Quando uscì il primo numero di Repubblica avevo tre anni. A 10 leggevo solo il Corriere dello Sport. Tifavo Lazio e sognavo di fare il giornalista sportivo. Repubblica, dicevano quelli che di certe cose se ne intendevano, era il giornale dei 'comunisti'.
In effetti mi ricordo un ragazzo poco più grande di me, Danilo Corazza, comunista 'dichiarato', che girava sempre con Repubblica sotto il braccio.
Anche la mia professoressa comunista di italiano alle scuole medie leggeva Repubblica. Per i lavori in classe ci faceva usare però il Messaggero, più moderato. Qualche anno dopo, facevo le superiori, pure mio fratello maggiore cominciò a portare a casa Repubblica.
Citava Scalfari come fosse un oracolo. Il germe del 'comunismo' stava allignando in casa mia. Di Repubblica per anni io ho letto invece solo i supplementi. Mi piacevano le recensioni dei film dell'allora direttore dell'Unità, Walter Veltroni, sul Venerdì.
Il mio preferito però è sempre stato la Repubblica delle Donne, una specie di 'Vestro' in salsa radical-chic. E poi Musica, che per me però era una specie di surrogato del settimanale 'Mucchio selvaggio', la mia lettura preferita.
Da buon ipocondriaco leggevo anche Salute. Fondamentale, ai tempi dell'università, era inoltre Trovaroma. Del quotidiano invece, lo ammetto, 'nun me ne poteva fregà di meno'. Troppa politica, mi annoiava. Oggi di Repubblica salto solo le pagine dello sport. Odio la Lazio e qualche volta mi sveglio con l'incubo di fare il giornalista sportivo. Però giuro che non sono comunista.
Massimiliano Conti
Venivamo da un periodo difficile per la democrazia italiana. Terrorismo politico, stragi di stato, scontri in piazza avevano caratteriazzato l'Italia di quel tempo. L'informazione era tutta schierata, chi da una parte chi dall'altra, e nessun quotidiano riusciva a porsi come voce indipendente. Quelli che ci provavano tra i cosiddetti giornali qualificati erano spesso superficiali e non andavano al di là dell'apparenza.
La Repubblica ci colpì, avevo 25 anni e facevo il fotoreporter, non solo per il suo formato più piccolo e maneggevole, ma anche per il modo monografico di entrare nelle notizie. Intellettuale e di sinistra riusciva comunque a farti discutere laddove gli altri si fermavano.
Divenne subito un giornale autorevole che dava piacere leggere tutte le mattine. Adesso rivedo quei trent'anni e riscopro tanti fatti e misfatti messi da tempo nel cassetto dei ricordi. Ringrazio La Repubblica, ringrazio Eugenio Scalfari e ringrazio quanti, colleghi e testate grandi e piccole, si sono sempre battuti e si battono per la democrazia, per la giustizia sociale, per la dignità di tutti gli uomini.
Gianni Tassi
vice caposervizio
del Messaggero
Un allora giovane redattore del Corriere dello Sport, Angelo Pesciaroli, mio compaesano, mi parlò dell'imminente uscita della Repubblica come un evento epocale. “Sarà una sorta di rivoluzione - mi disse -, ancora di più di quanto lo fu Il Giorno di Enrico Mattei”.
Il vaticinio di Angelo Pesciaroli m'indusse a comprare l'edizione numero uno del nuovo quotidiano (che ancora conservo, insieme con il numero-sottoscrizione del Manifesto in edicola a 10mila lire), e capii che sarebbe stata davvero una rivoluzione.
La Repubblica ruppe fin dal primo giorno il collaudato e un po' paludoso metodo dell'informazione italiana, fino ad allora compressa in clichè in bilico tra la riverenza se non addirittura la sudditanza ai vari poteri. Un “lusso” che fino ad allora, per quanto io ricordi, si erano concessi, a tratti, solo Paese Sera e il Messaggero dei Perrone.
