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Il prorettore Stefano Grego
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- E’ considerato il ministro degli esteri dell’università della Tuscia. E’ nato a Roma sotto i bombardamenti. Di famiglia ebrea, ha fatto del dialogo tra i popoli, un suo modo di vita. Una sorta di missione.
Il prorettore Stefano Grego ha da sempre privilegiato gli aspetti internazionali della sua attività. E non è un caso che di recente sia entrato a far parte del pool di scienziati europei che si occupa di desertificazione.
Nato a Roma marzo del ‘44 si è laureato in agraria a Perugia. Sposato, ha due figli.
Nel 1969 ha iniziato a lavorare al Cnr. E’ stato in Mozambico all’università Edoardo Mondane per conto ministero degli esteri.
“Dovevo - spiega con un pizzico d’orgoglio - avviare la cooperazione con l’università. In realtà la prima docenza l’ho fatta là. E’ stato un periodo bellissimo”. Come dire che Grego in Mozambico ha lasciato il cuore.
Nel 1987 ha vinto la cattedra chimica agraria all’università della Tuscia.
E poi una carriera accademica che lo ha portato alla carica di prorettore vicario nel 2001. Responsabile del progetto Socrates-Erasmus, coordinatore della Commissione per le relazioni internazionali dell’ateneo. Tre lauree ad honorem di cui una nel Mozambico. “E’ quella cui tengo di più”, ci tiene a sottolineare.
Qual è stato il suo punto di riferimento, il suo maestro?
“Il chimico agrario Giovanni Giovannozzi. Era direttore dell’istituto del Cnr in cui ho lavorato.
Anche grazie a lui sono venuto a Viterbo. Giovannozzi, con Giordano e Scarascia Mugnozza, è stato tra i fondatori dell’ateneo. Mi ha instillato l’amore per la scienza. La serietà della ricerca. La corretta metodologia”.
La sua nascita è stata segnata dalla seconda guerra mondiale...
“Sono di famiglia ebrea. I nonni da parte di mia madre sono stati deportati e sono morti ad Auschwitz. Mia madre viveva sotto falso nome. Mio padre si nascondeva in un convento.
Sono nato sotto un bombardamento nella clinica di Sant’Anna insieme ad altri due bambini. Proprio per non mettere in pericolo la mia vita, i miei genitori non mi riconobbero. Come dire: formalmente ero figlio di nn. Ho avuto il riconoscimento del mio nome e della paternità nel ’48, con sentenza del giudice”.
Una nascita complessa... Una famiglia di questo tipo cosa le ha lasciato?
“Il fatto di appartenere a una minoranza mi ha spinto a impegnarmi per il riconoscimento dei diritti di tutti. E su questo ho basato tutta la mia attività politica a Roma”.
Che tipo di impegno politico?
“Ho lavorato seriamente nel Pci. Sono stato nella segreteria regionale della Cgil - ricerca”.
L’origine ebraica ha inciso sulla sua formazione?
“La radice ebraica credo mi abbia dato un senso profondo della famiglia. Noi siamo quattro fratelli di cui una femmina. Io non sono credente, ma alcune festività ebraiche sono un modo di ricordare mio padre e stare insieme tra le varie generazione. Danno il senso della continuità familiare”.
Il periodo passato in Mozambico è stato un momento importante della sua vita non solo intellettuale.
“Fui molto contento di andarci. L’Africa stava cercando una via originale al socialismo. Molti leader cercavano una via indipendente dai due grandi blocchi. Furono anni molto interessanti. Intensi. Emozionanti.
Noi venivamo dall’esperienza straordinaria degli anni ‘70 del Pci. Il diploma de Honra da parte del governo del Mozambico, per la mia attività scientifica, mi fu consegnato dall’attuale moglie di Mandela. Il Mozambico era uno dei paesi più poveri del mondo. Vivere lì è stata una straordinaria esperienza. Per il fermento che c’era. Anche quest’esperienza mi ha spinto a sviluppare una dimensione internazionale della mia ricerca”.
Ma è vero che la considerano il “ministro degli esteri dell’università”?
