:::::    
Logo TusciaWeb
Archivi | Mailing | Contatti | Primo | Provincia | Civitavecchia | Lazio | Sport | Flash | Forum |Dossier | TusciawebTV | Velina | Nonsololibri
Tutto casa  Tutto vacanze Tutto automobili  Tutto viaggi


Macchina di Santa Rosa - La riflessione del sociologo Mattioli
Quella pubblicità snatura una tradizione centenaria
di Francesco Mattioli
Viterbo - 23 agosto 2009 - ore 1,50

Il sociologo Francesco Mattioli
L'impalcatura che snatura la tradizione e la fantasia secondo il sociologo Mattioli
- Sarà che io sono un viterbese di vecchia generazione, che ormai si è fatto un’idea della sua città e delle sue tradizioni, e trasalisce di fronte a certi cambiamenti, specie se appaiono – come si dice oggi - troppo “vulneranti”.

Oddio, non è proprio un atteggiamento di cui vantarsi, questo, per carità… basta leggersi un dizionario; “misoneista”: che odia le novità; oppure, “tradizionalista”: che nel fare e nel pensare segue le tradizione (ma la cosa peggiore è che il dizionario sottolinea anche che il termine è il contrario di “progressista”).

Però quell’impalcatura a Porta Romana, ricoperta di un telo immacolato, con quel civettuolo tettuccio a due spioventi sembrava il fantasma ineffabile e gentile di una torre, di un campanile, rappresentava la voglia di dialogare gaiamente con l’austera torre campanaria di San Sisto.

E poi, i viterbesi sapevano che dietro quella cortina si sarebbe intuita di lì a poco la sagoma della nuova Macchina di Santa Rosa, offrendo un pizzico di provocazione all’attesa spasmodica della sera del 3 settembre.

C’erano tutti gli ingredienti per innamorarsi di quella Macchina, da subito. Perché i viterbesi sanno che il fascino della Macchina, al di là dello spettacolo che offre, sta proprio in questo sottile rapporto con le architetture della città, con il suo genius loci, con una ingovernabile voglia spirituale che ai primi di settembre si fa strada nell’immaginario collettivo dei viterbesi.

Quando su quel telo sono arrivati i festoni della pubblicità ho provato una stretta al cuore; se ne era andato il dialogo con la torre campanaria, e quell’impalcatura era diventata semplicemente un’impalcatura, come tante altre che si vedono nelle città più moderne.

Avevo sentito una turista, memore degli scenari della metropoli di provenienza, chiedere: “cosa c’è lì sotto, una torre in restauro”?

Attraversata Porta Romana, un’altra dolente sorpresa: nessuna ambigua trasparenza, nessun “vedi e non vedi” a solleticare l’attesa misteriosa, ma ancora una volta come accade nei cantieri metropolitani, una gigantografia monocromatica della Macchina a venire, quasi a proclamare: “ecco cosa vi stiamo apparecchiando!”.

Il che, per un ponteggio al centro della città, può rappresentare una rassicurazione del tipo “Vedrai, dopo la città sarà più bella”, ma che nel caso della Macchina sembra solo l’invito precoce e prematuro a fare “oooh!” fin da ferragosto, senza solleticare la fantasia, che è il sale dell’intelligenza.

Leggo sempre sul dizionario, alla voce “spettacolarizzazione”: trasformazione di un evento in uno spettacolo, cioè tendenza a dare importanza agli aspetti esteriori di una manifestazione, introducendo elementi in grado di destare meraviglia.

Invece, leggo alla voce “sponsorizzazione”: contributo finanziario a uno spettacolo per ricavarne pubblicità, spesso in grado di condizionare o di alterare la natura dello spettacolo stesso.

Allora, le perplessità nascono spontanee; perché il trasporto della Macchina di Santa Rosa non è un semplice spettacolo – emozionante quanto si voglia – ma è un rito (basta chiedere ai facchini, se non vogliamo scomodare i viterbesi più devoti della Santa Patrona) che non può essere condizionato da sapienti strategie di marketing.

Ricordo che il marketing suggerì in passato cose strane, del tipo: passaggio della Macchina per via Marconi; prolungamento del percorso a piazza della Rocca; spostamento del trasporto al primo sabato del mese; passaggio della Macchina nella FifthAvenue di New York, e balle simili.

E anche se è vero che la nostra cultura mediatica oggi ci induce a vivere nell’era della spettacolarizzazione, della sponsorizzazione, del verosimile piuttosto che del vero, del falso più attraente del reale, per Santa Rosa ci sono limiti che non dovrebbero essere varcati.

Per carità: la nuova Macchina sarà bellissima e saprà coniugare spettacolo, emozione e sentimenti, ma quel telo, all’oggi, non gioca a favore né delle emozioni, né dei sentimenti.

Forse l’ideatore e i costruttori della nuova Macchina, che non sono viterbesi, hanno voluto giocare soprattutto le carte che la modernità, la tecnologia, la logica della spettacolarizzazione mettono a loro disposizione?

O forse hanno ragione loro e chi la pensa diversamente è un misoneista tradizionalista, che non si accorge che nel XXI secolo le cose sono un po’ cambiate, ed è cambiata persino Santa Rosa?

Chissà...

Personalmente rimpiango quel telo neutro, senza marche di moto, pennelli e istituti bancari, senza anticipazioni della Macchina fin troppo eloquenti: un telo bianco ed elusivo che alimentava ancora di più l’attesa, e aggiungeva un’ulteriore frustolo di spiritualità alle emozioni di quella sera del 3.

Francesco Mattioli

Copyright 2009 TusciaWeb - Chi siamo - pi: 01829050564