Ne ebbi un esempio negli articoli di commento sull'incarico di formare un nuovo governo, conferito proprio in quei giorni all'onorevole Aldo Moro. Ad eccezione degli organi ufficiali di partito, inevitabilmente relegati nel ruolo di “voce ufficiale”, tutti i quotidiani tracciarono dell'avvenimento una cronaca, per così dire piatta, fatta di note ufficiali e di curriculum del presidente del consiglio incaricato. La Repubblica, invece, la condì con retroscena, affondò l'analisi sugli scontri politici, i veleni, le lotte intestine, le guerre di trincea che stavano accompagnando quel passaggio politico. Insomma, aveva ragione Angelo Pesciaroli: era cominciata una rivoluzione.
Debbo anche dire di non aver sempre condiviso le analisi della Repubblica, ma il mio punto di vista, in quegli anni, era in qualche misura “viziato” dalla militanza politica. Trovavo spesso preconcette e strumentali le posizioni espresse dai vari Bocca, Pansa e, soprattutto, dal direttore-fondatore Eugenio Scalfari. A distanza di trenta anni, però, devo ammettere che spesso erano loro ad avere ragione.
Resta comunque il fatto che la Repubblica diventò il “mio” quotidiano, una sorta di grillo parlante dal quale mi lasciavo stuzzicare la coscienza e mettere in discussione le mie poche certezze, già allora labili.
Con una frase un po' retorica, ma adatta ad un trentennale, posso dire che, dal mio punto di vista, la Repubblica era ciò che mancava per rendere più democratica, ma anche più nuda la Repubblica Italiana.
Infine una nota a margine: lessi il primo numero de La Repubblica sul pullman Viterbo - Roma, cosa che mi consentì di apprezzare un altro particolare innovativo del nuovo quotidiano: il formato talboid. Finalmente era possibile sfogliare un giornale sui mezzi pubblici senza invadere lo spazio di chi ti era seduto accanto e senza prenderlo, inavvertitamente, a gomitate.
Beniamino Mechelli
Corrispondente Ansa
Non c'è dubbio che il giornale la Repubblica abbia rappresentato una vera e propria rivoluzione nell'editoria quotidiana di questo Paese.
Quando uscì il primo numero io avevo appena 23 anni ed ero un apprendista giornalista nella redazione viterbese del Messaggero, un giornale che all'epoca era confezionato secondo canoni più che tradizionali. Ebbene, mi colpì la novità del prodotto.
A cominciare dal formato tabloid, senza alcun dubbio molto più maneggevole rispetto a quello tradizionale, cosiddetto a lenzuolo. Poi la grafica, estremamente innovativa e di impatto immediato per il lettore. Infine, ultimi ma solo cronologicamente, i contenuti.
Repubblica nacque come giornale d'èlite, in grado di dare una sua chiave di lettura agli eventi di tutti i giorni; di fornire interpretazioni politiche o sociologiche, a seconda dei casi. Ricordo come era confezionato lo sport, che puntava meno sulla cronaca spicciola e molto sull'approfondimento dei temi, grazie anche a grandi firme come Oliviero Bhea e Gianni Brera.
C'è da dire però, che col tempo anche la Repubblica ha dovuto in un certo senso adeguarsi al mercato. Modificando in parte il suo taglio, uscendo in edicola anche il lunedì mattina (cosa che nei primi anni non avveniva) e istituendo le cronache cittadine (Roma, Milano, Napoli, Firenze e via dicendo) per poter competere con i suoi concorrenti.
Rimane comunque un punto di riferimento irrinunciabile nel panorama editoriale italiano. Anche perché l'attuale direttore Ezio Mauro ha saputo raccogliere al meglio l'eredità lasciatagli da Eugenio Scalfari.
La Repubblica è etichettato come giornale di sinistra. Io credo che questa sia una semplificazione di comodo e questo lo si può verificare leggendolo con attenzione. Alla sinistra, quando ce n'era bisogno, non le ha mai risparmiate. Come deve fare un giornale libero.
