- “Aggregazione e sinergia”: sono queste le parole chiavi pronunciate dal presidente della Camera di Commercio di Viterbo Ferindo Palombella, durante la presentazione dell’8° Rapporto sull’economia della Tuscia Viterbese avvenuta oggi nella Sala del Consiglio dell’Università degli Studi della Tuscia, alla presenza del rettore Marco Mancini.
Dal Rapporto, realizzato dall’Osservatorio Economico Provinciale in collaborazione con l’Istituto di ricerca economica Guglielmo Tagliacarne, emergono fragilità e potenzialità del sistema economico che attraversa una fase di stagnazione con: una ricchezza prodotta che è positiva analizzando il trend degli ultimi quattro anni (+3,7%).
Anche se il Prodotto Interno Lordo pro-capite fermo all’81,9% della media nazionale; un tessuto imprenditoriale che stenta a completare la fase di riposizionamento quantitativo e qualitativo; il commercio estero in leggera variazione negativa (-1,6%); una dotazione infrastrutturale carente delle reti viarie, energetiche, ambientali, telefoniche e telematiche; un tasso di disoccupazione preoccupante (Viterbo 9,6%, Italia 6,1%) che colpisce soprattutto le donne; la convergenza verso gli standard nazionali del livello dei tassi di interesse; un’indagine congiunturale che lascia intravedere nulla di buono per il 2008.
“I dati sull’andamento della nostra economia ha spiegato Francesco Monzillo, dirigente e responsabile del Servizio Studi e statistica della Camera di Commercio di Viterbo e dell’Osservatorio Economico Provinciale evidenziano un ritmo di crescita ancora modesto e sicuramente lontano da standard tali da collocarci stabilmente tra le province del centro nord piuttosto che quelle del centro sud.
Il nostro tessuto produttivo è composto da settori tradizionali (agricoltura e costruzioni in testa), piccole e microimprese, che presentano ancora una scarsa capacità relazionale e di innovazione”.
“Dobbiamo uscire da questa fase di stagnazione ha dichiarato Ferindo Palombella che ormai si trascina da troppo tempo muovendoci su due filoni: mettere in grado le imprese di crescere dimensionalmente e culturalmente, e realizzare tutti quegli accordi e partecipazioni che possano facilitare integrazioni di filiera, settoriali o intersettoriali. Ritengo che contesti quali il Distretto ceramico di Civita Castellana, il Distretto agroalimentare, i GAL dei Cimini e degli Etruschi, il Parco scientifico e tecnologico, il Marchio collettivo Tuscia Viterbese e l’Università rappresentino i contesti sui quali concentrarsi per determinare un’accelerazione del processo di maturazione del sistema economico”.
In questa ottava edizione del Rapporto sull’economia della Tuscia Viterbese è stato dedicato un approfondimento al rapporto tra mondo delle imprese e università da cui è emerso che solo il 5,3% delle nuove assunzioni programmate nel 2007 è stato appannaggio di laureati (contro un dato per l’Italia del 9% e per il Lazio del 14,7%), anche se il 57,4% degli intervistati, a un anno dalla laurea dichiara di avere un’occupazione.
“Questi dati ha dichiarato il rettore Marco Mancini rivelano che stiamo assistendo a una vera propria fuga di cervelli e che anche l’Università deve darsi una scossa se vuole contribuire allo sviluppo del territorio.
Non a caso abbiamo in programma una ridefinizione dell’offerta formativa coinvolgendo le associazioni di categoria, per una valutazione reale dei fabbisogni formativi e degli sbocchi professionali. Inoltre è necessario elevare il livello di comunicazione delle potenzialità didattiche e di ricerca dell’Ateneo, affinché le nostre attività vengano conosciute anche dal mondo imprenditoriale che potrebbe trarne vantaggio per far crescere la cultura di impresa”.
Nel corso della presentazione del Rapporto economico non è mancato il riferimento esplicito all’aeroporto da parte del presidente Palombella il quale ha dichiarato: “La semplice costruzione di un’infrastruttura importante come un aeroporto genera effetti rilevanti, ma temporanei, sulla formazione della ricchezza locale, effetti che vengono ad esaurirsi una volta terminata la fase di realizzazione dell’investimento.
