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Riceviamo e pubblichiamo
- Già nel giugno scorso sottolineavamo che il disegno di Legge sulla Politica energetica italiana, fatta salva la parte che attiene al neonato comparto delle energie alternative, esprime la preoccupante posizione della maggioranza della compagine di Governo che ritiene necessario allineare la politica energetica nazionale a quella individuata in sede europea senza tener in debito conto delle peculiarità e delle opportunità presenti in tal senso nel nostro Paese.
Nonostante in dieci anni (1990-2001) con la dismissione di centrali a carbone la Germania e il Regno Unito abbiano ridotto le emissioni di CO2 rispettivamente del 141% e del 31% rispetto a quanto richiesto dal Protocollo di Kyoto, la strategia energetica europea, data l’ingombranza della Francia, auspica un ritorno al carbonuclearismo.
In tale contesto non si può che ritenere quale unica via d’uscita l’avvio di autonome politiche locali vertenti a valorizzare il proprio patrimonio energetico, nella fattispecie il sole, sviluppando contestualmente il relativo settore artigianale produttivo che paradossalmente vede l’Italia come fanalino di coda nel mondo.
Apprezzate comunque tutte le iniziative di carattere economico inserite nell’ultima Legge Finanziaria a favore della produzione di energia da fonti alternative, non si può nascondere, tuttavia, un certo disagio nel vedere che il nodo centrale su cui si continua a dibattere nel merito anche in sede di Governo si stringa ancora attorno alle fonti energetiche fossili.
Anziché sostenere la necessità di mettere a punto un Piano nazionale per l’autosussistenza energetica, obbligando l’intero Paese ad una sostituzione definitiva degli impianti energetici tradizionali con i sistemi di produzione decentrata e sostenibile, si insiste a mantenere alta e inamovibile l’attenzione su quali interventi adottare per continuare a garantire l’approvvigionamento di combustibili come gas, carbone, petrolio o aumentare gli interventi, generalmente disastrosi per il paesaggio e le economie locali, come l’idroelettrico o le biomasse.
Lo stesso ragionamento capzioso riguarda le emissioni, ad esempio quelle da traffico su cui si insiste ad ogni Finanziaria per un rinnovo del parco macchine anziché sostenere i comuni che intervengono autonomamente per una riduzione dello stesso a favore di diverse, sostenibili, forme di mobilità.
L’Italia importa oggi l’85-90% dei combustibili fossili necessari a mantenere la produzione energetica sui livelli attuali, dimenticando di considerare fra i primi posti negli interventi da mettere a regime il risparmio energetico, il ricorso a sistemi produttivi e di trasporto efficienti, la diversificazione - più che delle fonti - dei produttori di energia. L’ingerenza e la commistione fra macroeconomia e politica è chiara, ed è tristemente chiaro anche che in questa direzione il Paese resterà, se possibile, ancor più indietro, con un gap infrastrutturale e tecnologico incolmabile.
Alla luce delle insistenti e preoccupanti dichiarazioni che pervengono dalle più disparate parti politiche anche in sede locale, siamo costretti nostro malgrado stante le immutate condizioni - a ribadire la nostra già nota posizione in merito che, riteniamo, possa trovare ampia condivisione.
Sulle compensazioni economiche riproposte con il Ddl Bersani sull’energia (giugno 2006), ripreso a più livelli e con sempre maggiore insistenza, ricordiamo nuovamente che nel 1978 il 79,7% degli italiani ritennero di dover abolire la possibilità per gli enti locali di accettare compensazioni economiche in luogo dell’insediamento di centrali nucleari o a carbone sul proprio territorio. Illecito peraltro misconosciuto reiteratamente da molti comuni che, come Montalto di Castro ma anche Tarquinia negli ultimi giorni, hanno accettato di farsi compensare con la donazione di infrastrutture, beni mobili, populistiche promozioni locali.
Restiamo solidali e in linea con le istanze espresse in questi giorni dai movimenti di base contro il carbone.
Persistiamo nel promuovere e sostenere interventi e programmi locali sostenibili, osteggiando qualsiasi intento sviluppista o in mala fede che finisca per mantenere il territorio ostaggio delle servitù energetiche, del faraonismo industriale e della lottizzazione del territorio pubblico, assoggettamenti costruiti sul ricatto del lavoro, della povertà del servizio pubblico, dell’assenza di trasparenza gestionale e della strumentale penuria di risorse per l’imprenditorialità locale.
Christiana Soccini
Verdi Tarquinia