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Alessandro Mazzoli
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Il commissario Giovanna Manghini
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Marini tra le bandiere rosse con il segretario della Cgil
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Sposetti
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- “Oggi è la festa della Liberazione. E la Liberazione è la festa di tutti gli italiani”. Così il presidente della Provincia Alessandro Mazzoli ha iniziato il suo discorso in piazza dei Caduti, in occasione del 25 aprile, giornata organizzata dal Comitato provinciale per le celebrazione del 63° anniversario della Liberazione.
Il tutto ha avuto inizio alla Scuola sottufficiali dell'Esercito, in strada Cimino, con
la deposizione della corona d'alloro alla lapide della Medaglia d'oro al valor militare, capitano Paolo Braccini.
Poi il via al corteo da piazza S. Sisto, formato dalle rappresentanze dei Comuni e della Provincia, con i sindaci e i gonfaloni, delle associazioni combattentistiche, d'arma, patriottiche, con bandiere e labari, delle rappresentanze dei partiti e dei sindacati. In via Tommaso Carletti la sosta al liceo Classico, dove il presidente Mazzoli e il commissario straordinario del Comune, Giovanna Menghini, hanno deposto una corona d'alloro alla lapide della Medaglia d'oro al valor militare, partigiano professor Mariano Buratti.
Infine l’arrivo in piazza dei Caduti, con la deposizione di una ulteriore corona d'alloro al sacello dei Caduti e alla lapide dei Caduti partigiani. La ricorrenza è stata chiusa dal saluto di monsignor Salvatore Del Ciuco, del commissario Menghini e del presidente Mazzoli, che ha preso spunto dalle prime parole del presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, al momento del suo insediamento.
“Ad inizio mandato disse in Parlamento: ci si può ritrovare senza riaprire le ferite del passato, nel rispetto di tutte le vittime e nell’omaggio non rituale alla liberazione dal nazifascismo come riconquista dell’indipendenza e della dignità della Patria. Fu certamente essenziale ha detto Mazzoli l’apporto delle formazioni partigiane, nelle montagne e nelle città, con un vasto sostegno di solidarietà popolare, ma anche dei militari che si unirono a loro”.
Quindi ha ricordato la nascita della Resistenza, caratterizzata “dall’impegno unitario di molteplici orientamenti politici: cattolici, liberali, socialisti, comunisti, monarchici, anarchici. La Resistenza fu azione e lotta, ma insieme a pensiero, sentimento, passione civile, altruismo, unità”.
Una parentesi è dedicata all’attività nel Viterbese, con il ricordo di figure come Mariano Buratti, Sauro Sorbini, Angelo Zucchi, Fernando Biferali, Enrico Minio, Angelo La Bella, Duilio Mainella e Achille Battaglia. “Questa ricchezza ha costituito la radice del riscatto dell’Italia, fino alla scrittura della carta costituzionale, che quest’anno compie 60 anni. Ritrovarsi il 25 aprile significa essere consapevoli che se l’Italia oggi vive e cresce nella libertà, nel progresso, nella democrazia, è perché i valori della Resistenza hanno ispirato e alimentato la vita delle generazioni che si sono succedute da oltre 60 anni”.
Anche il presidente provinciale dell’Anpi (Associazione nazionale partigiani d’Italia), Biagio Gionfra, ha voluto portare il proprio contributo, ricordando eventi e numeri che ancora oggi devono far riflettere. “Tra il 1925 e il 1943, sotto la dittatura fascista, il tribunale speciale processò 5.760 antifascisti e ne condannò 4.621, comminando 42 condanne a morte e 28.000 anni di carcere complessivi.
All’invasione nazista e al tradimento dei collaborazionisti fascisti si opposero in armi 240.000 tra donne e uomini militari della Friuli, Legnano, Cremona e Folgore, formazioni dell’esercito che combatterono a fianco degli alleati. I caduti furono 55.000, 33.000 i feriti, 40.000 morirono nei campi di sterminio.
Mentre i soldati e gli ufficiali rastrellati dai nazisti e avviati ai campi di concentramento furono 650.000, la stragrande maggioranza dei quali preferì il filo spinato dei campi alla vergogna di combattere agli ordini degli invasori”.
Gionfra si è soffermato poi sul ruolo delle donne nella Resistenza. “Furono 35.000, 4.653 arrestate, condannate e torturate, 2.750 deportate in Germania, altrettante fucilate, 512 le commissarie politiche e 15 le medaglie d’oro. Sono trascorsi 63 anni: nelle scuole questa storia è pressoché ignorata o guardata di sfuggita.
Ecco perché assistiamo a rigurgiti fascisti e razzisti. Potrei continuare all’infinito: non possiamo e non dobbiamo dimenticare quanto fecero le belve in camicia nera e quanto ci costò liberare l’Italia. Si può perdonare, ma dimenticare mai”.