Al contrario, gli effetti indiretti, che sono quelli che possono mettere in campo le forze locali, sono permanenti, e sono quelli che possono veramente far fare un salto di qualità al nostro territorio, oltre che rafforzare la possibilità, per le imprese della Tuscia, di orientarsi con le loro produzioni di qualità verso nuovi mercati.
Per questo motivo è necessario che già nelle fasi che precedono la realizzazione dell’infrastruttura ci sia un coinvolgimento diretto delle forze economiche secondo quello spirito di concertazione che proprio negli ultimi mesi si è rivelato vincente per la Tuscia”.
Sintesi dell’8° rapporto sull’economia della Tuscia Viterbese
Il rallentamento della crescita mondiale che sta influenzando l’economia nazionale (+0,3% PIL previsto nel 2008), sembra proseguire nel 2009 anche in ragione delle forti criticità strutturali ancora presenti nel Paese. Un inflazione in crescita sostenuta dai prezzi dei prodotti alimentari, delle materie prime e, in particolare, del prezzo del petrolio, un potere d’acquisto delle famiglie e delle piccole imprese in forte calo e una conseguente crisi di domanda interna.
In questo quadro generale si colloca la provincia di Viterbo, con una ricchezza prodotta nel periodo 2004-2007 in crescita, ad un tasso medio annuo del 3,7%, con un ritmo più dinamico sia rispetto a quanto registrato in Italia (+3,3%) che nel Lazio (+3,5%).
Questo risultato è addebitabile soprattutto al settore delle costruzioni (2003-2006 +5,9% medio annuo) e all’agricoltura (+5,9% medio annuo), cresce meno il manifatturiero (+0,7% rispetto all’1,5% Italia). Discreta crescita anche dei servizi, con un +2,2% in linea con la media nazionale.
Sul fronte della distribuzione della ricchezza procapite ancora distante il territorio provinciale rispetto alla media-Italia. Il PIL pro-capite della provincia di Viterbo è infatti pari all’81,9% della media nazionale, con un gap piuttosto sostenuto e in leggero peggioramento nell’ultimo biennio, anche a causa di un aumento demografico che nella maggior parte dei casi poco porta in termini di produzione di ricchezza.
Migliore la situazione patrimoniale delle famiglie con un indice per famiglia che presenta un valore pari a 88,2 (posta Italia=100), di gran lunga superiore rispetto al numero indice del PIL procapite (81,9). Questo patrimonio, tuttavia, continua ad essere incentrato soprattutto su beni immobili, il 64,1% del totale, (Italia 59,5%), piuttosto che in attività a più elevato rischio finanziario, il che determina, un modesto gettito di risorse da investire presso il sistema produttivo e quindi un più limitato effetto moltiplicatore con evidenti conseguenze nella produzione di ricchezza.
Il tessuto imprenditoriale
Sul versante delle imprese, in questo periodo si sta assistendo a un riposizionamento quantitativo e qualitativo: diminuiscono le imprese agricole e, nell’ambito del manifatturiero, le aziende del tessile e dell’abbigliamento, mentre aumenta l’industria alimentare. Perdura, nel contempo, il processo di irrobustimento qualitativo del sistema imprenditoriale, evidenziando un’inesorabile incremento del peso delle imprese che operano con forma giuridica di società di capitale ad un ritmo superiore rispetto alla media Italia, anche se il gap con la media Paese è ancora piuttosto ampio (7,6% il peso delle società di capitale a Viterbo, 14,6% Italia).
Il Commercio con l’estero
Passando al commercio con l’estero, il dato delle esportazioni del 2007 rispetto al 2006, mostra una leggera variazione negativa (-1,6%), in evidente controtendenza rispetto a quello laziale (+7,6%) e nazionale (+8%).
Nell’analisi merceologica dei prodotti si sottolinea l’elevato peso ancora detenuto nell’export dai prodotti agricoli (8,5% sul totale) e da quelli della collegata industria alimentare (14,2%), in una logica di filiera che presenta però alcune differenziazioni in termini dinamici: se i primi, infatti, hanno conosciuto una crescita dei volumi esportati nel 2007 rispetto all’anno precedente (+3,6%), viceversa risultano in calo (-18,9%) i valori in euro delle merci prodotte dalle industrie di trasformazione alimentari presenti nella provincia, in particolare si sottolinea la contrazione dei preparati e conserve di frutta e ortaggi (-17,5), elemento che evidenzia ancora la scarsa capacità di aggiungere valore ai prodotti di qualità elevata del territorio.