“Sì, tutti mi considerano il ministro degli esteri dell’università della Tuscia. E’ un fatto che mi piace. Con il rettore Marco Mancini abbiamo sempre condiviso questa visione: le persone più si conoscono e più vanno d’accordo. Lo vediamo con gli studenti. Con l’Erasmus.
Quando vanno all’estero, tornano pieni amici, con una visione più ampia del mondo. Questo mi spinge alla cooperazione internazionale e la scienza mi permette di fare questo. Ho sempre creduto in questo. La seconda laurea honoris causa mi è stata assegnata anche per la mia attività internazionale”.
Nel periodo dell’impegno politico diretto, negli anni settanta, ha conosciuto Berlinguer. Che impressione ne ha avuto?
“Era un uomo di grande carisma e fascino. Capace di comunicativa, con un senso dello stato enorme. Ricordo una volta, quando fummo chiamati a fare una specie di servizio d’ordine, lo andammo a prendere via Frantani, sede provinciale del Pci, e lo scortammo a casa”.
C’è un erede di Berlinguer?
“No. Non credo... Anche se stimo molto D’Alema”.
Con la sua attività avrà conosciuto personaggi importanti?
“Ho conosciuto, per esempio, Nyerere, il presidente della Tanzania. Una persona che volava alto. Ad un’altezza superiore a tutti gli altri. Aveva una visione chiara del colonialismo e dell’Africa. L’ho conosciuto in una riunione Roma alla fine degli anni Ottanta”.
Sul piano scientifico di cosa è orgoglioso?
“Della scelta dei miei collaboratori. Sono scientificamente molto validi, umanamente disponibili e con mille interessi. E poi sono persone che sorridono. Questo mi assicura la continuità nei nostri studi, quando andrò in pensione. Cosa che potrei fare anche domani avendo 44 anni di anzianità”.
In che consiste la sua ricerca?
“Mi sono formato in Inghilterra per tre anni. Dove ho studiato la biochimica della pianta alla University of East Anglia. Quando sono venuto all’Università della Tuscia ho iniziato lo studio avanzato della fertilità dei suoli. Mi occupo di suolo. Del ruolo del suolo dell’ambiente e nelle dinamiche ambientali.
Il suolo è il substrato da cui le piante prendono energia che poi trasmettano a tutta la catena alimentare. Uno snodo fondamentale per la sopravvivenza uomo. Stiamo cercando di individuare indicatori di origine biologica che ci dicano in anticipo quali processi stanno avvenendo.
Quali mutamenti ambientali ci saranno. Quali cambiamenti climatici. Segnali che ci indichino come si degraderà l’ambiente. Vogliamo anche capire se possiamo riabilitare il suolo”.
Cosa dicono questi indicatori?
“L’attività dell’uomo ha modificato l’ambiente. Soprattutto nel sistema agricolo. Tanto è vero che le nuove pratiche agricole prevedono una pressione inferiore sull’ambiente. Ci sono dati anche poco conosciuti. Per esempio l’andamento delle riforestazione che riguarda il nord del Mondo e soprattutto la Cina.
La Cina è il paese che sta riforestando di più. Ebbene proprio grazie alla Cina il bilancio tra forestazione e deforestazione è in leggermente in positivo. Un cambio di tendenza significativo.
Anche se non basta. Il problema è che la deforestazione riguarda soprattutto le zone umide, le foreste pluviali. Che sono zone estremamente vulnerabili e che sono serbatoio fondamentale di biodiversità. Purtroppo non è la stessa cosa se si riforesta in Cina o nel nord del Mondo”.
C’è una tendenza al riscaldamento?
“Sì. E’ l’acqua degli oceani che si sta riscaldando”.
Ma pochi gradi possono essere significativi?
“Certo. Significano ghiacciai che si liquefanno e un aumento del livello dei mari. Anche la biodiversità sta cambiando.
Diverse persone a Viterbo che si occupano di queste questioni: Nascetti, Valentini, Giuseppe Scarascia e poi noi. Una strana concentrazione che forse andrebbe sfruttato meglio”.
