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Viterbo - Un dipendente racconta la sua storia in una lettera aperta a Marrazzo
Noi figli di contadini e le traversie nella Vetralla servizi
Viterbo - 30 dicembre 2008 - ore 0,30

Riceviamo e pubblichiamo - Egregio Presidente Piero Marrazzo,
Egregio Assessore Alessandra Tibaldi,

mi rivolgo a voi, come massimi rappresentanti delle politiche giovanili e del lavoro della Regione Lazio, per ringraziarvi dell’importante intervento che ha portato ad un accordo sia sul rinnovo della Cassa Integrazione per tutto il 2009 sia sulla possibilità di una futura stabilizzazione in merito alla questione della Vetralla Servizi, società gestita interamente dall’omonimo comune del viterbese. Così come approfitto per ringraziare il mio legale, i rappresentanti locali di Codici, i sindacati e tutte le persone che ci hanno espresso la loro solidarietà.

Le scrivo comunque per raccontarvi pubblicamente la mia vicenda, anche per far capire ai cittadini le condizioni lavorative che hanno accompagnato la nostra attività durante questi anni.

Mi chiamo Guerrino Valeriani e lavoro per la società succitata da 4 anni, dopo aver svolto servizio, per ben 7 anni, prima come Lavoratore di Pubblica Utilità (LPU) poi presso la cooperativa Universale 2000. Dal febbraio 2008 sono in Cassa integrazione – senza aver mai fatto alcuna rotazione e ricevendo il primo pagamento dopo ben 7 mesi – e da gennaio rischiavo, così come altri 10 lavoratori che sono nella mia stessa condizione, il definitivo licenziamento in un contesto economico e sociale, come quello vetrallese, dove è veramente difficile trovare una nuova collocazione capace quantomeno di sfamarci.

In questi mesi, la nostra battaglia – una battaglia per il lavoro e i diritti che lo definiscono – è stata più volte accusata di essere strumentalizzata. Più volte ci siamo sentiti dire che siamo dei “raccomandati”. Più volte ci siamo sentiti rimproverare di “andare a cogliere le olive”. Noi, figli di contadini e braccianti agricoli che i lavori stagionali li hanno svolti nelle più dure situazioni proprio per assicurare a noi – che abbiamo ancora viva nella nostra memoria questa realtà e che personalmente l’ho vissuta per molti anni – una vita migliore. Noi rivendichiamo un diritto che non è quello di fregare il prossimo accaparrandoci un posto pubblico che non ci spetta.

Noi chiediamo giustizia e rispetto delle regole – e su questo la solidarietà vostra e dei cittadini – per anni di lavoro svolti, in condizioni talvolta disagevoli, a cui rischiavano di far seguito nell’immediato il benservito di un ingiusto licenziamento che significherebbe per noi la fine di ogni speranza. Un concetto che il racconto della mia esperienza lavorativa spero possa chiarire, tralasciando ogni aspetto di carattere giuridico di cui l’avvocato che segue me e altri 8 lavoratori potrà ben chiarire in separata sede.

Ho 39 anni, sono figlio di un muratore in pensione di 75 anni e di una casalinga di 70 anni, genitori di altri 8 miei fratelli e sorelle.

Ho iniziato l’avventura lavorativa, che mi ha portato poi alla Vetralla Servizi, nel 1997 come LPU presso il Comune di Vetralla, superando un’apposita selezione pubblica. Prima di allora, pur avendo due diplomi di scuola media superiore – uno in Ragioneria e uno in Psicopedagogia – avevo svolto attività come muratore, mattonatore, gommista ovvero lavori stagionali in campagna.

Come LPU ho lavorato un anno presso la delegazione comunale di Cura – frazione del comune vetrallese – con un impegno di 18 ore settimanali e una retribuzione di 750 mila lire al mese. Il mio compito era quello di affiancare i dipendenti pubblici nel fornire informazioni e nello svolgimento delle normali pratiche burocratiche e al tempo stesso agevolare le persone svantaggiate dell’area (Cura, Tre Croci, Giardino, Mazzacotto e Mazzocchio), cioè coloro che avevano difficoltà a raggiungere la città di Vetralla.

Al termine di questo primo anno di lavoro, il Comune di Vetralla decise di rinnovare il progetto, affidando il servizio alla cooperativa Universale 2000 di cui sono entrato a far parte svolgendo le stesse mansioni presso la medesima delegazione.

Tutto questo fino al 2004, anno di ingresso nella Vetralla Servizi. Tuttavia, a partire dal 1999, ho cominciato a lavorare senza l’affiancamento dei dipendenti pubblici in un ambiente a dir poco malsano: senza riscaldamenti, con umidità e muffa e con pochi strumenti a disposizione per gestire un normale servizio di pubblica utilità.

A giorni alterni, facevo anche da supporto al Servizio anagrafe direttamente presso la sede comunale di Vetralla. Scendendo nel dettaglio le mie attività erano: rilascio dei certificati anagrafici, raccolta delle richieste per ottenere la Carta di Identità e riconsegna della medesima al cittadino che ne aveva fatto richiesta, raccolta delle domande inerenti i tesserini per i funghi, il taglio della legna e l’utilizzo del patrimonio boschivo.