Ottimo il risultato fatto segnare dall’industria della gomma-plastica che, con una crescita del +61,4%, va assumendo un peso sempre più importante nel paniere dell’export locale. Stesso dicasi per l’industria del mobilio (+30,6%), in grado di mettere in commercio produzioni artigianali con un sempre più crescente appeal sui mercati esteri: ad oggi i mobili rappresentano il 7,7% dell’export totale della Tuscia.
Tiene anche il comparto della ceramica di Civita Castellana (+0,1%) che assorbe quasi la metà dell’export dell’intera Tuscia.
L’Europa si conferma il principale mercato di riferimento per le imprese della Tuscia, anche se va segnalato il crescente peso che i continenti e le aree emergenti stanno acquisendo nel commercio internazionale.
Si evidenzia infatti un calo dei flussi verso il Vecchio Continente pari al -2,1%, e soprattutto dell’America (-14,5%), mentre si sono registrate variazioni estremamente positive dell’Asia, che ha visto crescere del +24,6% gli acquisti di beni provenienti dalle imprese di Viterbo. In particolare spiccano aree tradizionalmente attente al marchio “made in Italy” e caratterizzate da una forte crescita, come India e Cina, o da una forte capacità di spesa, come il Medio Oriente (+54,7%). Bene anche l’export verso i Paesi dell’Europa dell’Est, con Russia e Polonia in evidenza.
Rimane sempre bassa la propensione all’export (5,1%) della provincia di Viterbo, con 5 euro ogni 100 prodotti nel territorio che varcano i confini nazionali. Un livello molto più basso di quanto si riscontra a livello nazionale che ha segnato un indice pari a 23,4. Viterbo, come è noto rappresenta ancora un sistema produttivo composto da produzioni spesso esclusivamente rivolte al mercato italiano, se non al mercato locale, con scarso valore aggiunto, e presenta un consistente deficit strutturale dovuto in particolare alla mancanza di un robusto tessuto manifatturiero.
L’unica eccezione si riscontra in alcune imprese del distretto della ceramica di Civita Castellana, che rappresenta ancora il fulcro centrale dell’export viterbese.
La dotazione infrastrutturale
Uno dei fattori territoriali di competitività è quello che attiene la dotazione infrastrutturale.
Secondo l’ultimo dato pubblicato si evidenziano tutta una serie di carenze, partendo dalle reti viarie, che hanno segnato un indice pari a 74,3 (indice Italia=100), alle reti energetiche e ambientali (75,6), alle reti di telefonia e telematica (52,5). Anche sul versante delle infrastrutture non economiche i risultati non sono brillanti, infatti, sia le strutture culturali e ricreative (61,2) che quelle sanitarie (49,2) presentano risultati di gran lunga inferiori alla nazione (100,0); mentre risultano in forte miglioramento quelle dell’istruzione (104,9).
Da qui si sente una forte esigenza di migliorare le prossimità logistiche con i principali poli economici del Paese. La realizzazione dell’aeroporto su questo versante porterà indubbi benefici sia per il cospicuo livello di investimenti che arriveranno sul territorio, sia per quello che comporterà, inevitabilmente, in termini di sviluppo di reti di trasporto e di collegamenti intermodali.
In questo quadro non brillante si colloca il mercato del credito che nello specifico è contraddistinto da un significativo percorso di convergenza verso gli standard nazionali del livello dei tassi di interesse, Viterbo (6,8%), Italia, (6,4%).
Questo risultato indubbiamente positivo, se confrontato con l’enorme divario osservato fino a pochi anni fa, è causato sia da un effetto trascinamento del polo della Capitale, ma anche da un analogo percorso di miglioramento sul versante delle sofferenze. Infatti si è osservata una rilevante diminuzione delle sofferenze bancarie nella Tuscia, con una variazione, nel periodo 2000-2007 (pari al -35,1%), non solo più elevata fra tutte le province laziali, ma notevolmente al di sopra anche della media nazionale.
Si tratta di una tendenza incoraggiante che, se incrociata con la elevata diminuzione del tasso d’incidenza delle sofferenze sul totale degli impieghi, testimonia un clima favorevole per la ripresa della concessione di finanziamenti, dal momento che la diminuzione delle sofferenze permette alle banche della Tuscia di assumere un minore rischio di credito nei confronti degli affidati. Nonostante ciò, a Viterbo si registra un ritardo non ancora colmato nell’adeguamento ai parametri nazionali, con un’incidenza delle sofferenze sul totale degli impieghi bancari superiore al doppio della media nazionale (Viterbo 7,5%; Italia 3,3%).
