Riceviamo e pubblichiamo
- E’ stato detto che il calcio non è solo un’azienda e, comunque, non è un’azienda normale. Il calcio è la monetizzazione di un sentimento. Poiché si tratta di un’industria atipica, trainata dalla passione e dal tifo. E i tifosi non si possono considerare semplici utenti del prodotto. Si sentono, al contrario, i padroni della squadra che indossa i colori della propria città. Quando entrano allo stadio non lo fanno solo per vederla vincere, ma anche (soprattutto) per amarla. Ciò avviene in tutte le latitudini del globo e per questo il calcio è il gioco più seguito (amato) al mondo.
C’è da chiedersi se tutto ciò sia vero (e noi crediamo che lo sia) di fronte all’indifferenza crescente con cui si vede affrontare il drammatico approssimarsi di scadenze federali che potrebbero mettere a repentaglio la sopravvivenza stessa della Viterbese. Ci si chiede, sempre più perplessi, quando sarà mai possibile consentire ai tifosi gialloblù di sognare la realizzazione di un progetto, duraturo e lungimirante, che abbia per oggetto la loro squadra del cuore.
Si assiste impotenti allo stucchevole susseguirsi di presidenze opache. Che di fatto bloccano ogni iniziativa costruttiva. Che si limitano quando va bene a una gestione notarile della squadra. E che, quando va male, la precipitano verso il baratro. Con il risultato incontrovertibile di affievolire, con inesorabilità pari alla loro insipienza, il già tiepido interesse di un contesto afflitto dal disincanto e dal disinganno.
L’arrivo di Pecorelli, con le sue travolgenti dichiarazioni di inizio stagione più volte incautamente reiterate, aveva acceso una parvenza di reattività. L’evolversi brutale degli eventi ha di nuovo alzato quel muro di apatia con cui da anni la città si pone dinanzi alle vicende societarie della Viterbese. Fatta salva la mitica, quanto sciagurata, parentesi della gestione Capucci.
Domina incontrastata la dietrologia, alimentata dalla rabbia. Per quali oscure ragioni Pecorelli è venuto a investire a Viterbo? Chi glielo ha fatto fare? Perché ha pensato di illudere un ambiente già molto provato? A essa si affianca il cinismo di quanti credono che, a Viterbo, chissà perché nulla potrà mai cambiare in termini calcistici. E che la città debba subire una sorta di condanna. Quella di essere preda di pseudomecenati, venuti più o meno da lontano, che nulla hanno a che spartire con la passione viscerale che i tifosi nutrono per i loro colori.
Latita anche il senso di responsabilità. Che dovrebbe indurre chi può a schierarsi e a sostenere un progetto purchessia. Ciò che nessuno nella Tuscia, istituzione o imprenditore che sia, ha inteso fare finora con la necessaria tenacia. Quella che aiuta a superare i tanti intoppi che si presentano lungo un itinerario per sua natura scabroso. E che induce a mettere sempre la squadra nelle mani di “forestieri”, il più spesso privi di ogni acume strategico.
Si sente anche parlare, in termini disfattisti, di mera illusione. Di pesci che abboccano all’amo del millantatore di turno. Come potrà mai decollare, con questi sterili presupposti, l’entusiasmo di un contesto che pure gli esauriti registrati al Rocchi nei play off del 2004 hanno dimostrato essere un fatto tangibile?
Manca, quel che è più censurabile, la voglia di partecipazione. Quella capace di produrre un’azione compatta e unitaria fondamentale per favorire la nascita di progetti compatibili e condivisibili. Di consolidare una “realtà gialloblù” che dura ininterrottamente dai primi anni ’90 e che si avvia a festeggiare il centenario. Ciò cui si dovrebbe aspirare sopra ogni altra cosa. Perché attiene all’etica del nostro sentire individuale.
Sarebbe necessario, dunque, che ognuno facesse finalmente la sua parte. Che assumesse le iniziative che per ruolo gli competono. Che avanzasse proposte costruttive, senza restarsene comodamente affacciato alla finestra. Che si facesse carico degli oneri derivanti dalle singole responsabilità, liberamente assunte. Che collaborasse in modo fattivo al perseguimento di un obiettivo più a portata di mano di quanto si creda.
Chi può ci aiuti a salvare il Leone. E poi, si impegni per aiutare a far decollare un progetto che è alla portata delle tradizioni storiche e culturali della città di Viterbo.
Chi può ci aiuti a sognare. Perché anche sognare è tra i diritti di un uomo e di un cittadino. Come diceva Martin Luther King “il sogno di un uomo solo può essere un illusione, il sogno di tanti uomini messi insieme può diventare una realtà”
Sergio Mutolo