-Per le lavoratrici autonome italiane il numero non fa la forza.
Sono tante, ma poco tutelate. Il loro diritto alla maternità è messo in discussione da condizioni d’accesso al congedo parentale svantaggiose. L’endemica carenza di asili nido, diffusa in tutto il Paese con qualche rara eccezione, fa il resto. Risultato: fanno meno figli ed hanno più difficoltà a conciliare la vita lavorativa con quella familiare.
Questo è il quadro che emerge dalle analisi compiute da Enrico Quintavalle dell’Ufficio Studi Confartigianato e presentate dal Segretario dell’Anap-Confartigianato Persone Fabio Menicacci in occasione del seminario di studio promosso dal Dipartimento per le politiche della famiglia della Presidenza del Consigio dei Ministri intitolato “L’evoluzione delle politiche di conciliazione tra vita familiare e vita lavorativa: azioni e prospettive”.
Sul totale delle donne lavoratrici di età compresa tra i 15 e i 39 anni, l’Italia è il paese europeo con la maggiore incidenza di lavoratrici autonome (il 16,6%): il 2,5% in più della Grecia (secondo tra i paesi europei) e più che doppia rispetto alla media del continente che si attesta attorno al 7,4% (dati Eurostat del 2006). Sulle 9.049.000 di donne occupate in Italia nel 2006, 1.851.000 (il 20,5%) sono lavoratrici indipendenti. Se i numeri del lavoro autonomo femminile in Italia sono da primato europeo, lo stesso non si può dire delle tutele sociali e previdenziali di cui esso può disporre.
La percentuale di donne lavoratrici italiane che usufruiscono di un lavoro part-time è di 6,5 punti inferiore rispetto alla media europea. In Italia la spesa per la protezione sociale si attesta sul 18,1% del Pil, contro il 21,9% della Germania e il 22,6% della Francia (dati Eurostat del 2004).
In particolare, sul fronte spesa sociale per la voce “Famiglia e maternità”, l’Italia è fanalino di coda rispetto agli altri paesi europei. Secondo la classificazione per funzioni Seproso96 l’1,1% contro il 3,9% della Danimarca, il 3% di Austria, Germania e Svezia. Solo la Spagna con lo 0,7% fa peggio (dati Mef). Le prospettive non sono rosee se si continuerà a seguire il trend degli ultimi anni. Dal 1997 al 2006, infatti, la spesa destinata al sostegno delle famiglie è scesa dal 3,5% al 3% del Pil.
Se a questi dati si aggiunge che un’imprenditrice e una lavoratrice autonoma lavora mediamente 7-8 ore (il 24,2%) in più di una lavoratrice dipendente (dati Istat), non è difficile immaginare le difficoltà a progettare una maternità. Tra i 15 e i 49 anni il rapporto tra figli e donne lavoratrici autonome (1,8%) e in proprio (1,4%) è infatti inferiore rispetto a quello delle lavoratrici dipendenti (3,1%).
Se il lavoro dipendente consente sia alla madre che al padre di avere accesso al congedo parentale, nel lavoro autonomo il diritto di congedo spetta solo alla donna. E anche in questo caso averne il diritto sulla carta non significa l’esercizio concreto di questo diritto. Solo lo 0,25% delle lavoratrici autonome è nelle condizioni di andare in congedo parentale, percentuale 37 volte inferiore rispetto alel lavoratrici dipendenti private.
A rendere la situazione ancora più critica, l’insufficienza del numero degli aisili nido. In Italia il rapporto tra utenti del servizio all’infanzia e popolazione da 0 a 3 anni è solo del 11,4%. Percentuale che si avvicina all’obiettivo di Lisbona del 33% solo in regioni modello come Valle d’Aosta (56,5%) ed Emilia Romagna (27,1%), ma che precipita a 1,7% in regioni ad alta densità di popolazione 0-3 anni come la Campania. “Gli Enti Bilaterali dell’Artigianato fanno molto per supplire alla mancanza di congedi parentali e di previdenza.
Nell’artigianato in fondo ha detto Fabio Menicacci alla tavola rotonda sul “Ruolo delle parti sociali nella costruzione di una politica della conciliazione” l’unica conciliazione possibile tra lavoro e figli sono i nonni.
Altrimenti le donne artigiane o autonome sono costrette a crescere i loro figli a bottega.
La Confartigianato propone di estendere la figura del sostituto d’impresa anche nel mondo dell’artigianato ed è pronta a sedersi al tavolo della concertazione per dare alle lavoratrici autonome le stesse garanzie previdenziali di cui usufruiscono le dipendenti”.