Riceviamo e pubblichiamo - La presa di posizione del segretario provinciale dell’Udc Giovani, Edoardo Ciocchetti contro il lavoro precario mi ha sorpreso e mi sollecita alcune riflessioni.
Pur partendo da posizioni politiche e culturali molto distanti, anche io ho apprezzato le parole di Benedetto XVI alle “Settimane sociali dei cattolici italiani”, in particolare quando scrive che “la precarietà compromette lo sviluppo autentico e completo della società”.
Un’affermazione impegnativa che, però, appare in contraddizione con gran parte delle scelte che la politica (a cominciare da quella che fa riferimento in maniera ossessiva alla cultura cattolica) continua a praticare in materia di lavoro.
Come non notare, infatti, che mentre tutti (o quasi) dicono di apprezzare le parole del Papa, la scena politico mediatica di questi giorni è occupata dal dibattito sul Protocollo sul Welfare e dalla negazione delle ragioni di quanti, proprio a partire da una condizione insostenibile di precarietà ed incertezza, hanno voluto esprimere con un voto contrario il senso del proprio disagio?
Come non notare che anche quel Protocollo (almeno nella parte relativa ai contratti a termine ) finisce per non rappresentare un disincentivo rispetto alla precarietà? Come non notare che la stragrande maggioranza del mondo politico ed imprenditoriale (compresa l’Udc) non ne vuole sapere di mettere in discussione la legge 30 ed il Pacchetto Treu che sono alla base del dilagare della precarietà nel lavoro?
Non vorrei che ancora una volta (come già successo sull’indulto al tempo della visita di Giovanni Paolo II a Rebibbia) ad una condivisione astratta delle parole del Papa non corrisponda nulla sul piano dei comportamenti politici.
Ma cos è la precarietà nella nostra società? Quali biografie sconvolge?
Secondo una stima Istat, considerata prudente, coloro che hanno un’occupazione precaria sono tra i 4 milioni e mezzo e i 5 milioni e mezzo.
A questo numero si arriva sommando gli occupati dipendenti con un contratto a termine, gli occupati permanenti a tempo parziale, i co.co.co. rimasti nel pubblico impiego ma trasformati in lavoratori a progetto nel settore privato, i cosiddetti soci di molte cooperative, una molteplicità di figure minori, dai contratti di apprendistato e inserimento al lavoro interinale.
Lasciando da parte altre figure come gli stagisti, in ordine ai quali è arduo stabilire chi abbia per contratto un’occupazione stabile oppure instabile. Cinque milioni di persone con un lavoro precario rappresentano più del 20% degli occupati.
Ma questi sono soltanto i precari per legge (certo non solo a causa della legge 30, ma di un’evoluzione della nostra legislazione sul lavoro, iniziata, come minimo, sin dal Protocollo del luglio 1993). Ad essi bisogna poi aggiungere coloro che hanno un’occupazione precaria al di fuori della legge, perché vi sono costretti, o perché così hanno scelto. Sono i lavoratori in posizione irregolare facenti parte dell’economia sommersa.
Ma da dove nasce la precarietà? A chi serve questa richiesta assillante di un mercato del lavoro più flessibile? Da dove nascono strumenti legislativi, come la legge 30 ( ma anche la legge Bossi Fini sull’immigrazione) che oggi incontrano il consenso della maggioranza del mondo politico, mediatico ed imprenditoriale?
Al fondo c’è la pressione sulle condizioni di lavoro di poche centinaia di milioni di lavoratori italiani ed europei esercitata dall’inevitabile arrivo di lavoratori del sud del mondo e dell’est europa, le cui condizioni di partenza, fatte di salari da fame e diritti negati, vengono utilizzate in maniera spregiudicata per competere nell’economia globalizzata.
Entro un simile quadro, caro Ciocchetti, quello di cui avremmo bisogno per contrastare questa insopportabile condizione di precarietà, è l’avvio di una politica del lavoro che sappia recuperare il principio per cui il lavoro non è una merce, ma piuttosto un elemento integrale ed integrante del soggetto che lo presta, dell’identità della persona, della posizione nella comunità, della sua vita presente e futura.
Un principio da recuperare e da difendere sia in nome dei nostri lavoratori, sia perché esso è dovuto a quel miliardo e mezzo di lavoratori globali che dalla concorrenza con i primi si attendono di salire la scala dei diritti del lavoro, anziché assistere al peggioramento delle condizioni di tutti.
Anche per queste ragioni il 20 ottobre decine di migliaia di persone provenienti da tutta Italia manifesteranno a Roma contro le politiche della precarietà e dell’esclusione sociale.
Coloro che pensano che il Papa abbia ragione forse dovrebbero fare altrettanto..
Giancarlo Torricelli, consigliere comunale di Bassano Romano