Mi occupavo inoltre dei servizi sociali e culturali. Lavorando alla delegazione di Cura vendevo infatti ai genitori i buoni pasto per la mensa della locale scuola materna con la responsabilità dell’incasso – in media circa 1.300 euro al giorno – che quotidianamente trasportavo, senza alcuna copertura assicurativa e utilizzando il mio personale mezzo di trasporto, alla banca CARIVIT di Vetralla.

Quest’ultima era un’attività non prevista dal mio contratto di lavoro e quando accenno alla copertura assicurativa voglio dire che, laddove, trasportando i soldi sempre all’orario di chiusura della delegazione – attività facilmente intuibile da eventuali malintenzionati – fossi stato rapinato o avessi avuto un incidente la situazione sarebbe stata per il sottoscritto a dir poco imbarazzante.

Sottolineo anche che si trattava di un incarico che doveva essere svolto da un dipendente pubblico che avrebbe dovuto affiancarmi; cosa non più accaduta dal 1999. La stessa cosa dicasi per il trasporto degli incassi legati alle Carte di Identità all’Ufficio Anagrafe di Vetralla, così come di quest’ultime dalla sede centrale del comune alla delegazione di Cura.

Con l’Universale 2000 il mio impegno lavorativo era di 18 ore settimanali, con uno stipendio mensile di 700 mila lire, diventate poi 400 euro. Uno stipendio che molto spesso veniva pagato soltanto dopo che l’amministrazione comunale trasferiva i finanziamenti previsti alla cooperativa. E ciò poteva comportare anche un ritardo fino a 90 giorni.

Il tutto è andato avanti fino alla nascita della Vetralla Servizi, cioè fino al 2004 quando cantieristi e LPU sono stati assorbiti in questa nuova struttura con un contratto di lavoro a tempo indeterminato e la speranza di costruire un futuro decente per se e i propri familiari.

Inizialmente il contratto di lavoro prevedeva 24 ore settimanali per una retribuzione di 680 euro mensili. E l’incarico che mi veniva attribuito era letteralmente quello svolto quando lavoravo con la cooperativa succitata. Compreso il trasporto degli incassi per buoni pasto e Carte di Identità.

I miei orari erano i seguenti: lunedì, mercoledì e venerdì dalle 9 alle 12 stavo presso la delegazione di Cura, mentre dalle 12 alle 13.30 lavoravo all’Anagrafe di Vetralla dove mi recavo anche per due rientri pomeridiani (martedì e giovedì) dalle 15 alle 17.30. Inoltre, sia quando ero lavoratore dell’Universale 2000, sia quando sono diventato dipendente della Vetralla Servizi, le indicazioni su come svolgere le mie attività non le prendevo né dalla cooperativa né dalla società, bensì direttamente dai dirigenti comunali. Così come permessi, ferie, straordinari e quant’altro.

Detto ciò, tutto procede regolarmente fino al 2006 (febbraio), quando improvvisamente cominciano a sopraggiungere i primi divieti nell’utilizzo delle apparecchiature con le quali lavoravo. A partire dal divieto di utilizzare il computer della delegazione.

A questo primo diniego fa seguito (primavera) anche quello di recarmi presso la medesima struttura. Il tutto senza dare preavviso alcuno né al sottoscritto né ai residenti, con conseguenti disservizi che mi venivano costantemente attribuiti dalla popolazione quando invece la delegazione veniva riaperta. E faccio presente che l’Ufficio serviva una media di 60 persone al giorno. Ed io personalmente lavoravo sodo, recandomi anche nelle abitazioni delle persone che ne avevano bisogno. Lavoravo sodo, al punto da essere redarguito in separata sede, perché in questo modo potevo abituare gli utenti ad un servizio eccessivamente efficiente.

E la situazione appena descritta si trascina via fino al luglio 2007 quando, con un ordine di servizio, venivo trasferito all’Ufficio Cultura di Vetralla. La Biblioteca per intenderci. Le mie giornate lavorative mi vedevano per tre volte settimanali in quest’ufficio e per due alla delegazione di Cura, dove proprio in questo periodo cominciai a ritornare strutturalmente. A questo punto l’orario diventava di 36 ore settimanali per uno stipendio di 780 euro mensili pari però a trenta ore. Soltanto una volta in cinque mesi ho avuto uno stipendio di 980 euro, ossia l’equivalente di 36 ore lavorative a settimana.

Ma anche l’esperienza dell’Ufficio Cultura finì nel peggiore dei modi. Dopo 5 mesi, e successivamente a 20 giorni di convalescenza dovuti ad un intervento al setto nasale, venni invitato dai dirigenti comunali ad abbandonare il posto. Di punto in bianco, senza alcun preavviso e lo stesso giorno del mio rientro.

