Continua il dibattito sulla violenza politica a Viterbo
- I viterbesi, una cosa la stanno imparando, e in fretta: che non vivono in un’oasi beata dove gli eventi di cronaca nera che angosciano i giornali sembrano appartenere ad una quarta dimensione.
Le violenze ce le abbiamo sotto i nostri occhi, sotto le finestre di casa, né poteva essere diversamente, in un mondo che è ormai un tessuto continuo, profondamente intrecciato, dove azioni e reazioni rimbalzano anche a grandissima distanza le une dalle altre.
Quel che più disorienta, che coglie impreparata l’opinione pubblica viterbese, è che Viterbo si faccia teatro di violenza politica: una violenza politica che, come l’imbecillità, ha tutti i colori, perché sono tutti i colori dell’ignoranza, del degrado culturale, dell’alienazione sociale e culturale. Perché dovremmo sorprenderci della violenza politica se è figlia e prova di una condizione di marginalità culturale che, da tempo, caratterizza buona parte della nostra provincia?
Senza contare che esistono altre violenze politiche che non sono da meno di quelle fisiche: parole, gesti, atteggiamenti, omissioni, o semplici ragionamenti, che sanno essere altrettanto vulneranti di una bastonata o di una bomba carta. E che hanno l’aggravante di provenire da quegli stessi ambienti che poi, all’indomani dell’ennesimo episodio di cronaca, si esibiscono nel rituale della condanna, dell’esecrazione, del solidarismo d’accatto nei confronti delle vittime.
Qualcuno alla fine si alzerà e formulerà il classico “che fare?” di chi ha visto i buoi scappare dalla stalla. Che fare? Nell’immediato, quasi nulla. Perché nell’immediato si può parlare, ma sarebbe un discorso autoreferenziale, visto che i violenti non sanno né ascoltare, né leggere, né capire. Si potrebbe promuovere una reciproca conoscenza fra le parti, magari intorno ad un evento che riesca ad avvicinare i giovani, ma si rischierebbe solo di realizzare il megaraduno dell’ignoranza alle pendici di una Torre di Babele, dove ognuno parla una lingua diversa e guarda in cagnesco chi non è sintonizzato sulla sua stessa lunghezza d’onda.
Nell’immediato, allora, c’è solo la repressione: dura, a tolleranza zero. Certo, è grave che violenza generi violenza, specie se questa è espressa dalle istituzioni e dal sistema; ma è ben noto che per taluni non esiste altro linguaggio, ed è altrettanto noto che, nel mentre si fa prevenzione per il domani, intanto è necessario intervenire nell’oggi.
A livello di prevenzione, invece, il buon senso recita: educare nelle scuole (certamente); ma aggiungerei: educare nelle famiglie, dove le nuove generazioni imparano molte cose, talvolta troppe. Ancora, rimuovere le condizioni di marginalità, di malessere quotidiano, soprattutto di frustrazione, che è la fonte principale a cui si abbeverano l’odio, il nichilismo, l’aggressività: offrendo opportunità ai giovani, di partecipazione, di cultura, soprattutto di lavoro.
Ma sono litanie che si leggono sui libri, si ascoltano ai convegni e si leggono nelle dichiarazioni che amministratori e policy makers rilasciano alla stampa. Bisognerebbe forse ricordare che viviamo in una società violenta, competitiva, che ci insegna a prevalere e a prevaricare: a scuola, sul lavoro, in vacanza, al supermercato o al semaforo, talvolta anche in famiglia. E allora diventa anche difficile smuovere le montagne.
Detto dianzi cosa si può fare nell’immediato, c’è invece qualcosa che si può fare con grande concretezza anche a livello preventivo: isolare politicamente e socialmente i violenti.
Perché qualche protezione e qualche comprensione, in realtà, spesso riescono ad ottenerla.
Perché nel variegato sottobosco della politica con la p minuscola c’è sempre qualcuno che, per solidarietà ideologica o per nostalgia, o semplicemente perché può far comodo alla bisogna, finisce per tollerare, strizzare l’occhio, guardare dall’altra parte o addirittura far trovare la cena pronta.
Che le vittime di turno siano gli “sbirri”, le “piattole”, i rossi o i neri, poco cambia.
Francesco Mattioli
Docente di sociologia dei gruppi
Università la Sapienza di Roma