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Aspettando il 3 settembre - Un ricordo di Giuseppe Zucchi il gigante che ha rivoluzionato la tradizione della Macchina di santa Rosa
"Sono l'erede di Cellini..."
di Carlo Galeotti
Viterbo - 11 agosto 2009 - ore 17,00

Giuseppe Zucchi
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Volo d'angeli a piazza San Sisto
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- Il 16 aprile del 2007 Giuseppe Zucchi, ideatore della storica macchina Volo d'angeli, muore.

Lui, per tutti i viterbesi, è sempre stato, e probabilmente sempre sarà l'uomo della Macchina. Quella con la "M" maiuscola.

Subito dopo la sua scomparsa così lo ha ricordato il direttore di Tusciaweb Carlo Galeotti.


“Sono l’erede di Benvenuto Cellini”, Giuseppe Zucchi così si definiva in una delle tante, ma purtroppo brevi, interviste che mi è capitato di fargli.

Tenace, intelligente, a volte sprezzante. E allo stesso tempo dolcissimo nel suo amore per la piccola patrona.

Zucchi è stato un gigante nella storia della Macchina di Santa Rosa.

Si poteva permettere qualsiasi cosa perché lui era... Zucchi. Appunto.

Ebbe il coraggio di rivoluzionare la tradizione. Un coraggio immenso. La prima macchina che mi ricordo era quella di Paccosi, gotica e tutta colorata.

Lui ebbe il coraggio di passare al Barocco. Di fare per la prima volta una macchina tutta bianca. Perfino i ciuffi che uscivano dalla macchina fece colorare di bianco. Voleva in quella meravigliosa macchina che ci fosse la potenza del marmo. E ci riuscì con un genio tutto viterbese.

Il Volo d’angeli è stata in assoluto la macchina più amata dai Viterbesi, nonostante il progetto rivoluzionario.

Ma Zucchi è stato molto di più che un semplice ideatore. Lui era allo stesso tempo costruttore. E poi era sempre lui che guidava la macchina.

I suoi comandi, la sua voce sono per tutti noi viterbesi indimenticabili.
Il suo “Sollevate! e fermi!” fa ancora venire i brividi sulla schiena.

Zucchi era stato anche facchino e della macchina conosceva tutto.

Quando la sua splendida creatura nel ‘67 si fermò a via Cavour una vibrazione attraversò la città. Dolore, emozione, preoccupazione per i propri cari... In molti viterbesi piansero.

Tutti coloro che vissero quella sera, come per i grandi eventi, ne hanno un ricordo indelebile. Si ricordano dove erano e come appresero la notizia.

Con mia madre Bruna ero in via Matteotti e la macchina non arrivava. Aspettammo e alla fine arrivò la notizia: "la macchina è caduta!". Risalimmo le strade fino a via Cavour, preoccupati per mio padre Vinicio che era con i vigili davanti alla Macchina. In via Ascenzi incontrammo i primi facchini con grandi ematomi sul collo e che piangevano. Un dramma per l’intera città. Fortunatamente la macchina non era caduta, ma era stata appoggiata ai palazzi e messa in sicurezza.

Seguirono le polemiche infinite, ma poi la più bella macchina risorse e potemmo sentire di nuovo la voce indimenticabile di Zucchi che dava i comandi.

Zucchi dopo Volo d’angeli presentò altri modelli al concorso per la macchina ma non vinse più. Un vero peccato. Uno dei bozzetti era bellissimo e avveniristico. Era in pratica una sorta di vite che si restringeva e poi si riallargava per restringersi ancora con sopra la santa. Ancora un rivoluzione che non fu capita.

Ricordo il suo giudizio su un’altra macchina rivoluzionaria e bella: Sinfonia d’archi di Angelo Russo.

A una mia sollecitazione la definì: “La gabbia del cricco” . Che non era altro che un insieme di pali in peperino piantati sul terreno accanto a via Rosselli.

Fu un giudizio ingiusto, ma rivelava la grande personalità di Zucchi. La capacità di sintetizzare in una battuta un pensiero articolato.

Una vita complessa quella di Zucchi e... dura.
Era stato pugile dilettante. Durante la seconda guerra mondiale aveva fatto parte delle truppe di assalto della marina come palombaro. Nel dopoguerra fu facchino e ciuffo nella terza fila numero 23.

E’ stato un artigiano e un artista. Sì, un artista.

A lui tutti i viterbesi debbono molto. La macchina di santa Rosa non sarebbe quello che oggi è senza di lui.

Con lui se ne va un Viterbese vero. Un viterbese aspro e dolce come è la nostra terra e il nostro peperino.

Carlo Galeotti

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