Arnaldo Sassi
Caporedattore del Messaggero
Trent'anni fa, per ovvii motivi di età, forse non avevo ancora mai letto davvero un giornale. E infatti Repubblica la conobbi un po' di tempo più tardi: i primi anni Ottanta, quelli del liceo, e ancor di più la seconda metà di quel decennio, il periodo dell'università.
Per la mia generazione Repubblica era quindi già un dato di fatto, qualcosa che esisteva e come tale imprescindibile. Sono cresciuto con Repubblica come tutti i “figli” degli anni Ottanta e via via ho imparato ad apprezzarla sempre di più.
Soprattutto quando ho intrapreso questa professione di giornalista ho capito che, per chi fa un lavoro come il nostro, Repubblica era il punto massimo di riferimento.
Mi ricordo di articoli ritagliati e conservati in una cartellina i primi anni di lavoro al “Corriere” e poi delle nottate a leggerla dalla prima all'ultima pagina, quando - era il 1995 - sostenni l'esame di Stato per diventare giornalista professionista.
Dopo di allora la lettura di Repubblica per un periodo rappresentò anche un duro lavoro nel tentativo di assimilarne lo stile. Sì, proprio lo stile. Perché, al di là delle linee politiche, dei colori e delle tendenze, delle cronache e dei commenti, i giornali devono anche comunicare sensazioni e sentimenti forti. In questo Repubblica è davvero maestra.
La cronaca che non è solo stenografico resoconto degli avvenimenti o semplice fotografia dell'apparenza. La cronaca che sa invece cogliere la psicologia dei fatti e questo è un processo, per chi fa questo lavoro, arduo ed interminabile, dove lo spirito d'osservazione deve conciliarsi con il linguaggio.
Lo stile Repubblica, appunto. Lo stile di chi è in grado di fornire al lettore una narrazione sentimentalmente coinvolgente, seppur rigorosamente aderente alla realtà dei fatti.
Mi ricordo una volta di aver ritagliato la cronaca, firmata Bernardo Valli, dei funerali di Brandt in Germania e in tempi molto più recenti di aver conservato un'intervista di Concita De Gregorio a Licio Gelli. Nel primo caso ho cercato di imparare a raccontare il pathos, nel secondo a dipingere il personaggio di un'intervista al di là delle parole dell'interessato.
Nel 1997 lavoravo al “Corriere dell'Umbria” e - era settembre - arrivò il terremoto a Foligno. Il giorno si leggevano tutti i giornali per capire che cosa la concorrenza avesse scritto in più o in meno di noi.
Mi ricordo che una mattina la cronista di Repubblica attacco il pezzo così: “Il terremoto ha il sapore della polvere”. Rimasi a pensarci per qualche secondo: in sette parole era riuscita a descrivere una situazione.
A coglierne l'essenza, a trasmetterla nitida al lettore con un “attacco” che racchiudeva in se tutte le notizie che erano poi contenute nelle successive cento righe. Una lezione di stile, e non solo. Repubblica, per me, è soprattutto questo. Lo stile di una comunicazione veloce, quindi moderna, ma mai asettica. La cronaca che si anima dei sentimenti del mondo che viene raccontato al lettore.
Evandro Ceccarelli
Caposervizio Corriere di Viterbo
Quando uscì per la prima volta in edicola “La Repubblica” suscitò, almeno tra quanti conoscevo, tanta curiosità, ma anche scetticismo. Un formato non usuale, una nuova testata che si aggiungeva alle altre storiche che pochi ritenevano sostituibili nelle letture quotidiane di notizie.
I miei ricordi sono quelli di una persona qualunque in uno dei tanti capoluoghi di provincia: credo che la reazione nelle grandi città fu diversa.
Comunque, dopo i primi giorni il giornale cominciò ad essere sempre più letto. Era il primo, che io rammenti, a proporre le notizie in maniera diversa. Evidentemente c'era stata una svolta storica nell'informazione della carta stampata che solo uno dei più grandi giornalisti italiani aveva saputo intuire.