Il mercato del lavoro
Da questo quadro discende anche un mercato del lavoro in forte sofferenza, con un livello del tasso di disoccupazione piuttosto preoccupante (Viterbo 9,6%, Italia 6,1%). A fare le spese di questa scarsità occupazionale sono soprattutto le donne (tasso di disoccupazione femminile pari al 13,6% rispetto al 7,9% del dato nazionale) e coloro che, per difficoltà imprenditoriali, fuoriescono anticipatamente dal mercato del lavoro.
La conferma della peculiarità del caso viterbese viene anche dall’analisi del tasso di occupazione: la Tuscia, è l’unica, tra tutte le province del Lazio, a presentare un tasso di occupazione in calo tra 2004 e 2007, in controtendenza anche rispetto a quanto registrato nel Paese. Nel dettaglio, il tasso in questione è calato a Viterbo di quasi 3 punti percentuali (pur rimanendo stabile nell’ultimo biennio), laddove nel Lazio e in Italia è aumentato dell’1,2%, facendo così aumentare il gap tra la provincia viterbese e il resto del Paese.
La congiuntura
In relazione all’indagine congiunturale realizzata presso un campione di 450 imprese della provincia emerge una situazione non particolarmente rosea per l’economia viterbese. Nel 2007, per tutti gli indicatori esaminati (fatturato, ordinativi, occupazione) prevalgono le indicazioni di un peggioramento nei confronti del 2006. Sulla base delle risposte delle imprese si stima un calo del fatturato delle imprese del 4,5%, che arriva al 6,1% per gli ordinativi e si ferma ad un 2,8% nell’occupazione.
Tra i settori peggiori si trovano il commercio (-7% del fatturato), in particolare per la piccola distribuzione ed il commercio all’ingrosso, e le costruzioni (-6,9% del fatturato), a testimonianza del ridimensionamento della fase espansiva che ha caratterizzato l’edilizia negli ultimi anni. Negativi ma meno preoccupanti i dati dell’agricoltura, dei servizi e del manifatturiero, anche se per quest’ultimo caso i comparti del tessile e dell’abbigliamento evidenziano una crisi perdurante.
Nel corso dell’indagine si è evidenziato come vi sia in atto un processo di riposizionamento tra le imprese viterbesi, le quali stanno puntando su produzioni a maggior valore aggiunto, in grado di contrastare la flessione dei livelli produttivi. In diversi casi, infatti, ad un calo della produzione nelle aziende della Tuscia, non ha fatto seguito una pari contrazione del volume d’affari, il che testimonia come gli imprenditori locali puntino su prodotti e servizi di “qualità”, elemento sempre più indispensabile in un mercato contraddistinto da una crescente e agguerrita concorrenza sui costi dei fattori produttivi ma anche sul prezzo stesso delle merci.
Per quanto riguarda il 2008, tutti i settori produttivi della provincia, presentano variazioni previsionali di segno negativo, seppur con intensità minori rispetto al 2007. Il settore delle costruzioni, in particolare, vede sensibilmente ridursi l’intensità delle variazioni negative, avvicinandosi alla sostanziale stabilità rilevata anche nel caso del manifatturiero e dell’agricoltura.
Le eccezioni più rilevanti sono rappresentate dal tessile e dall’abbigliamento, per il comparto manifatturiero, e dal commercio per il terziario, settori che continuano ad evidenziare grandi difficoltà.
Nonostante i dati fin qui analizzati mostrino un quadro congiunturale non propriamente favorevole per l’economia viterbese nel 2007, sempre secondo le percezioni dell’imprenditoria locale, emerge un nucleo di imprese che, al contrario, presenta performance positive e riesce a trainare la crescita del sistema produttivo locale, così come evidenziato dall’analisi strutturale.
Un nucleo di imprese che, grazie a politiche di investimenti messi in atto negli anni scorsi, ma anche e soprattutto in virtù di una solida struttura finanziaria, ha visto crescere (in alcuni casi anche sensibilmente) il proprio volume d’affari in un anno contrassegnato, ovunque, da difficoltà congiunturali.
