Senza Filtro - Caro direttore,
in questi giorni la città di San Benedetto del Tronto è sulle prime pagine di tutti i giornali per le vicende che riguardano la sua squadra di calcio, la mitica Samb. Ne diamo ampio conto nelle pagine del nostro sito www.viterbesecalcio.com e le seguiamo con quel pizzico di inevitabile invidia che si insinua quando si vede fare, ad altri, ciò di cui noi non siamo capaci.
D’altra parte la differenza tra Viterbo e San Benedetto del Tronto è, a nostro avviso, palpabile. In ambito calcistico, e non solo.
Si confrontano, da una parte, una città rivierasca (intrisa di forti passioni e adusa a forme di ampi interscambi) e, dall’altra, una città troppo di frequente asserragliata nella sua cerchia di mura medioevali. E, quasi per scelta, isolata dal contesto. Ne è prova in passato, e tuttora, lo scarso interesse nel costruirsi una efficace rete di infrastrutture.
La stessa vicinanza di Roma, che avrebbe potuto costituire veicolo di cospicui vantaggi, non ha mai portato, e continua a non portare, benefici all’altezza. Anzi, viene vissuta piuttosto come una forma di sudditanza bucolica.
L'ho già scritto e lo ribadisco. L'indifferenza (che correla con l'assoluta carenza del comune senso di responsabilità) è purtroppo un dato tangibile, a Viterbo e nella Tuscia. Senza intuire che si tratta di un sentimento micidiale per l'anima come lo è la muffa per le cose. Che si tratta dell'essenza dell'inumanità, della paralisi dell'anima, di una sorta di morte prematura.
E se l'ignoranza e la passione possono talora divenire i nemici della moralità di un popolo, l'indifferenza morale è la malattia delle classi colte.
Lo dimostra l'atteggiamento dei "capitani d'industria" della Tuscia e della classe politica indigena che osservo da lontano - grazie a un'attenta quanto noiosa lettura delle cronache locali, specie in questo sciagurato periodo che precede le elezioni politiche più tristi della nostra storia - ripiegati nel proteggere i propri risicati orticelli ovvero nel conquistare la posizione più vantaggiosa possibile rispetto al possibile vincitore. A difesa di interessi, il più spesso meramente e sfacciatamente individuali, cui non corrisponde di fatto la tutela di alcun reale interesse generale.
Avremmo dovuto (potuto) saper emulare quanto sta accadendo a San Benedetto. Perché ci sono momenti nella vita in cui dimostrare passione e civismo può significare capacità di partecipazione. Momenti nei quali si avrebbe il dovere morale di tirar fuori da noi stessi il meglio che abbiamo dentro. E però la parola etica diventa, ogni giorno che passa, una parola vuota.
Ebbene queste preziose occasioni a Viterbo, in ambito calcistico e non solo, vengono con ripetuta frequenza lasciate sfuggire senza che mai nulla di diverso accada rispetto alle normali quanto trite aspettative. Salvo poche rare e meritorie eccezioni. E’ noto però che una rondine non fa primavera.
Eppure è proprio da occasioni simili che potrebbero scaturire consenso, condivisione e, ciò che più conta, senso di appartenenza al proprio territorio e alle proprie origini.
Sergio Mutolo