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Nel corso dell’assemblea annuale di Assoporti il Ministro delle Infrastrutture Matteoli ha fatto passare la volontà di approntare l’ennesima modifica della Legge 84/94 come mezzo per rilanciare gli scali nazionali. Tutto ciò lascia assai perplessi perché fa pensare che il Ministro non conosca bene la portualità nazionale e le condizioni in cui versano i nostri scali.
Mal celando il vero obiettivo, un ulteriore attacco a quel che resta delle ex CLP, il Ministro parla della 84/94 attribuendole colpe inesistenti : il rafforzamento di un fantomatico monopolio delle Compagnie Portuali.
Matteoli dimentica che tale legge ha compiuto proprio l’opposto: la cancellazione dello status delle Compagnie Portuali e, prima in Europa, ha liberalizzato il lavoro portuale costringendo le CLP a pesanti riduzioni degli organici.
Il Ministro sorvola sul fatto che, nello scenario dei porti internazionali, l’Italia è ridotta a fanalino di coda, unico esempio al mondo dove gli scali sono stati lasciati al totale controllo delle Imprese.
La Legge 84/94 non ha risolto un’evidente stortura, facilmente individuabile se solo si considera la presenza di ben 140 scali commerciali. Una situazione a dir poco assurda.
Non per amore di polemica ma per dare un contributo su cui il Ministro, se vorrà, potrà rifletterci per evitare di giungere a considerazioni affrettate, mi permetto di fare una breve analisi per portare alla luce le ragioni della nostra arretratezza.
E’ necessario che dalla Sua cabina di regia osservi lo scenario della portualità italiana cercando di focalizzare le grandi contraddizioni e lacune che non permettono al nostro sistema di competere con i grandi scali europei.
Nel nostro Paese, purtroppo, non è ancora possibile considerare la rete portuale e trasportistica come “un sistema sinergico ed integrato”. Sono carenti, infatti, i collegamenti tra i porti principali ed i maggiori nodi di scambio nazionali ed internazionali. La rete infrastrutturale risulta tuttora insufficiente.
Porto ad esempio una realtà in forte crescita: lo scalo di Civitavecchia (RM).
L’approdo laziale ha conseguito importanti risultati su alcune tipologie di traffico, basti pensare al primato delle autostrade del mare, con circa 14 linee di collegamento con i principali porti del mediterraneo, o al crocierismo: primo porto del Mediterraneo avendo superato anche quello di Barcellona.
Inoltre Civitavecchia è anche un importante scalo commerciale e nodo di collegamento “da” e “per” le acciaierie di Terni, sia riguardo alle materie prime che ai prodotti finiti.
Ma lo scalo è soffocato. Sono assolutamente carenti i collegamenti con il Centro Italia (Viterbo, Terni) ed il Nord (Livorno). Infatti il completamento della superstrada Civitavecchia-Viterbo-Terni, da tempo immemorabile, è fermo a Vetralla, mancano circa 30 km! Lo stesso dicasi per il ripristino della ferrovia Civitavecchia-Viterbo-Terni ferma dal 1961.
Invece, se ultimate, queste infrastrutture proietterebbero lo scalo nella variante al Corridoio 5 indicata come Corridoio 5 Sud (Barcellona, Civitavecchia, Ravenna, Trieste, Kiev).
Per il Nord sarebbe sufficiente il miglioramento funzionale dell’Aurelia senza il costoso scempio di una nuova autostrada.
Invito il Ministro a soffermarsi sull’importanza di ottimizzare la rete infrastrutturale e di concentrare gli sforzi per creare un sistema di scali capaci di rilanciare il nostro Paese mettendolo in grado di competere con i porti del Nord Europa e del Mediterraneo, vedasi i passi da gigante fatti dalla Spagna e dal Marocco (Barcellona, Tangeri).
Riguardo al lavoro portuale sostengo una correzione della Legge 84/94 che preveda un unico soggetto operativo all’interno dei porti, così come esiste negli iper-liberisti Stati Uniti. Ad esempio, a Los Angeles (Costa Nord Ovest), l’organizzazione Ilva gestisce oltre 12.000 lavoratori portuali che vengono poi impiegati da tutte le Imprese.
Questo modello, per l’Italia rappresenterebbe un importante passo avanti, consentendo alle imprese portuali di poter usufruire di un serbatoio di lavoratori altamente qualificati ed a disposizione nell’arco delle 24 ore per 365 giorni all’anno.
Il fulcro dovrebbe essere imperniato su una nuova figura di lavoratore portuale “certificato”, riconosciuto a livello europeo e dotato di una sorta di “patente portuale”. Ritengo che ciò eleverebbe il nostro Paese nello scenario internazionale sia in termini di sicurezza che di qualità e professionalità dei lavoratori, ponendolo, una volta tanto, all’avanguardia.
C’è necessità sia di essere competitivi, specializzati e professionali che di saper rispondere alle esigenze del mercato senza per questo sfruttare i lavoratori, rendendoli precari e malpagati attraverso una polverizzazione contrattuale così come accade oggi.
Continuare ad affermare che il problema dei porti in Italia è rappresentato dalle Compagnie Portuali, oltre ad essere la riesumazione di una anacronistica retorica antioperaia dimostrerebbe una visione del settore miope e poco lungimirante.
In conclusione, dichiaro la mia disponibiltà ad un confronto con il Ministro, se vorrà, per approfondire l’intera tematica sia come Presidente della Compagnia Portuale di Civitavecchia che Presidente della Commissione Trasporti della Regione Lazio
Enrico Luciani.