Senza Filtro - Virginio Gazzolo e Benedica Boccoli sono gli interpreti del testo shakespeariano “La tempesta” in scena in prima nazionale oggi, martedì 25 luglio, al Teatro romano di Ferento per la regia di Walter Manfrè.
La fonte del testo, anche secondo Benedetto Croce, va ricercata nell’italianissima “Commedia dell’Arte”, la cui impronta si avverte particolarmente in due personaggi, Stefano e Trinculo, che ci ricordano Arlecchino e Pulcinella.
Tuttavia nell’opera l’elemento farsesco non è determinante, vi prevale, invece, un’atmosfera come purificata dopo un uragano: lo sfondo è un’isola in cui domina un’aurea fiabesca, metafora del teatro e, quindi, del mondo. Il clima di quest’opera, altro elemento italiano, ricorda quello dell’isola immaginata da Dante nel “Purgatorio”.
I naufraghi vi approdano per pentirsi ed espiare, con il mago Prospero in veste di Catone, durante lo svolgersi della rappresentazione nelle vesti dell’autore e del coordinatore dell’azione scenica. Spettacolo nello spettacolo. Secoli dopo, Pirandello, e non solo, vi ha giustamente attinto. Ancora una volta Shakespeare, ci ricorda che “ il mondo è un gran teatro: uomini e donne nient’altro che attori”.
La commedia dell’arte, tra macchine teatrali che evocano con rumori e suoni, paesaggi immaginari, scandisce la solitudine di Prospero, uomo di teatro in occasione dell’ultimo spettacolo. In quest’opera, a differenza di altre, i personaggi hanno una sorta di perdono collettivo, a dimostrazione che forse nell’ultimo suo scritto Shakespeare non vuole disegnare vendette, ma consegnarci la speranza di poter cambiare.
Rappresentata per la prima volta a Corte nell’estate del 1611 e poi nell’inverno del 1612-13, “La Tempesta” è l’ultima opera interamente dovuta a Shakespeare ( infatti “Enrico VIII” e ancor più “I due nobili congiunti” sono drammi scritti in collaborazione con Fletcher) dopo la quale egli si ritirò a Stratford-upon-Avon per morirvi nel 1616. Proprio per questo la commedia è stata ed è spesso considerata in chiave autobiografica; l’opera di un artista, e di un uomo, ormai stanco, forse esaurito, incline dopo la stregua ricerca drammatica ed esistenziale delle grandi tragedie- a ripiegare in una visione rassegnata della vita e che dunque lancia, attraverso Prospero, il suo messaggio di rinuncia al teatro.
“Mentre ci dichiariamo consapevoli dei rischi insiti nel tentativo di una realizzazione teatrale legata ad un testo mitico quale “La Tempesta”, tuttavia non possiamo qui nascondere in quale sovrabbondante misura ci pervada il fascino dell’impresa scrive il regista Manfrè - Quali le paure?
Innanzi tutto, come per ogni grande classico, quella di rimasticare il già detto, il già visto, soprattutto se ci si riferisce alle letture che i più grandi registi di tutto il mondo e di tutti i tempi ne hanno dato. Per noi, in questo senso, rimane emblematica quella di Peter Brook: semplicissima nell’impianto visivo, profondissima nell’analisi dei contenuti. Come fare a staccarsi dal ricordo di una messa in scena cui aderimmo totalmente fino al punto da sentirci, nel momento della nostra partecipazione all’evento in veste di spettatori, assolutamente inadeguati ad una eventuale nostra futura responsabilità in veste di registi?
L’unico modo possibile è quello, forse, di non abbandonare quel ricordo ma di tenercelo accanto, divagando, puntualizzando, aggiungendo, togliendo, modificando. Amandolo.E’ l’elemento che in questo senso ci sembra possibile ridiscutere aprendo un rapporto dialettico con quel testo e con quella regia, è sicuramente quello del “Ludo”. Abbiamo sempre creduto nella commistione fra “Rito” e “Ludo” come imprescindibile necessità affinché l’evento teatrale raggiunga la propria essenza intima e “La Tempesta” è il testo, anzi, “Il regno” del gioco, del sogno, della magia.
Dentro quel regno tutti noi, non solo ogni attore ma anche ogni singolo spettatore, può essere e accontentarsi di essere non necessariamente un mago, ma anche semplicemente un illusionista o un prestigiatore.
Questa “Tempesta” è la cronaca di uno spettacolo dove tutti siamo interpreti: gli attori nel ruolo dei loro personaggi e gli spettatori nel ruolo di sostegno attivo alla presentazione affinché si crei ogni sera la giusta alchimia e dove il confine tra palcoscenico e platea si assottiglia sino al punto di ritrovarci a vivere uniti su quell’isola…..e fuori di essa? Il nulla o…altre isole per altre “Tempeste” o regge per altri “Amleti” o boschi, chissà, per “Sogni d’estate”……”.