Viterbo - Macchina di Santa Rosa - Una storia fatta di luce ma anche di tragedie
Dalla caduta alla mossa al fermo di Volo d'angeli
di Mauro Galeotti
24 agosto 2007 - ore 3,50
- La Macchina di santa Rosa è una torre realizzata, fino a qualche decennio fa, con carta pesta montata su un telaio di legno. Oramai quel sistema è stato abbandonato e sostituito con materiali vari, come resina, plastica e fibra di vetro, sostenuti da una intelaiatura di tubi in acciaio.
E’ trasportata la sera del 3 Settembre di ogni anno, con inizio alle ore 21, da Porta Romana al sagrato della Chiesa di santa Rosa.
Il 15 Maggio 1512 con una decisione del Consiglio comunale venne ufficialmente consacrata la festa in onore di santa Rosa, da celebrarsi ogni anno il 4 Settembre, istituendo anche una processione.
In seguito, per maggior rispetto e per consentire una più assidua partecipazione dei fedeli alla festa, i conservatori del popolo, per il giorno 3 Settembre 1600, ordinarono ai cittadini di non aprire le botteghe e di non eseguire lavori, poiché quel giorno doveva essere dedicato alla visita del corpo di santa Rosa.
Fino a quel momento non viene mai citata la Macchina, infatti, è menzionata per la prima volta nel 1624.
E’ certo comunque che nel 1654 è indicato il nome “macchina”, come era in uso, per distinguere il baldacchino con montata sopra un’immagine, in questo caso quella di santa Rosa e si sa pure che il Comune contribuì, alla riuscita della festa, con l’esborso di sei scudi.
Ma un triste avvenimento offuscò la manifestazione, infatti si è a conoscenza che per la pestilenza furono sospese le feste fino al 1663, che vennero riprese solamente l’anno successivo.
Il 27 Giugno 1717 fu stabilito che la Macchina venisse coperta da una struttura rigida, da erigere a fianco della Chiesa di san Sisto, entro la quale fosse possibile costruirla, per eluderla dagli occhi dei cittadini e per proteggerla dalle intemperie.
L’idea fu avanzata dal signore della Festa Pietro Antisari, il quale partecipò egli stesso alla spesa di scudi venti per tale realizzazione.
Nel 1758 la Macchina cadde alla mossa, ossia alla partenza, venne comunque rimessa in piedi per poter riprendere il cammino.
Nel 1776 la Macchina cade alla partenza da Piazza del Plebiscito.
Nel 1786 venne ricostruita la tettoia che copriva la Macchina perché era assai rovinata e non dava più il riparo necessario. Infatti, nella seduta del Consiglio generale, tenuta il 22 Luglio di quell’anno, tra l’altro si disse:
«il luogo da situarsi la Machina di essa Santa, si trova quasi diruto» è necessario quindi «il sollecito ristabilimento di esso sito».
Ma il trasporto di quell’anno è memore della caduta della Macchina avvenuta all’inizio della salita di santa Rosa, dove in quel tempo era il termine del trasporto.
Dal 1790 al 1792 si trova autore della Macchina tale L. Romani. Purtroppo, però, al suo primo trasporto la mole cadde in terra alla mossa e furono tali i danni, che non fu più possibile raddrizzarla.
Durante il trasporto del 3 Settembre 1801, morirono una trentina di persone a causa della caduta in terra di una donna, tale Sensi di Grotte santo Stefano, che era stata derubata da alcuni borsaioli e che provocò, in Piazza Fontana Grande, gravi momenti di panico agli spettatori per le grida della donna stessa.
Fu travolta, in quell’occasione funesta, anche la processione che accompagnava il trasporto, tanto che morirono quattro canonici.
La Macchina restò, per fortuna, salda sulle spalle dei facchini avanti al Palazzo Fani per almeno mezz’ora, perché quest’ultimi attendevano lo sgombero della via.
Ma ripreso il percorso la Macchina andò a fuoco in Piazza delle Erbe e fu lì abbandonata alle fiamme.
