Senza Filtro - L’invecchiamento della popolazione per effetto della riduzione della mortalità in età avanzata sta causando un forte aumento della popolazione anziana bisognosa di assistenza e, ciò lascia presagire, a fronte di questi accresciuti bisogni, un notevole aumento dell’assistenza infermieristica che mal si concilia con la cronica carenza di infermieri italiani, parzialmente colmata con l’inserimento di infermieri immigrati.
Infatti sono circa 20mila gli infermieri stranieri impegnati tra corsie di ospedali, case di cura e ospizi italiani. Una presenza in costante aumento, visto che il fabbisogno di infermieri nelle nostre strutture sanitarie tocca, secondo l’OCSE ( Organizzazione per la Cooperazione e Sviluppo Economico ), le 100mila unità.
Prendendo in considerazione solo gli ospedali; tra il 2002 e il 2005 gli infermieri stranieri sono passati da 2612 a 6730, un aumento che sfiora il 160%. Di questi, 7 su 10 provengono da un paese europeo ( in testa la Romania e la Polonia ), sono significativamente aumentati gli infermieri provenienti dai paesi asiatici ( dal 4% al 12%), mentre sono calati quelli che giungono dai paesi africani.
Complessivamente gli infermieri non comunitari presenti nelle corsie ospedaliere sono 4741.
In Italia ci sono 5.4 infermieri ogni mille abitanti contro una media auspicata OCSE di 6.9; basti pensare che la Francia è a 7.3, il Regno Unito è a 9.1, la Germania a 9.7, l’Olanda a 12.8 e l’Irlanda a 14.8.
L’ingresso degli infermieri stranieri in Italia è quanto mai agevolato; per la loro assunzione occorre presentare domanda allo sportello unico per l’immigrazione presso la prefettura.
Essi possono stipulare un contratto di lavoro anche a tempo indeterminato e il loro permesso di soggiorno è prorogabile anche in caso di cambio del datore di lavoro, purché si tratti sempre di occupazione con la qualifica di infermiere. Gli infermieri extracomunitari sono tenuti a chiedere il riconoscimento del titolo di studio, pratica burocraticamente lunga, mentre per i comunitari basta il nulla osta del Ministero della Salute e il riconoscimento è scontato se il titolo è stato conseguito in Italia. Competente per l’equipollenza , decisa con decreto ministeriale è una Commissione Nazionale presso il Ministero della Salute.
Per sostenere l’esame, i collegi richiedono il versamento di una tassa ( circa 250 Euro).
Ottenuto il riconoscimento del titolo si procede all’iscrizione al collegio IPASVI del luogo di lavoro o di domicilio previo un esame in materia di deontologia e leggi professionali e un altro di lingua italiana ( quest’ultimo non è obbligatorio per i comunitari).
L’inserimento nelle strutture pubbliche, seppure non come dipendenti pubblici, è possibile sottoforma di chiamata da parte delle stesse strutture pubbliche con un contratto a tempo determinato, o tramite l’assunzione da parte di cooperative appaltatrici di servizi infermieristici riconosciute dal Ministero della Salute, o anche tramite le agenzie interinali di lavoro abilitate dalla legge Biagi ad operare anche all’estero.
Dal punto di vista economico e normativo le differenti vie di assunzione comportano anche una diversa retribuzione. Infatti chi lavora presso una cooperativa ha sì una maggiore flessibilità lavorativa ma ha anche un numero ore lavorative superiore ( 165 contro 156) e riceve tra il 20% e il 42% in meno rispetto a chi lavora presso strutture pubbliche.
Quindi per tutte queste agenzie interinali e cooperative appaltatrici di servizi infermieristici la nostra professione è diventata un business. È stato stimato che per queste agenzie interinali il giro d’affari possa aggirarsi intorno ai 300 milioni di Euro all’anno, calcolato su un fabbisogno di 40000 addetti, in quanto in cambio dello svolgimento delle pratiche per l’equipollenza dei titoli e della ricerca dell’alloggio, le agenzie richiedono anche il 20-25% dello stipendio lordo mensile dell’infermiere. Non entriamo, poi, nel merito dei casi di reclutamento disinvolto che hanno suscitato una serie di motivate riserve, tanto da far parlare di una sorta di “ caporalato infermieristico”, denunciato in passato anche dall’Associazione Stranieri Infermieri in Italia.
A fronte di tutto ciò la nostra organizzazione sindacale Fials, pur toccando con mano il senso di disagio sotto tutti i punti di vista, da parte degli infermieri immigrati, vuole però sottolineare i motivi di questa cospicua carenza cronica degli infermieri nel S.S.N.
Nel 2004-2005 i neolaureati in Scienze Infermieristiche in Italia sono stati 6.700 contro un ricambio fisiologico di 17000 unità. Da un recente studio dell’IPASVI risulta che il 14,5% dei posti disponibili per la formazione infermieristica è rimasto inutilizzato per mancanza di iscritti.
Per porre rimedio a questa situazione basterebbe capire il perché della disaffezione alla professione infermieristica e tentare di attuare dei procedimenti al fine di ridurre questa emergenza, cominciando magari dal rispetto contrattuale di quei professionisti sanitari che si trovano già in ambito lavorativo e che ogni volta devono imporsi per far rispettare ed ottenere i nuovi CCNL.
Basti pensare a quello del biennio economico 2004/2005 che viene liquidato solo oggi e, cioè, nel 2006 quando già sarebbe ora di parlare del nuovo CCNL biennio 2006/2007.
I motivi di questo disinteresse sono diversi, e vanno:
-dalla inadeguatezza degli stipendi rispetto alla professionalità richiesta e pretesa, alle esose tasse universitarie, all’impegnativo percorso formativo, al mancato riconoscimento del prestigio sociale rispetto ad un quadro normativo, in termini di atti assistenziali infermieristici, ormai obsoleto.
La categoria infermieristica è in forte crescita sia dal punto di vista culturale che da quello assistenziale e, da anni, rivendica la giusta rappresentatività in tutti i settori politico-sanitari, chiedendo di finirla con il considerare gli infermieri al pari dei missionari e, al contrario, considerarli operatori professionisti dell’assistenza infermieristica, alla stessa stregua dei medici seppure in ambiti diversi.
La segreteria aziendale Fials
Adriano Santori