Ermes pronuncia un prologo esponendo gli antefatti: Creusa, figlia di Eretteo, fu violentata da Apollo, ma la sua gravidanza rimase segreta per volere del dio.
Abbandonò il neonato nella grotta dove Apollo l'aveva posseduta e Apollo chiese a Ermes di salvarlo e portarlo nel suo santuario, a Delfi.
Allevato dalla sacerdotessa, il bambino crebbe nel tempio e una volta adulto fu nominato custode delle offerte votive.
Nel frattempo Creusa ha sposato Xuto ma la loro unione è sterile e ora sono presso il santuario di Delfi per chiedere all'oracolo come avere figli.
Entra Ione e comincia a pulire il tempio pronunciando lodi di Apollo.
Segue il coro, le serve di Creusa che fingono di visitare il tempio di Delfi e chiedono a Ione il permesso di entrare nel tempio.
Sopraggiunge Creusa, la donna è in lacrime, turbata dal ricordo della violenza subita, ma rifiuta di confidarsi con Ione che si è sollecitamente preoccupato nel vederla piangere.
Infine Creusa chiede a Ione di aiutarla ad avere un responso in segreto e racconta la propria storia ma, per pudore, dice di trattarsi di vicende accadute ad un'amica.
Ione avverte Creusa che non otterrà mai il responso che richiederebbe, da parte di Apollo, l'ammissione di una propria colpa.
E' un dialogo complesso quello fra Ione e Creusa, sempre sul punto di sfociare in una rivelazione che invece non arriva.
Il dialogo viene interrotto dall'entrata in scena di Xuto che è pronto per consultare l'oracolo e invita Creusa a ritirarsi per pregare.
Rimasto solo Ione pronuncia un discorso deprecando Apollo che, come ha appena appreso, aveva violentato una giovane e abbandonato il figlio.
Si tratta di un'amara presa di coscienza da parte di un giovane che, custode del tempio, è vissuto fino ad allora in un'ingenua letizia.
Dal tempio esce Xuto al quale l'oracolo ha ordinato di salutare come figlio il primo uomo che incontrerà, ovviamente incontra Ione e si affretta ad abbracciarlo.
Ione crede Xuto impazzito o confuso dall'oracolo ma a poco a poco l'inganno di Apollo assume, nel dialogo fra i due, l'aspetto di una vicenda reale.
Ione infine si lascia convincere e abbraccia Xuto come padre.
Ione e Xuto vanno a banchettare.
Creusa dialoga con un vecchio, quindi chiede alle donne del coro notizie sul verdetto ricevuto da Xuto che raccontano gli eventi dei quali sono state testimoni.
Nei discorsi fra Creusa, le donne e il vecchio l'ambiguità che caratterizza tutta l'opera si fa ancora più intensa: nasce il sospetto che Xuto abbia sempre saputo del figlio, che anzi abbia ordito la tresca ai danni delle moglie sterile.
Turbata dalle rivelazioni, Creusa pronuncia dure parole contro Apollo, svelando la storia della violenza subita e del figlio esposto.
Il vecchio spinge Creusa alla vendetta che, nulla potendo contro Apollo, decide di sopprimere Ione e chiede allo stesso vecchio di introdursi al banchetto in corso per avvelenarlo.
Nella scena successiva entra correndo il servo per annunciare che l'attentato è fallito e che i potenti di Delfi hanno condannato Creusa per aver tentato di uccidere una persona sacra.
Creusa cerca rifugio presso l'altare del tempio, qui la raggiunge Ione che vorrebbe ucciderla ma non può farlo per non contaminare il recinto sacro.
Entra la Pizia che ha allevato il giovane e cerca di calmarlo.
Gli consegna il canestro e le bende nei quali l'ha trovato e gli consiglia di cominciare a cercare la madre.
E' Apollo, dice la Pizia, che le ha ispirato l'idea di conservare quegli oggetti ed è ancora Apollo che ora le ordina di restituirli al giovane.
Creusa, nel vederli, comprende finalmente la verità ed abbandona l'altare per abbracciare il figlio ritrovato.
Ione sta per ucciderla ma prima chiede alla donna di dimostrare le sue affermazioni descrivendo senza vederli gli oggetti contenuti nel canestro.
Creusa descrive una stoffa da lei stessa intessuta con l'immagine della Gorgone e un ramo sempreverde dell'ulivo piantato da Atena.
