Riceviamo e pubblichiamo
- Non considero affatto obsoleta in generale l'opposizione fascismo-antifascismo, al contrario la considero attualissima, come poi dirò meglio.
Invece considero inutile o controproducente l'uso della coppia fascismo-antifascismo in questo caso e riguardo ai fatti che hanno coinvolto gruppi di giovani (come quelli di “Vertice primo”) che hanno posizioni “di destra” e fasciste, ma che di fatto sembrano isolati sia dalla destra istituzionale sia dalle organizzazioni filofasciste maggiori, e che vivono una situazione di più o meno voluta emarginazione dal tessuto istituzionale.
Le loro posizioni sono anarcoidi, antiistituzionali, e nutrite di confuse rivendicazioni sociali; il riferimento al fascismo però li conduce ad accettare se non a esaltare l'uso della violenza, percepita comunque come una risposta alla violenza altrui.
Non è utile bollarli come “fascisti”. Si finisce per consolidarli in posizioni difensive e di emarginazione, mentre non è affatto impossibile convincerli a rinunciare all'uso della violenza, e tentare un percorso di recupero.
Pensiamo ancora che li muova la reazione ad una situazione di emarginazione ed autoemarginazione dal tessuto politico culturale che, per quanto asfittico, esiste anche in questa città. Se è così, occorre avviare un percorso di comunicazione e di recupero.
Le forze che (come il Cat) hanno rifiutato il confronto dell'altra sera lo hanno fatto con motivazioni serie e che vanno discusse. In breve, rifiutano di ridurre quanto succede ad un discorso sociologico e non politico, vedono un reale pericolo fascista, si considerano indiscutibilmente vittime dell'aggressione e respingono ogni “teoria degli opposti estremismi”.
Dirò prima dove mi pare che abbiano ragione, e dove invece sta, per me, il dissenso.
La coppia fascismo-antifascismo in Italia non è affatto obsoleta. L'Italia ha una storia particolare e la storia della destra italiana (anche di quella conservatrice) è sempre stata impastata e collegata al fascismo. Non tutta la destra, ma una sua maggioranza e una grossa parte del centro hanno, in generale, avuto una atteggiamento di giustificazione del fascismo e di sottovalutazione del suo ruolo reazionario.
Questo era evidentissimo negli anni '70: gli apparati dello stato (polizia, carabinieri magistratura, forze armate, ministeri, settori dei partiti di governo) erano ancora pieni di personale di formazione fascista e spesso permeati di idee antidemocratiche mascherate e giustificate dall'anticomunismo.
Queste forze trovavano l'appoggio, se non la sollecitazione, dei servizi americani, pronti a trattare l'Italia come la Grecia o il Cile in caso di sviluppi politici sgraditi. Non c'è bisogno in questa sede di rifare la storia della strategia della tensione. I gruppi fascisti con cui ci si scontrava si inserivano in questo contesto, non erano affatto emarginati e privi di appoggi, ed erano in grado, per esempio, di creare un vero e proprio clima di paura in molte zone e quartieri di Roma o di Milano, per non parlare del sud.
Eppure anche nel combatterli si mostrò evidente il limite dell'”antifascismo militante”: esso coprì la crescita di posizioni violente e aggressive all'interno della sinistra.
La teoria degli opposti estremismi, falsa all'inizio, finì per avverarsi e da sinistra si commisero delitti efferati come la strage della famiglia Mattei.
Non i gruppi di destra, ma singole persone e situazioni finirono per essere effettivamente vittime.
Oggi il, problema del fascismo di ripresenta in forme diverse: con i vari tipi di revisionismo storico (attacco alla resistenza e alla costituzione), rilancio, ancora prudente, del militarismo e della politica della forza, autoritarismo sociale, antiislamismo, opposizione al multiculturalismo e così via. Il tutto nutrito da ricostruzioni storiche adattate alla bisogna.
Giorni fa ho sentito alla radio il discorso di Berlusconi ai giovani di Forza Italia: a sentirlo, uno crederebbe che la seconda guerra mondiale è stata scatenata da una alleanza nazisti-comunisti e vinta dagli americani.
Nessun cenno al fatto che in Italia ci fosse il fascismo e avesse invaso (o tentato) 15 paesi; scomparsa Stalingrado, mai vista la Resistenza; scomparsi perfino gli inglesi, poveretti. Una ricostruzione da fumetto, ma che non va sottovalutata.
Il fascismo, per la destra italiana, anche quella che si presenta come centro, è stato un saggio regime conservatore, un po' autoritario ma bonario e paternalista, che ci difendeva dai comunisti, e che ha sbagliato solo a fare la guerra e le leggi razziali contro gli ebrei (il razzismo contro gli slavi non conta, per non parlare di quello contro i negri), comunque colpa dei tedeschi.
L'aspetto non conservatore, ma reazionario del fascismo, l'essenzialità del razzismo, del colonialismo, della guerra, della lotta contro la democrazia nel pensiero e nella politica fascisti vengono taciuti. L'Italia democratica è regalo degli americani, la Resistenza era infettata dai comunisti assassini.
A fianco di tutto questo non mi stupisce affatto che vengano fuori i gruppi “estremisti” di destra.
Il Cat ha ragione di sottolineare questo pericolo. Ha anche ragione di rifiutare in generale la teoria degli opposti estremismi.
Ha torto però: nell'applicare queste considerazioni in tutte le situazioni, senza distinzioni; dovunque ci sia possibilità di recupero, va tentato;
nel sottovalutare il pericolo di ammettere e facilitare la crescita di posizioni violente all'interno della sinistra; su questo punto bisogna arrivare ad un rifiuto deciso e senza equivoci della violenza come metodo di risposta e di ritorsione alla violenza altrui.
Per esempio nel sottovalutare e non analizzare fatti gravi e oscuri come l'attacco al bar Kansas.
Insomma, bisogna evitare qualunque ritorno alla politica disastrosa dell'antifascismo “militante”.
L'antifascismo va rilanciato come difesa della Costituzione, informazione e cultura storico-politica, capacità di critica e autocritica, politica dell'integrazione sociale e multiculturale.
Non serve a darsi un'identità e tanto meno a coprire le proprie magagne.
Paolo Henrici De Angelis