- Come filo conduttore c’è il “Viaggio della memoria”. Nei giorni scorsi la visita ai campi di sterminio di Auschwitz e Birkenau grazie alla Provincia, oggi la testimonianza diretta di chi a Birkenau è stato deportato, subendo gli orrori della Shoah: all’istituto Orioli di Viterbo i ragazzi hanno avuto la possibilità di ascoltare le parole di Josef Varon, alla presenza del presidente Alessandro Mazzoli, di Silvia Antonacci del Centro studi ebraico e del preside Luigi Valente.
Varon è stato deportato da Rodi a Birkenau insieme alla sua famiglia, in quella che si è rivelata una delle deportazioni più lunghe della storia della Shoah. Da allora non ha più visto sua madre, mentre il padre è morto di inedia, per aver permesso ai figli di mangiare anche la sua parte della scarsissima razione giornaliera di cibo e così sopravvivere.
“Per noi ha detto Mazzoli è fondamentale essere vicini al vostro lavoro, perché siamo di fronte alla più grande tragedia dell’umanità. I nostri nonni raccontano di qualcosa che sembra impossibile sia accaduta davvero. Visitare quei luoghi è stato importante per rendersi conto di persona e provare a capire come questa tragedia è stata “costruita”. Perché di fatto, i campi di sterminio erano una catena di montaggio non per beni e servizi alla persona, ma per annientarla dentro, prima ancora che fisicamente. E oggi, in particolare sono proprio i giovani a dover riflettere su ciò che è stato, per alimentare la memoria e impegnarsi affinché non si ripeta mai più”.
Sul video scorrono le immagini del viaggio realizzate dagli studenti, poi arriva la testimonianza di Varon. “Ad Auschwitz non sono più tornato ha spiegato ai ragazzi - così come a Rodi”. Josef si commuove, si ferma un attimo, poi riprende il racconto. “Non avevamo più la cognizione del tempo e del posto in cui ci trovavamo: era come se fossimo stati sparati in una realtà cosmica dove non c’era nulla di terreno. Tutto era diverso, l’atmosfera infernale, catapultati in un mondo che non era mondo. E noi lì come automi, specchi di noi stessi”.
Per 58 anni non ne ha mai parlato se non con la moglie, poi è stata la comunità ebraica a chiedergli di farlo. “Non si può negare una realtà così evidente, che si può toccare con mano. A un certo punto abbiamo sentito il rombo dei motori e scoppi: erano venuti a liberarci. Da Rodi eravamo partiti in 1870, ma 10 mesi dopo siamo tornati solo in 179. Oggi là c’è un solo ebreo”.
Alla fine, i ragazzi dell’Orioli hanno consegnato a Varon i lavori con i quali hanno partecipato al concorso indetto dalla Provincia per il viaggio ad Auschwitz.