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Riceviamo e pubblichiamo - Caro Gianluca Nicoletti, ho letto su Tusciaweb la sua proposta di lanciare il ‘Viterbury pride’, una sorta di giorno dell’orgoglio cafone e burino.
Non so se la genesi del marchio attribuito alla città sia quella da lei indicata. O se sia solo quella.
La sua analisi resta comunque impeccabile.
C’è però un neo che mi permetto di evidenziare: i viterbesi rispetto ai cafoni e ai burini “veri” hanno un handicap di non poco conto.
Ricorda l’adagio “contadino (cioè cafone) scarpe grosse e cervello fino”? O le gesta del principe dei cafone Bertoldo? Entrambi stanno a dimostrare che per essere cafoni e burini doc bisogna anche essere furbi. Anzi ‘birbi’ come direbbero i viterbesi più anziani. Ebbene, l’handicap è proprio questo. I viterbesi devono dimostrare di essere anche ‘birbi’ se vogliono restare orgogliosamente cafoni e burini.
Per riuscirci non basta indossare le scarpe grosse, ma serve anche e soprattutto la capacità di ‘vendere’ la loro città e il loro territorio. Che ad ‘acquistarlo’ siano i frequentatori dei salotti radical chich o altri conta ben poco. L’importante è saper vendere e vendere con reciproca soddisfazione.
Se i viterbesi fossero ‘birbi’ come s’addice ai cafoni non avrebbero tollerato, ad esempio, che si parli a vuoto da mezzo secolo della sistemazione di Valle Faul.
Ero studente, molti anni fa, quando incomincia a sentir parlare di scale mobili che avrebbero collegato Valle Fual con il palazzo dei papi e il quartiere medievale di San Pellegrino. Non ero nemmeno studente quando fu posta la prima pietra dell’ospedale di Belcolle, in sempiterna costruzione.
Ero un giovane cronista quando incominciai a scrivere delle meraviglie del semianello viario, una sorta di piccolo raccordo anulare intorno alla città, mai del tutto completato. Ero bambino quando i miei mi raccontavano che Viterbo sarebbe diventata una delle principali città termali, quindi turistiche, d’Italia se non addirittura d’Europa.
E che dire del Centro fieristico-espositivo di cui si vaneggia da decenni? Della sede che avrebbe dovuto ospitare le biblioteche e gli archivi storici, che ad oggi spendono quasi tutto il loro bilancio peraltro magro per pagare gli affitti? Del recupero della cinta muraria cittadina? Del restauro dei numerosi palazzi storici, di proprietà pubblica,chiusi e in rovina mentre le varie amministrazioni si svenano per arricchire i proprietari degli immobili in affitto?
Del centro storico sempre più vuoto e in malora? Pensi, che a Viterbo non esistono strade dedicata a papa Alessandro IV, che per primo portò la sede pontificia a Viterbo, e a Raniero Gatti, che costruì il palazzo dei papi, il monumento più significativo della città. Che non è stato mai reso omaggio a Francesco Nagni, un’insigne scultore viterbese, la cui grandezza è riconosciuta in tutto il mondo.
Che un consigliere comunale di Soriano nel Cimino si è opposto all’intitolazione di una strada a Pier Paolo Pasolini perché, cito testualmente, “era frocio”. E potrei continuare ancora a lungo. Capirà che un popolo veramente cafone e burino, nell’accezione delle “scarpe grosse…” o di Bertoldo, non avrebbe mai tollerato tutto questo.
Veda, Nicoletti, quando quellidella mia generazione si recavano a svolgere il servizio militare o all’università e veniva loro chiesto di dove fossero, alla risposta “Viterbo” seguiva inesorabilmente un’altra domanda: “Viterbo? Dove sta?”.
Le cose, oggi, sono un po’ migliorate. Ma a parte la collocazione geografica sono pochissimi coloro che sanno qualcosa in più di una delle città più belle d’Italia. E non certo per colpa loro.
Tutto questo per dirle, caro Nicoletti, che va bene, anzi benissimo, il suo provocatorio lancio del Viterbury Pride e dell’orgoglio cafon-burinesco, purché sia collegato ad un requisito indispensabile: la “birbizia”.
Allora, alla maglietta con la scritta 'Io sono orgoglioso di essere Viterbury', aggiungerei un sottotitolo: “e prestissimo diventerò anche birbo”.
Cordialmente
Beniamino Mechelli