Come andremo a finire?
“Oggi esistono le competenze nel mondo per ridurre le emissioni di gas serra. E’ solo una questione di investimenti per la ricerca e della sua applicazione. Per fare un esempio: i pannelli solari sono migliorati enormemente, ma costano ancora troppo. Con scelte di scala le cose cambierebbero.
Se si va in Cina su tutte le case c’è un pannello solare. In Israele, Francia e Germania hanno fatto la scelta di consumare meno petrolio. Sull’idrogeno si investe ancora poco ma già ci sono motori ibridi. Insomma, solo la ricerca si salverà. Va armonizzato lo sviluppo dell’uomo con l’ambiente, investendo nell’attività di ricerca”.
E questa Finanziaria che conseguenze ha sulla ricerca?
“Sebbene il rettore si sia molto speso per evitare effetti negativi per l’università, ci creerà molti problemi economici. La nostra università, grazie a Mancini, ha presentato un bilancio 2006 in pareggio.
Il 2007 speriamo che sia un anno di transizione e si possa passare a una fase con più possibilità di sviluppo per la ricerca. Una fase di espansione. Va favorita l’entrata dei giovani nel mondo della ricerca. Oggi si fa una strana selezione in negativo, con i ricercatori che prendono appena mille euro. E allora rimane chi è veramente interessato e chi non trova altri sbocchi”.
Ad agraria si lavora sugli Ogm?
“Non ci sono più i finanziamenti pubblici. Ma con i finanziamenti dei privati ci si continua a lavorare. Ovviamente è un errore, su questi aspetti la ricerca pubblica dovrebbe essere fortemente finanziata soprattutto per l’agroalimentare. Al contrario sono bloccati i finanziamenti sia del governo che europei”.
E all’estero cosa accade?
“L’Inghilterra ci lavora molto. Così la Spagna”.
Non ci sono pericoli?
“Secondo me no”.
Il non fare ricerca cosa comporterà?
“Evidentemente è un grande errore che rischia di tagliarci fuori da un settore importante della ricerca. La trasmissione di informazione genetica è relativamente semplice. E la disinformazione che è stata fatta potrebbe essere controbattuta finanziando la ricerca. Senza creare spettri che non servono a nessuno. Va fatta ricerca pubblica”.
Quali sono le sue passioni al di là della ricerca?
“Leggere e ultimamente il golf. Leggo soprattutto libri di storia e biografie. Meno i romanzi. Leggo tutto quello che trovo sulla Shoa, per capire”.
Progetti?
“Continuare lavorare nella Tuscia dando la mia disponibilità a collaborare con organizzazioni internazionali sui problemi dello sviluppo e dell’armonia tra sviluppo umano e qualità dell’ambiente.
Insieme altri due “pazzi furiosi” abbiamo creato un’associazione che si chiama Roman forum che ha la funzione di discutere questi problemi. Gli altri due “pazzi” sono l’ex funzionario delle Nazioni unite Maraja Muthoo indiano, persona conosciutissima nel mondo, e Antonio Tamburrino, uno dei fondatori del Club di Roma. Si tratta, in qualche modo, di un proseguimento del Club di Roma”.
I suoi pregi e difetti?
“Difetto: non penso mai male della gente. Ho troppa fiducia della gente e può essere un problema. Pregio: sono ottimista, aperto e curioso”.
Che cosa pensa morte?
“Penso che finisca tutto. Sono un materialista assoluto. Un po’, però, mi scoccerà”.
Come si vive con questa finitezza assoluta.
“Non ho paure particolari. Mi dà fastidio di più invecchiare. La sensazione è che uno non ha tempo di fare tutto quello che vorrebbe fare”.
Pentito di qualcosa?
“Non mi pento di nulla. Non mi guardo mai indietro. Beh, forse sarei potuto venire a vivere a Viterbo con i miei”.
Il suo rapporto Viterbo?
“Mi piace molto stare qua. Mi sembra che tutto sia più semplice. A Roma è tutto più complicato e allucinante. In questo modo di Roma ho solo il piacere, senza gli aspetti fastidiosi”.