Anche i titoli erano differenti ed avevano più presa nel lettore. Io stesso, che muovevo i primi passi nel giornalismo e che ancora non avevo appreso bene il meccanismo di come si componesse un giornale, rimasi positivamente impressionato dalla facilità con cui trovavo ciò che cercavo. Leggevo facilmente e facilmente comprendevo. Insomma era una scuola per tutti. E poi le firme: alcune note, altre notissime, altre sconosciute, ma tutte legate da un unico filo conduttore tracciato da Direttore.
La Repubblica non ebbe fatica ad affermarsi anche perché era sotto il braccio di quelli che oggi potrebbero chiamarsi “opinion leaders”. Ma ricordo anche che, almeno nella nostra provincia, non penetrò completamente in tutti gli strati sociali.
Allora, come del resto anche oggi, si va prima di tutto alla ricerca della notizia che riguarda la nostra provincia dunque le testate che avevano all'interno pagine “dedicate” non risentirono dell'uscita di questo nuovo giornale.
A tanti anni di distanza credo che oggi “La Repubblica” rappresenti per tutti il modo più chiaro e spigliato di informare. Con l'esperienza che ho oggi e con un po' di polemica che mi deriva da tanti anni di giornalismo e tante cose viste, mi faccio una domanda e la giro anche a te caro direttore di Tusciaweb: che cosa è rimasto di quel giornale? La tiratura è aumentata, anche il numero di copie vendute e le pagine. Sono contento per loro e per l'informazione. Riporto una frase sentita da un personaggio illustre di Viterbo: “Quando vai su Repubblica se ne accorgono tutti…” ossia se il tuo nome compare su quel giornale hai svoltato ( per dirla con il linguaggio di oggi). Ebbene è questa l'informazione che vogliamo?
Ti ringrazio dello spazio. L'occasione mi è favorevole per rinnovarti la mia stima e il compiacimento per l'obiettività che ha sempre distinto il tuo lavoro. Per noi giornalisti di provincia, forse, è più facile. Ma non tutti se ne ricordano.
Fausto Pace
Corrispondente Rai
Eravamo in assemblea all'Auditorium di Viterbo, dove frequentavo il terzo anno del liceo scientifico "Ruffini" . Il solito appuntamento mensile dove si discuteva di massimi sistemi e un gruppetto ci avrebbe raccontato di come andavano i preparativi del primo concerto organizzato da un collettivo di studenti. Postumi e strascichi di un '68 arrivato in provincia con ritardo. In sala però c'era uno strano fermento intorno ai soliti leader che discutevano dell'uscita di un nuovo giornale.
Terminata la fumosissima assemblea, corsi a comprarlo. Sono passati trent'anni e mai avrei pensato di ritrovarmi a 600 km di distanza e a fare il direttore di un giornale online. Repubblica è stato un compagno di viaggio in tutti questi anni. Un prodotto che ai "malati" di politica e informazione come noi avrebbe riempito un vuoto. Era un periodo in cui fiorivano esperienze editoriali che cercavano di scansare quella che veniva considerata come un'esperienza troppo vecchia: L'Unità. Di tutto quel periodo è rimasto solo Il manifesto e un colosso: La Repubblica
Marco Giovannelli
Direttore di Varesenews
L'uscita di Repubblica sconvolse gli “addetti ai lavori”. Ricordo che nel 1976 mi occupavo di cronaca dalle parti della Sicilia e il primo giorno feci di tutto per comprare il giornale di Eugenio Scalfari.
Ci fu un grande affollamento nelle edicole. Mi ritrovai tra le mani un giornale che, per quei tempi, aveva un formato strano e una grafica sconvolgente.
