistenza di un flusso di rifiuti in ipotesi illecito per affermare che c'è una attività illecita organizzata, continuativa e così via. Questo ci ha consentito di attivare le intercettazioni telefoniche.
Questa modalità mi ha ricordato, anche se in forma più complessa, quella delle indagini relative ai traffici di droga, per le quali si comincia da un'ipotesi di spaccio e poi se ne individuano quasi sempre altre 10, perché si tratta di soggetti che si incrociano. In questo caso, abbiamo cominciato da un flusso illecito di rifiuti e poi sono emersi tutti quelli di cui abbiamo parlato, vale a dire una decina di casi. In ogni caso, l'articolo 53-bis ci ha consentito di adottare uno strumento investigativo che è risultato decisivo nel proseguimento delle indagini.
DONATO PIGLIONICA. Tutti questi soggetti interagivano con i siti ricordati attraverso un'unica intermediazione? In che modo, da punti così differenziati in Italia, convergevano in essi? Qualcuno si occupava dell'intermediazione?
STEFANO D'ARMA, Sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Viterbo. Gli intermediari erano quasi sempre gli stessi, per il 90 per cento. Diverse società facevano capo alle stesse persone fisiche. Il trait d'union era costituito proprio dalle figure degli intermediari, che fungevano da collegamento tra tutte le operazioni illecite.
TOMMASO SODANO. Di dove sono questi intermediari?
STEFANO D'ARMA, Sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Viterbo. Questi intermediari erano la Mondo Ambiente Srl e la Servizi e Ambiente Srl, società del nord Italia. In realtà, si tratta di soggetti di Lucca, di cui il principale è Pierluigi Della Maggiora, che consideriamo il dominus dell'operazione, nato a Capannori, in provincia di Lucca, e attualmente latitante. È il titolare di fatto delle due società ricordate, che hanno entrambe sede a Lucca. Si tratta degli stessi intermediari che sono comparsi nei processi napoletano e di Venezia.
EGIDIO BANTI. La sede della società si trova a Lucca?
STEFANO D'ARMA, Sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Viterbo. Sì, a Lucca.
PRESIDENTE. Ringrazio il dottor Pacifici e il dottor D'Arma per la cortesia di avere partecipato a questa audizione e per la profondità delle indicazioni offerte, per noi importantissime nella comprensione di questi fenomeni e delle specificità e delle necessità ulteriori dal punto di vista normativo. Rimarremo in contatto e li ascolteremo ancora per potere capire meglio queste problematiche. Ci complimentiamo per il loro lavoro e la loro attività, augurando loro un buon proseguimento.
Comunico che l'audizione dell'amministratore delegato di Impregilo, ingegner Alberto Lina, si svolgerà la prossima settimana. Il rinvio si è reso necessario per l'impossibilità dell'ingegner Lina ad essere presente per motivi di salute.
Dichiaro conclusa l'audizione.