Riceviamo e pubblichiamo - Sulla sicurezza nei posti di lavoro e sulla prevenzione degli infortuni non possiamo limitarci alla denuncia. Tutti, istituzioni, imprenditori, cittadini devono sentirne il peso umano e sociale.
La celebrazione del primo maggio è incentrata, ancora una volta, su un’emergenza che non accenna a diminuire. Ogni anno, in Italia, siamo costretti alla conta di 1300 morti sui luoghi di lavoro. Significa che tutti i giorni ci sono in media tre persone che muoiono lavorando. Alle morti bianche, va aggiunto il numero di oltre un milione di infortuni ufficiali. In un Paese civile, tutto ciò non dovrebbe accadere.
Siamo tutti chiamati a un’assunzione di responsabilità. Serve maggiore vigilanza e repressione delle violazioni delle norme. Ma la legislazione è una condizione necessaria e non sufficiente. Occorre anche prevenzione sistematica, a tutti i livelli, formazione con sostegni mirati specialmente alle piccole e piccolissime imprese, rafforzamento dei rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza.
Dobbiamo mettere in campo una strategia complessiva. L’infinito susseguirsi di morti sul lavoro, la necessità di affrontare in fretta la questione salariale, l’urgenza di rafforzare gli interventi contro la precarizzazione del lavoro e a sostegno delle imprese per uno sviluppo di qualità sono la cornice entro cui agire affinché si affermi una nuova cultura del lavoro.
A livello locale, qualcosa si sta muovendo. A marzo, con la firma in Prefettura del Protocollo per la sicurezza nei luoghi di lavoro, abbiamo avviato un percorso che vede enti locali e istituzioni, organi di controllo, imprenditori e sindacati, uniti in uno sforzo comune per costruire una risposta di territorio all’emergenza degli infortuni e delle morti bianche.
Nel Viterbese sono ancora aperte numerose ferite dei tragici eventi avvenuti nei mesi scorsi. Ricordo il dramma della fabbrica di fuochi d’artificio a Castiglione in Teverina. Episodi come quello, purtroppo non isolati, devono impegnarci ora a dare gambe a un documento che non possiamo concederci rimanga sulla carta. Perché il lavoro è un diritto che nel terzo millennio aspetta ancora di essere goduto appieno. Sta a noi cambiare le cose.
Alessandro Mazzoli
Presidente della Provincia di Viterbo