È la dimensione d’impresa, quindi, uno dei fattori decisivi per la competitività delle imprese, anche nel contesto produttivo della Tuscia: le migliori performance in termini di saldi congiunturali, infatti, sono registrate dalle aziende medio-grandi (spesso appartenenti a gruppi di impresa), e in particolare da quelle con oltre 50 dipendenti, la quasi totalità delle quali ha visto aumentare il proprio volume d’affari nel corso del 2007.
Stesso dicasi se si sposta l’attenzione sulla composizione giuridica, la quale evidenzia performance particolarmente positive per le società strutturate come le Spa e le Srl, mentre a soffrire maggiormente della congiuntura vischiosa sono soprattutto le microimprese (quasi sempre sotto forma di ditta individuale), che continuano a rappresentare la larga maggioranza dell’imprenditoria viterbese.
Questa stessa fetta del tessuto imprenditoriale locale, poi, appare scarsamente aperta ai mercati esteri, non solo per via della crescente concorrenza internazionale ma anche in virtù di precise scelte aziendali, spesso legate alla piccola dimensione dell’azienda stessa.
L’approfondimento: Università e mondo imprenditoriale
Incrociando i dati provenienti dalle imprese e quelli raccolti presso i laureati, si evince che il territorio fatica ad assorbire i laureati dell’Università della Tuscia: solo il 5,3% delle nuove assunzioni programmate dalle imprese per il 2007 era appannaggio di queste figure (contro un dato Italia 9% e Lazio 14,7%).
Nonostante questo, tra i laureati preriforma, il 57,4% degli intervistati, a un anno dalla laurea dichiara di avere un’occupazione (contro un dato medio del gruppo di Atenei facenti parte di Almalaurea del 53,1%). Si stima comunque che molti di questi laureati vada a lavorare fuori dal nostro territorio o si accontenti di lavori meno qualificati. Ciò risulta evidente sia dalla richiesta delle imprese ma anche dalla percentuale di laureati lavoratori che dichiara di utilizzare in misura elevata le competenze acquisite durante il ciclo di studi, sempre inferiore al 40% ad eccezione della facoltà di agraria che arriva al 64,3%.
Dall’indagine svolta presso un campione di imprenditori, risulta ancora evidente una diffusa incertezza sul ruolo attivo che l’Università della Tuscia può avere nella definizione del modello di sviluppo locale, infatti, solo un terzo degli intervistati ritiene utile l’apporto fornito dalle strutture universitarie a tal fine. Comunque, una parte dell’imprenditoria ha compreso la necessità di individuare nuovi percorsi, nuove strategie di commercializzazione dei prodotti, nuovi settori merceologici sui cui puntare, la riconversione dell’agricoltura e del manifatturiero locale, e che a tal fine si richiede la necessaria collaborazione dell’Università, considerata uno “strumento” in grado di anticipare o comunque individuare i nuovi settori trainanti dell’economia terziarizzata.
Anche l’attivazione di stage aziendali per i neolaureati dell’Università non sembra uno strumento molto diffuso tra le imprese viterbesi (solo il 5% delle aziende ne ha fatto uso), con un 30% di stage che si trasformano poi in contratti di lavoro.
Oltre ai benefici derivanti dall’offerta di capitale umano qualificato o comunque a valutazioni inerenti il ruolo di formatore, pur se in maniera limitata, vengono richiesti all’Università supporti in materia di ricerca (18,2% degli intervistati), di progettazione di servizi turistici (12,5%) e di consulenza strategica per l’attuazione di investimenti (7%). Purtroppo queste valutazioni non sembrano così diffuse ed è riscontrabile dalla percentuale di mancate risposte in tutti i quesiti posti alle imprese sull’importanza ed i benefici che possono derivare all’economia territoriale dall’Ateneo viterbese, variabile tra il 20 ed il 50%.
Queste valutazioni ovviamente riflettono la struttura imprenditoriale provinciale, dove prevalgono ancora una serie di soggetti che possono solo in minima parte beneficiare dell’offerta formativa e della collaborazione con l’Università, soprattutto in virtù della dimensione media delle imprese, che risulta molto contenuta, e dei settori che la compongono, come le costruzioni, i servizi “tradizionali”, o l’agricoltura “di sussistenza”, che ancora costituiscono i settori portanti dell’economia locale.