C'erano “firme” straordinarie e, una, in particolare, mi è cara, quella del compianto Fausto De Luca, che, qualche anno dopo ebbi come direttore al “Giornale di Sicilia”. Debbo dire che “La Repubblica” di quei primi giorni mi colpì profondamente e benché esercitassi ormai da sei anni il mestiere di giornalista, mi fece capire che linguaggio e grafica potevano essere ancora più efficaci cambiando, semplicemente, alcune regole.
Ne trassi un insegnamento che ho applicato nello scrivere servizi e impostare giornali. Oggi mi rendo conto di essere stato involontario testimone di una “rivoluzione epocale del giornalismo”.
Giuseppe Rescifina
Quando nacque “La Repubblica” avevo 19 anni avevo imparato a leggere e ad amare il quotidiano grazie a mio padre che da qualche anno, ogni giorno, alle 14.30 o alle 18 mi portava a casa “Il Messaggero” dopo che tutti lo avevano letto in ufficio.
Non era propriamente una lettura… di prima mano ma scoprii ben presto che mi appassionavano due cose in particolare: il dibattito che si innescava su temi sociali (e ben presto politici) e le notizie più “strane” e curiose che mi potevo giocare in una cena con gli amici, un po' per tenere botta alla serata e un po' per snobismo.
Quando nacque Repubblica seguii il lancio del giornale e, da lettore abituale di quotidiano, capii perfettamente che si trattava di qualcosa di importante dal punto di vista editoriale e “politico”. Ma fu soprattutto l'allora diciannovenne idealista a sperare che il nuovo arrivato potesse rompere le scatole e vivacizzare il… mondo, dunque a festeggiare intimamente la nascita una voce nuova che potesse ampliare la libertà di stampa (conservo ancora, pur essendo un giornale che non leggevo per abitudine, la copia del Manifesto acquistata a 10mila lire. Allora i giornali costavano all'incirca 500 lire e il Manifesto lanciò questa sottoscrizione per cercare di superare la crisi economica del quotidiano).
Le attese non furono deluse, a cominciare dal formato, allora un'autentica innovazione. Con Repubblica ho imparato ad essere un convinto divoratore del quotidiano e questo mi è piaciuto, poi ho pensato che fosse il Vangelo e questo non mi è piaciuto.
La terza fase, ma il merito è stato tutto suo, è stata quella della comparazione da qui il desiderio di confrontarlo con altri giornali di centro, di destra, di sinistra, di estremo centro, di estrema destra e di estrema sinistra. E questo mi è piaciuto di nuovo.
Ho visto poche sere fa, dopo tanto tempo, Eugenio Scalfari a Ballarò: se Biagi è il giornalismo, Santoro la trasgressione, Ferrara l'arte, Scalfari è l'autorevolezza, se non proprio il dogma. In molti pensavamo che dopo di lui il giornale avesse avuto uno scossone.
Ezio Mauro è riuscito a realizzare ciò che in molti hanno soltanto sognato: continuare a rendere Repubblica un solido, saldo e autorevole punto di riferimento pur avendo tagliato… un po' di barba a Scalfari. Repubblica andrebbe ringraziato anche per questo.
Roldano Cisternino
Trenta'anni fa acquistai il primo numero delle Repubblica all'edicola di Piazza della Rocca. C'era molta attesa per la novità annunciata.
Fui colpito dalla novità del formato più piccolo rispetto agli altri quotidiani, e anche dalla quantità e dalla qualità delle notizie. Fu una partenza scattante...
Nella mia famiglia, fino a quel giorno, si comperava sempre il Messaggero: per leggerlo si doveva stare a braccia aperte oppure adagiarlo su un metro quadrato di tavolo.
Ora la comoda Repubblica, invece, puoi leggerla in qualsiasi posto: in ascensore, sul tram e nella metropolitana, a braccia strette senza "abbassare la guardia".
Ottima impaginazione, caratteri belli leggibili, e notizie di vero giornalismo. Ci voleva proprio una voce fuori dal coro. L'unica cosa negativa che mi viene in mente, ripensando a quel giorno, è lo scorrere del tempo! Troppo veloce!
Silvio Cappelli
Direttore di Jobs