Riceviamo e pubblichiamo - C’erano quindicimila persone in quel caldo torrido di luglio del 1978 ad accompagnare Angelo nel suo ultimo viaggio.
Nella storia di Tarquinia non si era mai visto e non si vedrà più un funerale così imponente e commovente. Nessuno riuscì a trattenere le lacrime e a nascondere quel dolore che ti stringeva il petto. Da Tarquinia e da fuori, quel fiume immenso riempì tutta la città in ogni suo angolo. Fu la prova di un grande amore, maturato e meritato nel tempo.
Angelo ci aveva fatto amare la boxe. Ho assistito, a Tarquinia, a Viterbo, a Roma a quasi tutti i suoi incontri. Sapevo che ci teneva alla presenza di tanti tifosi e del sindaco della sua città, in prima fila. Ci dividevano solo due anni di età ed ero stato eletto, anch’io giovanissimo, mentre lui passava al professionismo, appena in tempo per organizzare il campionato italiano a marina Velka e per seguire i suoi allenamenti, insieme a Liviano Bonelli, nella palestra di San Lazzaro di Savena, a Bologna, durante la preparazione degli incontri più importanti.
Un grande maestro di vita, prima ancora che di pugilato lo preparava con lo scrupolo e l’affetto di un padre: Libero Golinelli, partigiano, come amava definirsi, già allenatore di Nino Benvenuti. Uno dei più grandi esperti di pugilato del mondo aveva preso a cuore questo ragazzo, apparentemente un guascone; lui aveva capito che era invece dotato di un grande cuore e di una spiccata intelligenza, non solo pugilistica. Cuore ed intelligenza lo avevano portato a definirsi il “Clay dei poveri” schierato da una parte della società, quella più debole ed al tempo stesso a praticare un pugilato affascinante facendolo divenire evento culturale.
Imbattibile nella scherma, nel colpo d’occhio, nella danza sul ring, imprendibile per gli avversari demoliva ogni antagonista indietreggiando: la prova di una abilità eccezionale.
Per questo motivo, forse, qualche invidioso non lo amava; rarissime eccezioni. Il popolo tarquiniese era con lui. Ne fu la prova la cerimonia di festeggiamento per la conquista del titolo europeo, nel giugno del 1976; dovemmo organizzarla al cinema Teatro Etrusco, perché la sala del Consiglio Comunale era insufficiente. Allora il Teatro conteneva settecento posti e la folla non riusciva ad entrare tutta in platea ed in galleria, affollando anche i corridoi adiacenti.
Il pugilato, a differenza dello sport del calcio, del tennis o di altre specialità non è definito un gioco ne una partita, ma un combattimento. Insieme alla corsa è lo sport più antico del mondo. Gli scontri sul ring sono come i duelli che ogni giorno la vita ci costringe a combattere nella società, sin dai tempi di David e Golia.
Angelo era il David che affrontava pugili dalla potenza devastante e li ridicolizzava con la forza della tattica e dell’intelligenza, come già era avvenuto in passato tra Jake La Motta (Toro scatenato) e Ray (Sugar) Robinson, tra Mohammed Alì e George Foreman, tra Nino Benvenuti e Sandro Mazzinghi.
Quello era l’unico pugilato che doveva praticare, come sosteneva Golinelli. Alcuni giornalisti lo criticavano perché non accettava gli scambi violenti al centro del ring. Per una volta lo fece e fu l’ultima; ma noi lo serbiamo nel cuore come il “Clay dei poveri”, un grande nel quadrato e nella vita.
Luigi Daga