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Volo d'Angeli
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- Il 3 settembre 1967 la Macchina di santa Rosa, del costruttore Giuseppe Zucchi, nato a Viterbo nel 1922, si fermò in Via Cavour, avanti al Palazzo dell’Amministrazione provinciale, a causa, sembra, di qualche difetto nella costruzione.
I facchini lamentavano il fatto che durante il trasporto la Macchina si avvitava su se stessa, a causa della modifica eseguita dal costruttore, il quale aveva abolito le travi alla base, che fuoriescono sia nella parte anteriore che in quella posteriore.
Quella sera il caso volle che mi trovassi affacciato in un balcone del Palazzo Falcioni, che fa angolo con Via Romanelli, ospite dell’amico giornalista Mario Dini. Avevo sedici anni e fu un’esperienza terribile, vissuta istante dopo istante.
La Macchina d’un tratto rallentò la sua corsa, si fermò sostenuta dai facchini, tra il panico dei presenti sbandò verso destra colpendo la grondaia del Palazzo Galeotti, sede dell’Amministrazione provinciale.
Fu prontamente raddrizzata ed in soccorso furono fatti tornare indietro i cavalletti, che nel frattempo erano stati collocati nell’antistante Piazza del Plebiscito.
La Macchina, dopo i vani e disperati tentativi di Zucchi nei confronti dei facchini per far riprendere il trasporto, fu poggiata sui sostegni, puntellata ed ancorata.
Restò lì fino a quando venne smontata, tra discussioni ed interpretazioni sul fatto così straordinario, mai accaduto.
Giuseppe Zucchi tra le polemiche che divamparono, tra le opinioni più differenti, rammaricato, collocò sulla base un cartello, che firmò, con la scritta «Abbandonata dai Cavalieri di Santa Rosa»
Per l’infausta occasione fu scolpita una lapide che mi sembra di ricordare portasse le parole «Fermo Macchina di santa Rosa 1967», ma non fu mai collocata a dimora, anzi ho saputo che è stata distrutta verso il 1995, dopo essere stata custodita fino allora in una stanza del Palazzo dell’Amministrazione provinciale.
Restano a ricordo del fatto solo due anonime, dimenticate, grappe murate sulla facciata del palazzo stesso tra i numeri civici 22 e 24.
La Macchina, che raggiungeva i trenta metri di altezza, per la prima volta nella storia portò un nome, fu chiamata Volo d’angeli e fu trasportata per ben dodici anni, fino al 1978.
Ho l’onore di conservare un ciuffo, il numero 5 di quell’edizione, prezioso ed ambito dono del costruttore con la dedica «All’amico Mauro Galeotti, l’autore-costruttore e direttore del Volo d’Angeli, anni 1967-1978, G. Zucchi».
Nel 1975, nel costruire il capannone che accoglieva la Macchina di santa Rosa, un operaio cadde dall’impalcatura e morì, era il 4 Agosto, a Zucchi venne ritirata l’autorizzazione per continuare a costruire il capannone stesso, il costruttore, coraggioso e caparbio, decise allora di erigere la Macchina priva di copertura, così il trasporto fu salvato.
Mauro Galeotti
dal libro L'Illustrissima Città di Viterbo