Il trasporto del 1814 non poté essere effettuato il 3 Settembre per l’assenza del delegato apostolico, il 4 seguente fu rinviato per la pioggia ed il vento, il 5 sembrava tutto in ordine, ma alla “mossa”, per un comando errato, la Macchina cadde indietro, uccise due facchini e distrusse la tettoia che la custodiva.
Ripresa in mano la situazione, fu caparbiamente trasportata, ma all’altezza del Palazzo Bussi a metà Corso Italia, forse, per la mancata distribuzione dei pesi, i facchini stremati non riuscirono più a tenerla in piedi, tanto che cadde; alcuni di loro rimasero uccisi e altri gravemente feriti.
Il trasporto del 1820 ebbe un tragico epilogo, infatti la Macchina cadde avanti alla Chiesa di sant’Egidio, dopo aver urtato le grondaie dei tetti. Per fortuna nessuno venne ferito assai gravemente, solo Paolo Nanni restò “storpio per la rottura di una coscia”. Egli venne accusato di aver abbandonato la sua postazione, ma una volta chiarito il comportamento del facchino, il Comune gli concesse un sussidio, per più anni, di diciotto scudi.
Nel 1877 la Macchina, nel tratto tra le Chiese di santa Maria del Suffragio e di sant’Egidio, toccò una gronda e la fece cadere; nel 1878, invece, il trasporto per il forte vento, venne effettuato il 5 Settembre.
Nel 1899 alla “mossa” cadde il cupolino che fu ripristinato alla meno peggio, ma in Piazza del Comune presero fuoco i capelli della statua di santa Rosa e con loro la statua stessa, l’incendio venne spento e la Macchina riprese il cammino e raggiunse la Chiesa di santa Rosa.
Nel trasporto del 1926 morì un facchino, Nazzareno Bentivoglio, sembra perché schiacciato contro un muro in Piazza Fontana Grande o per un eccessivo sforzo. Nel 1938 inavvedutamente la Macchina batté avanti al Caffè Schenardi, contro un filo elettrico teso a cavallo del Corso Italia. Si mosse un po’ il cupolino, ma la marcia riprese senza ulteriori problemi.
Il 3 Settembre 1967 la Macchina di santa Rosa, del costruttore Giuseppe Zucchi, si fermò in Via Cavour, avanti al Palazzo dell’Amministrazione provinciale, a causa, sembra, di qualche difetto nella costruzione.
I facchini lamentavano il fatto che durante il trasporto la Macchina si avvitava su se stessa, a causa della modifica eseguita dal costruttore, il quale aveva abolito le travi alla base, che fuoriescono sia nella parte anteriore che in quella posteriore.
La Macchina d’un tratto rallentò la sua corsa, si fermò sostenuta dai facchini, tra il panico dei presenti sbandò verso destra colpendo la grondaia del Palazzo Galeotti, sede dell’Amministrazione provinciale. Fu prontamente raddrizzata ed in soccorso furono fatti tornare indietro i cavalletti, che nel frattempo erano stati collocati nell’antistante Piazza del Plebiscito.
La Macchina, dopo i vani e disperati tentativi di Zucchi nei confronti dei facchini per far riprendere il trasporto, fu poggiata sui sostegni, puntellata ed ancorata.
Restò lì fino a quando venne smontata, tra discussioni ed interpretazioni sul fatto così straordinario, mai accaduto.
Dal 1986 al 1990 è la volta di Armonia celeste, la Macchina ideata dallo scultore Roberto Ioppolo e dall’architetto Alfiero Antonini e realizzata dall’appaltatore Socrate Sensi.
L’altezza della mole era di 33,90 metri, il peso di 4754 chili e dopo aver urtato, nel primo trasporto, un cornicione al Corso Italia verso il Suffragio, sfiorò la tragedia alla curva dell’arrivo avanti alla gradinata della Chiesa di santa Rosa, perché avendo calcolato male la curva stessa o per la troppa foga nel raggiungere il culmine della salita, alcuni facchini si trovarono a dover salire sui gradini della chiesa, causando un pauroso piegamento verso sinistra della Macchina.
Con estrema fermezza e determinazione il capo facchino ed i facchini, incitati dai familiari lì presenti, riuscirono a raddrizzare la Macchina e con successo raggiunsero la ormai secolare piazzola di sosta.
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