Mi ritrovai letteralmente e fisicamente in mezzo ad una strada, cioè in mezzo alla piazza comunale di Vetralla in attesa che qualche dirigente decidesse di avvalersi della mia collaborazione. Sembrava quasi di rivivere sulla propria pelle i racconti dei miei nonni sul caporalato!

Alla fine – dopo che mi ero pure beccato una febbre da stress dovuta a questa situazione – su sollecito dell’amministratore della Vetralla Servizi vengo di nuovo inviato presso l’ufficio anagrafe con un incarico provvisorio: la sistemazione, cioè la messa in ordine, dei libri dell’achivio storico del Comune. Il tutto senza tener conto, nonostante lo avessi fatto presente, che mi ero da poco operato al naso e il contatto con la polvere dei libri sarebbe stato per me devastante. E così fu.

Tant’è vero che di lì a poco mi venne un’infezione che ha portato ad un’evidente deformazione della cartilagine. Visibile anche ad occhio nudo. Fra l’altro, e sempre in merito a peripezie di carattere sanitario, il primo agosto del 2005 “per motivi inerenti al servizio”, che personalmente non ho mai capito, mi vidi addirittura negare la possibilità di effettuare una serie di esami clinici diagnostici presso il centro trasfusionale ed emodialisi di Viterbo.

Appena finito il lavoro in archivio vengo poi spedito all’ufficio tributi nell’ambito del progetto recupero Ici.

Sono i miei ultimi 6 mesi di lavoro prima della Cassa Integrazione. Sei mesi in cui accettai un accordo sulla riduzione dell’orario di lavoro e dello stipendio mensile per contribuire al salvataggio di una società che improvvisamente entrava in crisi.

L’accordo consisteva in un rapporto lavorativo di 10 ore la settimana con il conseguente impegno di due giorni settimanali e una retribuzione di 160 euro al mese. Il punto non è soltanto uno stipendio da fame – contrariamente a chi dice che facevamo “vita da pubblico dipendente” con tanto di privilegi e pause caffè – ma anche il fatto che non lavoravo 10 ore. Ne lavoravo circa 24 con l’obbligo di recarmi in Comune tutti i giorni.

Lo stipendio restava però immutato: 160 euro erano state concordate e 160 euro restavano. Questo significa che, facendo due calcoli, in 6 mesi ho lavorato in tutto 576 ore, ossia 336 ore in più rispetto al previsto; 336 ore per le quali non ho mai percepito la giusta e dovuta retribuzione, se non un premio aziendale, conferitomi dalla Vetralla Servizi poco prima di essere messo in cassa integrazione.

Cassa che arriva, sempre improvvisamente e senza che nessuno ce lo avesse accennato in precedenza, il 12 marzo del 2008. Il ben servito dopo 11 anni di lavoro; anni in cui siamo stati anche costantemente oggetto di attenzioni elettorali da parte dei politici. Perché va detto che, in occasione delle elezioni, sia la cooperativa sia la Vetralla Servizi diventavano oggetto di riunioni elettorali. Solleciti che arrivavano fin dentro le nostre abitazioni con tanto di visite a domicilio. Solleciti che si traducevano anche in volantinaggi o nell’invito a fare volantinaggio per conto di questo o quel politico.

E questo avveniva trasversalmente, senza distinzione alcuna tra i diversi schieramenti politici. E noi non potevamo farci nulla, perché quando hai una famiglia che si regge solo sul tuo stipendio – e per di più hai a carico un familiare con un’invalidità del 100% - vieni preso per fame in una terra dove il prezzo della ribellione è troppo caro per essere sopportato da un singolo senza alcun supporto da parte delle organizzazioni.

Questa, egregio presidente, egregio assessore, è la mia storia lavorativa all’interno della Vetralla Servizi e delle strutture che l’hanno preceduta; una storia cui si aggiunge anche la beffa della comunicazione, avvenuta poco tempo fa, di un periodo di ferie che va dal 25 novembre al 12 dicembre di quest’anno. Non so se questo tipo di comunicazioni rientrano nella normalità, ma per un lavoratore che, come me e molti altri, sta vivendo una tragedia ha sicuramente l’amaro sapore della farsa.

Questa è dunque la mia storia, una storia simile a quella di altri 10 lavoratori che come me vivono la stessa identica situazione.

Una storia di precariato, come quello vissuto da tanti altri; una storia di privazioni e sacrifici da parte di famiglie operaie e contadine per far studiare e dare una vita migliore ai propri figli per poi vederli sempre sacrificati e privati del necessario; per poi vederseli trattare come braccianti sulla pubblica piazza in attesa che il caporale di turno gli dia il lavoro quotidiano; una storia dove, per fame di lavoro, abbiamo accettato di tutto e lavorato dando il meglio di noi stessi; una storia, egregio presidente, egregio assessore, per la quale lottiamo e chiediamo giustizia secondo quelle che sono le regole del diritto e della democrazia.

Ringraziandovi per la vostra cortese attenzione, vi invio i miei più distinti saluti e migliori auguri di Buone Feste.


Guerrino Valeriani

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