Riceviamo e pubblichiamo un'adesione critica all'appello che ci sembra interessante in primo luogo perché non si sofferma più di tanto sullo strumento ma affronta, una volta tanto, il problema. In secondo luogo perché può essere un modo per aprire un dibattito sulle cose e non sui propri paradigmi culturali.
- Cari amici, esprimo la mia adesione all’appello di Ricci e Galeotti, ma dal momento che credo che il modo migliore per irrobustire il fronte contro la violenza politica - in generale e non solo a Viterbo- sia entrare nel merito delle cose con la giusta maturità e serenità, non posso non avanzare delle critiche ad alcune loro argomentazioni, cercando di portare in questo modo il mio contributo.
Per questa stessa ragione dico subito che non condivido né le adesioni ritualistiche e retoriche né i tentativi di boicottaggio fondati su stereotipi che ha suscitato questa iniziativa: l’Italia, lo sappiamo tutti, vanta un curriculum di violenza politica troppo imbarazzante perché si risponda con superficialità al riproporsi di certi fenomeni.
Premetto che non vivo a Viterbo ma ho la presunzione di conoscerla, avendola frequentata in passato e ritornandoci spesso, così come ho la presunzione di sapere qualcosa sui giovani, specie di provincia.
Al di là della semplicistica formula del disagio che genera violenza, quanto è successo a Viterbo dimostra che c’è un grave e profondo problema di esclusione politica e sociale dei giovani dagli spazi della promozione culturale e della partecipazione legale e democratica.
E la cosa ancor più grave è che gli adulti ritengano che essi invece abbiano aperte tutte le possibilità di accesso e di espressione, mentre nella realtà delle cose se c’è è solo formale e paternalistica. E proprio questo paternalismo ritrovo nella frase “in questa città abbiamo anche scelto di essere padri” di Ricci e Galeotti, di cui ovviamente comprendo il tono di apprensione sul piano individuale, ma con cui voglio, pacatamente ma seriamente, polemizzare.
Cari Ricci e Galeotti, lo scollamento e la segregazione che porta questi giovani a riesumare meccanicamente e con la più cinica freddezza i più tristi modelli della politica italiana dimostra quanto poco abbiano potuto sperimentare di nuovo le culture giovanili in questa città- e qui è il caso di dirlo- di destra e di sinistra.
Come del resto in molte altre città italiane.
Proprio quel paternalismo a cui voi in buona fede vi appellate, troppo attento all’ordine alla sicurezza e a tutelare i propri ragazzi ma senza comprenderli a fondo, è il primo responsabile di una strutturale situazione per cui le iniziative giovanili, intendo quelle loro, spontanee, auto-determinate e creative, o sono fallimentari o sono quasi sempre connotate da un qual certo senso di segregazione e di clandestinità.
Fatta eccezione delle situazioni commerciali ovviamente: ma lì il giovane diventa cliente e perciò parliamo d’altro. La mia impressione, o se volete ipotesi, è che proprio questo atteggiamento paternalistico chiuso, sordo, al massimo concessivo, abbia prodotto nei decenni un clima asfittico per qualsiasi giovane viterbese (chiedetelo ai vostri figli se non è così!), e abbia ridotto al minimo le possibilità di comunicazione dei propri linguaggi, di rivendicazione degli spazi, di familiarità con la propria cultura e di rielaborazione creativa della propria storia. Questa violenza non dice forse che c’è una profonda difficoltà a proporre?
Pertanto una volta fatto questo giusto appello e una volta sottoscritto, perché non ci proponiamo di stabilire un vero dialogo con i giovani viterbesi, magari chiedendo loro cose semplici come: quante e quali difficoltà incontra un gruppo di ragazzi che voglia promuovere una iniziativa culturale e politica a Viterbo?
Perché non ci proponiamo di sapere quello che loro vorrebbero da questa città? Oppure quanto si sentono liberi e protagonisti?
Più concretamente perché le istituzioni, la stessa Tusciaweb e i soggetti istituzionali e non che hanno aderito a questo appello non s’impegnano a promuovere un osservatorio sulla condizione giovanile? Che raccolga i loro pensieri e le loro proposte e sia un primo passo a una loro partecipazione attiva alla vita democratica di questa città?
Manuel Anselmi
Docente a contratto di Sociologia del Mutamento Sociale
Corso di laurea di Scienze della Comunicazione
Università degli Studi di Cassino