:::::    
Logo TusciaWeb
Archivi | Mailing | Contatti | Primo | Provincia | Civitavecchia | Lazio | Sport | Flash | Forum |Dossier | TusciawebTV | Velina | Nonsololibri
Tutto casa  Tutto vacanze Tutto automobili  Tutto viaggi


Aspettando il 3 settembre - Quando Giuseppe Zucchi raccontò l'indimenticabile Volo d'angeli
La Macchina passò grazie ai soldi di Lindbergh il trasvolatore
di Silvio Cappelli e Rino Galli
Viterbo - 11 agosto 2009 - ore 17,00

Giuseppe Zucchi
Copyright Tusciaweb
Volo d'angeli a piazza San Sisto
Copyright Tusciaweb
Una tradizione secolare è fatta di grandi e piccoli episodi. La macchina di Santa Rosa e la festa del 3 settembre sono una tradizione secolare ancora viva e che ancora oggi ha una capacità innovativa notevole.

Abbiamo chiesto a Silvio Cappelli e ad altri amici di darci una mano per ricordare luoghi e personaggi della tradizione. Tanto più in un momento in cui una tradizione sembra esser passata di mano. Essere meno viterbese con tutti i vantaggi e svantaggi che ne possono scaturire. Per non dire dei pericoli di snaturamento.

Proprio per questo iniziamo questa carrellata di uomini ed episodi con Giuseppe Zucchi. Un uomo, un gigante che non fa parte della tradizione, ma che è stato ed è la tradizione.

C.G.

- Dieci anni fa, e precisamente nel mese di novembre del 1999, insieme all’amico Rino Galli, ebbi la fortuna di intervistare Giuseppe Zucchi, nato a Viterbo nel 1922, operaio della società nazionale gazometri, che nel 1967 è stato il progettista e il costruttore della indimenticabile Macchina "Il volo d'angeli".

E’ bello, a distanza di 10 anni, riassaporare la semplicità e la viterbesità di quest’uomo.


"Io sono stato facchino - iniziò così a raccontare la sua Macchina Giuseppe Zucchi - subito dopo la guerra, nel '46, ero spalletta, mio fratello ancora non c'era, era ancora prigioniero. Portai la Macchina di Papini, quella di Salcini e smisi quando venne quella di Paccosi".

Quando smise pensava già di diventare un costruttore?

"Avevo presentato un progetto quando vinse Salcini; ne presentai un altro quando vinse Paccosi, ma non potevo essere Facchino e nello stesso tempo progettista. Finito il periodo dì quella di Paccosi, presentai un altro progetto e vinsi".

Quando vedeva queste altre Macchine, aveva già in mente quella che poi sarebbe stata "Il volo d'angeli"?

"No. Le guardavo, conoscevo tutti i disegni che stavano al museo, ma, devo dire la verità, cominciai il bozzetto un anno prima. Mi balenò l'idea di "Fontana grande" come base della Macchina e poi tutto lo sviluppo su, su fino alla Santa. Da ragazzo io mi arrampicavo su quella fontana perché mio padre, che era fontaniere, mi diceva di andare su a regolare i getti. Ero molto attaccato alle fontane: feci in bronzo Fontana Grande, quella di Piazza della Rocca, quella della Crocetta, quella di Piazza della Morte e questa l'ho messa sulla tomba di mio padre".

Che significava per lei quel Volo d'angeli?

"Tante cose. Innanzitutto la gloria della Santa. All'inizio l'avevo messi di spalle, ma non andavano bene e, gira e gira, li misi abbracciati: ricorderanno i paracadutisti quando si lanciano, come quelli che stavano a Viterbo e spesso andavo vederli quando si esercitavano".

E' vero che ognuno degli angeli aveva un nome?

"Sì. Il vescovo Spallanzani doveva consacrare questi angeli, ma per farlo dovevano avere un nome. Presi delle lamine da un pezzo di zinco che stava dove fu sepolta la prima volta Santa Rosa e sopra con un acido scrissi dei nomi".

Ma erano nomi di angeli o nomi di persone?

"No. Erano nomi di persone che io ho conosciuto. Quelle lamine furono messe in mezzo alla cartapesta: nessuno ha visto mai quei nomi".

E' vero che quegli angeli ogni tanto si rivedono?

"Dicono: Que' è gojo! (questo è matto) Si vedono, se si guarda, si vedono, perché c'è qualche cosa: le nuvole, bianche come gli angeli...".

Gli angeli come li ha realizzati?

"Modellando la creta; poi ho chiamato degli artigiani di Viareggio per farli in cartapesta".

Quanti erano gli angeli?

"Nei primi anni erano dodici. Poi tolsi le vasche più alte della fontana e misi altri angeli e divennero sedici. Alla parte interna, al traliccio, pensò l'ingegnere Perugi"

Santa Rosa come era realizzata?

"In cartapesta. Era alta quattro metri, c'era una stella, la santa sembrava piegarsi in ginocchio con una croce come se pregasse".

Non era trionfante?

"Stava in atteggiamento di preghiera".

Lei non l'ha fatto per scopo di lucro?

"lo ogni anno, quando si doveva montare la Macchina, mi dovevo mettere in aspettativa.

Per la prima costruzione nel 1967, io avevo un po' di fondi, ma... mi aiutò un americano, un grande uomo: Lindbergh, il famoso transvolatore.

Lui stava a Basilea, proprietario di banche, e comperava degli oggetti in bronzo che io facevo, da alcuni miei amici, oppure attraverso i rappresentanti della sua industria.

Capitò che a questi nel '67 non potei vendere nulla perché ero impegnato con la costruzione della Macchina, anzi dissi che ero pieno di debiti.

Questi rappresentanti, tornati in Svizzera lo dissero a Lindbergh che mi mandò tutti i soldi che il Comune aveva dichiarato necessari per la costruzione della Macchina: venti milioni".

E' mai venuto Lindbergh a vedere la Macchina?

"Si presentò a Viterbo nel 1973, mi cercava in mezzo alla folla e ci trovammo verso mezzanotte davanti alla Chiesa di Santa Rosa.

Mi voleva bene, era solo: da poco aveva perso la moglie e prima aveva perso il figlio, un bambino. Mi voleva bene e il motivo era che suo figlio era nato lo stesso giorno in cui ero nato io. Me l'ha mandato Santa Rosa".

Silvio Cappelli
Rino Galli

Copyright 2009 TusciaWeb - Chi siamo - pi: 01829050564