Il riconoscimento è compiuto: madre e figlio si abbracciano.
Creusa svela a Ione che il suo vero padre è Apollo e giura sugli dei di dire la verità.
Ione dubita ancora e non comprende perché Apollo lo abbia voluto dare come figlio a Xuto.
A risolvere la situazione compare Atena e conferma che Apollo ha fatto in modo che Ione entri nella casa di Xuto per diventare re di Atene.
Atena annuncia inoltre che Creusa e Xuto avranno "prole comune" e che dalla loro casata discenderanno tutte le più importanti popolazioni della Grecia.
Infine Atena si congeda annunciando a Creusa e aIone un radioso avvenire, quanto a Xuto lo si lasci godere "la sua bella illusione".
Ione è una tragedia di Euripide, rappresentata per la prima volta nel 410 a.C. circa.
Non si tratta di una vera e propria tragedia, ma di una sorta di tragicommedia a lieto fine ante litteram, un filone che pare essere stato inventato dallo stesso Euripide e che, più tardi, sfocerà nell'ilarotragedia - nella quale eccelleva Rìntone di Siracusa .
Genere drammatico popolare che consisteva essenzialmente in parodie di tragedie attiche, soprattutto tragedie euripidee, largamente note al pubblico del tempo.
Nella nostra messa in scena ci si è voluti riferire a questo genere che, da quanto riportato, aveva la caratteristica di essere recitata a braccio, seguendo un canovaccio tipico, ma solitamente senza prove che precedessero la rappresentazione, quasi che veramente i protagonisti fossero a ciò costretti dall'incalzare della tragedia e della necessità di vestire subito la stessa di farsa.
La scelta non è formale quanto di significato, volendo noi privilegiare il senso di ambiguità e di smarrimento, sentimenti che attraversano tutti i personaggi dell'opera.
Lo Ione è uno tra i più antichi esempi di dramma a intreccio , tutto giocato sugli equivoci dell'identità e percorso da un'ironia sottile che fa dei suoi personaggi degli eroi minuscoli, incapsulati nel loro inconsapevole gioco delle parti e, alla fine, riscattati dai capricci del destino.
Le problematiche distintive della produzione euripidea quali la condizione della donna, dello straniero, l'abuso degli dei sulle sorti umane, l'insondabilità del caso ecc. vengono interamente riproposte in quest'opera, ma all'interno di una atmosfera rarefatta.
Le dinamiche si dissolvono in uno svolgimento di fatti gia anticipati allo spettatore.
L'intera vicenda (e le sue conclusioni) è reiterata più volte, dal prologo all'inizio e poi ostinatamente ripetuta da ogni uno dei personaggi, quasi angolazioni della stessa esistenza che non si decide a soluzionarsi se non per l'intervento di Athena il deus ex machina.
Tutto ciò sembra indicare che non è importante la vicenda di per sè quanto i rapporti tra gli uomini con i propri drammi personali.
E il lieto fine è pur sempre tragico: nello Ione, (come nell'Elena) il finale propiziato dal caso dimostra, tragicamente, come l'uomo sia in balia di un destino.
Ciò che emana questa tragedia dell’estrema maturità di Euripide è un angoscioso senso di debolezza e di precarietà della condizione umana, sottratta sia a un disegno provvidenziale divino sia al dominio della ragione.
La scena è sgombera, al centro una serie di persone lavorano all'unisono attorno a un grande cencio, forse un sipario o una tela teatrale, sono vestiti come gli abitanti di Aleppo, città sede di scambi e in cui si intrecciano varie e diverse culture.
Una cantilena si trasforma in ritmo e la vicenda dello Ione, quasi una storia antica, viene raccontata dal capocomico, mastro egli stesso della tessitura.
Man mano che la storia prende corpo i personaggi subentrano al centro della tela, quasi loro stessi disegni di arabeschi esotici.
Creusa e Ione sono i personaggi della tragedia, Xuto, gli dei, il coro e gli altri, quelli della commedia.
Il continuo entrare e uscire dalla vicenda di Ione e dalla storia della compagnia capocomicale creano un atmosfera paradossale, inverosimile per llo schizzofrenico sovrapporsi della commedia e della tragedia.
Sarà il teatro a porre fine a quest'pera attraverso il capocomico, vecchio Xuto che centellina le parole di Athena a lui riferite: lo si lasci godere "la sua bella illusione".