Senza Filtro - Nell’ambito del progetto “Il Sogno di Basaglia”, partito a gennaio ad Acquapendente e che si concluderà il 6 giugno al Teatro Boni con lo spettacolo “La pecora nera” di e con Ascanio Celestini, si è svolta lo scorso 22 marzo una visita al Museo della Mente presso il Santa Maria della Pietà a Roma.
La gita nella capitale è stata organizzata a corredo del secondo appuntamento de “Il Sogno di Basaglia”, svoltosi nella cittadina aquesiana dall’1 al 4 marzo, quando è stato ospite dell’evento il prof. Tommaso Losavio, direttore del Centro Studi Santa Maria della Pietà.
A raccogliere l’invito, ed a partire da Acquapendente alla volta di Roma, sono stati in molti: oltre ad esponenti dell’Associazione iTusci, promotrice de “Il Sogno di Basaglia” e della gita, e della cooperativa Radici, numerosi operatori dell’Amiata, di Orvieto, di Tarquinia e di Viterbo.
“Il Santa Maria della Pietà - per definirlo in numeri 150.000 cartelle cliniche dal 1850 al 1980 - sorge monumentale alle porte della capitale appena lasciata la Via Trionfale, in prossimità dell’ospedale San Filippo Neri, su ben 23 ettari di terreno chiuso da mura di cinta e contenente decine di padiglioni che costituivano i vari reparti: reparto uomini, donne, bambini, ospedale, convento, refettorio, cucine ecc.
Un piccolo sistema di palazzi settecenteschi su pianta circolare, apparentemente autonomo, palesemente costretto ma affondato in un parco di tigli, pini e querce secolari, dove si capisce subito che la vita può svolgersi anche per anni, per decine di anni... non fosse per quelle grate, finestre non apribili né da dentro né da fuori”. Queste le parole con cui Viola Buzzi dell’associazione iTusci racconta e descrive quest’esperienza particolare.
Il gruppo è stato accompagnato all’interno della struttura, per compiere una visita guidata in quello che un tempo era l’Ospedale de’ pazzi: la biblioteca, l’archivio storico, una sala conferenze dove si svolge un laboratorio teatrale.
“Cominciamo da una mostra sullo sterminio del Reich nei confronti dei disabili continua Viola Buzzi -, ad opera degli psichiatri... incoraggiati passiamo alla visione di un libro prezioso del 1700, appena restaurato, dell’Hortus Botanicus di Roma, con tavole dipinte a mano raffiguranti erbe mediche utilizzate per gli antichi rimedi, restiamo incantati dalla meraviglia di quei testi tra cui un altro del 700 sui primi studi anatomici illustrato da Pietro da Cortona. Effettivamente lì dentro, negli sguardi di chi ci lavora, si percepisce lo smontaggio del manicomio di cui parla Franco Basaglia, si percepisce anche la fatica di rimontare, di rendere accoglienti i lunghi corridoi identici a destra e sinistra, con porte sospette dappertutto”.
“… continuiamo a camminare e dietro un primo edificio eccone un secondo, il reparto più difficile - ci annuncia il prof. Losavio che fa da guida - quello con i casi più disperati, con la primaria tremenda... nessuno fiata, nessuno chiede. Ci appare subito la contraddizione: all’esterno fatiscente, sotto illuminato e nuovo e sopra senza finestre, buio come la pece, come quello precedente. La parte sotto ospita il Museo della Mente, la parte sopra è ancora magazzino di tutti gli oggetti del luogo. Siamo arrivati, ci ricordiamo che eravamo venuti per visitare il Museo, ma lì siamo coscienti che siamo in visita al manicomio, alla casa de’ pazzi.
Il Museo ci accoglie con una citazione di Primo Levi ‘è accaduto e quindi può accadere’, tanto per non perdere di vista il succo. Il Museo della mente è una bella invenzione, in un’ala le vecchie stanze rigorosamente piastrellate in celeste, in parte lasciate come in origine, in parte riadattate a sale mostra; l’oggetto di questo museo sono le stanze e gli oggetti stessi: lettini per visitare bambini, scaffali, legacci, camicie di forza, stoviglie, ampolle, elettroshock rudimentali e più recenti, macchine che servono per fare i tessuti umani come carta velina... e gli oggetti appartenuti ai pazienti, dagli effetti personali che venivano impacchettati e che nella maggior parte dei casi sono ancora impacchettati, ai tanti meravigliosi disegni, oli, tempere, opere realizzate in ore e ore di permanenza, da mani e menti geniali, paradosso grottesco, ci sono pure cervelli sottospirito di bambini senza patria, magari nati lì dentro o che, per quello strano sistema assistenziale in cui il manicomio era ascritto sotto la gestione ecclesiastica fino alle porte del novecento, passavano la vita dal brefotrofio al convento al manicomio. Dopo due ore di visita usciamo entusiasti, con molte cose da dire che però nessuno dice.
Il professore ci dà in dono per la Biblioteca Comunale di Acquapendente il cofanetto in tre volumi dell’Ospedale, un gesto che apprezziamo molto, 3,4 Kg che ben rappresentano la grandezza e il peso che ci lascia quella visita”.
“Una fortuna vera visitare un manicomio e riandarsene conclude Viola nel suo racconto -. Molto più coscienti delle battaglie che qualcuno per tutti ha vinto senza replica, delle superficialità che qualcun’altro non risparmia su diritti indiscutibili. Un manicomio diventa anche un luogo meraviglioso, da visitare per conoscere quanto siamo stati matti... altro che i matti. Grazie Franco, per il tuo sogno che continueremo a sognare”.