- “Quella di oggi è un’occasione per ricordare non solo le persone a tutti noi care, ma anche per ricordare i compagni di viaggi di mio padre perché, non succeda mai più che i loro nomi siano dimenticati.
Erano Oreste Leonardi, Raffaele Iozzino, Domenico Ricci, Giulio Rivera e Francesco Zizzi”.
Agnese Moro inizia così il suo intervento a Palazzo Gentili in occasione dell’iniziativa di ieri pomeriggio, “Per non dimenticare Aldo Moro, per conoscere la nostra storia”, organizzata dalla Rete degli archivi per non dimenticare, il Centro di documentazione Archivio Flamigni, la Provincia di Viterbo, l'Archivio di stato di Viterbo, la Cgil e la Flc-Cgil di Viterbo.
Oltre alla figlia dello statista hanno partecipato Benedetta Tobagi (figlia del giornalista ucciso dalla Br il 28 maggio 1980, il senatore Sergio Flamigni, il presidente della Provincia di Viterbo Alessandro Mazzoli, Ilaria Moroni dell’Archivio Flamigni e il segretario generale della Cgil Gian Battista Martinelli.
Durante l’incontro si sono succedute le dichiarazioni, ancora sofferenti e commosse, dei testimoni di un pezzo di storia italiana dove ancora - a trent’anni di distanza - non si è fatta piena luce.
“Il presidente della Democrazia cristiana ha detto Mazzoli - il 16 marzo di trent’anni fa fu rapito e per 55 giorni fu tenuto prigioniero, fino alla condanna finale. Una condanna di morte. L’immagine di quei giorni è scolpita ancora nella testa di tutti.
E chi non era ancora nato ne ha sentito parlare. Perché in quel giorno fu scritta non solo la pagina più drammatica della storia dell’Italia repubblicana, ma anche perché non fu più possibile chiudere gli occhi su una società che cambiava o che a stento tentava di farlo.
Col trascorrere degli anni, la strage di via Fani, il sequestro di Aldo Moro e la sua efferata uccisione si sono trasformati però in un luogo paradossale della memoria. Ingombrante, dove ci si confronta di sfuggita, come davanti a uno specchio che riflette la cattiva coscienza.
Si ha fretta di chiudere, per evitare il confronto duro che invece quella storia continua ancora oggi a richiedere, perché siamo convinti che non sia stato detto ancora tutto”.
E’ proprio per non dimenticare e per continuare a indagare che i partner dell’iniziativa hanno messo in campo questo progetto sulla memoria che coinvolge anche le scuole e l’università.
“Aldo Moro era mio padre, colui che mi teneva la mano e mi portava di notte un bicchiere d’acqua dice ancora Agnese Moro -, colui che mi ha portato al circo, a teatro e al cinema a vedere i film western, che non seguiva mai e alla fine mi chiedeva la trama. Ho dei ricordi ancora presenti.
Dopo la sua morte ho cercato di capire i bivi della sua vita, le scelte fatte per la nostra democrazia. Credo che oggi vada fatta una seria riflessione sul senso del terrorismo italiano e su cosa è andato ad abbattere. Perché sono state colpite le persone che avevano la capacità di aprire nuovi e più ampi orizzonti”.
Poi la commossa testimonianza di Benedetta Tobagi.
“Non ho ricordi di mio padre, perché quando fu ucciso dice - ero molto piccola. Ma ho ripercorso minuziosamente la sua vita intellettuale.
Oggi lo voglio ricordare non solo per il suo modo di essere giornalista, ma anche per un’attività che spesso passa sotto silenzio. Mio padre Walter era uno storico che aveva la pretesa di voler capire per poter spiegare.
E fu ucciso per questo. Nel volantino delle Br che rivendicava il suo attentato è scritto chiaramente che i brigatisti lo hanno colpito perché ‘era il caposcuola di quella tendenza intelligente del giornalismo italiano’”.
Le conclusioni sono state affidate al senatore Sergio Flamigni. “La storia di quegli anni va fatta sui documenti, perché la verità che ci hanno dato è parziale e non completa. Dobbiamo pensare cosa è stato il 16 marzo del 1978. E non c’è persona che non ricordi esattamente il momento in cui ha appreso la notizia della strage di via Fani.
Quei giorni il popolo reagì con una partecipazione mai vista, ma le forze politiche si sono dimostrate impotenti. Le speranze sono state deluse.
Nei 55 giorni del sequestro Moro la magistratura è stata estraniata e portata a rimorchio dal potere politico, dal Viminale che dirigeva le operazioni. Sono stati 55 giorni vissuti fuori dalla Costituzione ed è stato sconfitto il modo di essere dello Stato.
E il 9 maggio del 1978 è iniziata la crisi politica, che tuttora ci portiamo dietro, che ha allontanato i cittadini dalle istituzioni perché non è stata soddisfatta la sede di giustizia. E su quella vicenda non c’è chiarezza, non c’è verità, nonostante più volte ci hanno detto che tutto era chiaro”.