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Terremoto Abruzzo - Tre famiglie dell'Aquila sfollate a Vitorchiano
"I lampadari sbattevano sul soffitto"
di Carlo Galeotti
Viterbo - 10 aprile 2009 - ore 2,00

Video - Terremoto dell'Aquila - Il racconto di Giacomo Pio, 17 anni, sfollato a Vitorchiano
"Ho portato con me la mia chitarra"
Dall'Aquila a Vitorchiano
Giacomo Pio
La casa dove abitano le famiglie dell'Aquila
Arriva il divano
Il sindaco Ciancolini con Costantino Bernardini
- “Quei venti secondi ci sono sembrati infiniti. I lampadari sbattevano sul soffitto. Gli armadi che si aprivano. La polvere sui capelli. Mio marito che mi abbracciava perché pensava stessimo morendo”. Una descrizione piena di sofferenza. Con le mani che si muovono a tratti freneticamente. Vibrano. Poi si fermano. Il pianto sempre in agguato. Ma che non esplode.

Annalisa Marcomeni, 42 anni di origine vitorchianese, racconta la tragedia del terremoto dell'Aquila rivivendola e facendola vivere a chi ascolta.

E ad ascoltarla vengono i brividi.

I rumori dei vetri che si rompono. La sensazione della morte in agguato. E poi la vera preoccupazione: i figli. E alla fine, dopo la fuga concitata dalla casa con quella maledetta porta che non si vuole aprire: tutti salvi. Un respiro di sollievo che dura un attimo perché “l'Aquila è distrutta e dall'alto appare immersa in una nuvola di polvere”.

Annalisa, con il volto di una ventenne, racconta il suo dramma, che è il dramma di una famiglia. Che è il dramma di una città. Di una nazione.

Annalisa, insieme al marito e ai suoi tre figli, due femmine di 20 e 14 anni e un maschio di 17 anni, dopo la notte del terremoto, insieme ad altre due famiglie, si è trasferita a Vitorchiano. Dove c'è la casa di suo padre.

Quattordici persone in tutto che portano negli occhi le immagini della tragedia. Accolti dai vitorchianesi con affetto. A partire dal sindaco Gemini Ciancoli e dal suo collaboratore Costantino Bernardini.

“Noi abitiamo all'Aquila, e dico abitiamo, al centro della città, vicino alla basilica di San Bernardino – racconta Annalisa sempre con una emozione che traspare da tutto il suo corpo -. La nostra casa, al secondo piano, è rimasta lesionata. I muri sono letteralmente scoppiati la notte del disastro”.

Il racconto di Annalisa prosegue.

“Quel fine settimana eravamo stati qui a Vitorchiano. Tornati all'Aquila, eravamo stanchissimi. La figlia di 14 anni era in gita a Parigi con la scuola.

Gli altri due figli, fortunatamente erano a casa con noi. Di solito andavano in centro. Quel centro che è crollato. La prima scossa è arrivata dopo le 23.

Ma non gli abbiamo dato molto peso visto che nei mesi scorsi c'erano state diverse scosse. Ci siamo affacciati alla finestra. Ci siamo consultati con i nostri vicini ma poi siamo rientrati in casa.

Dopo l'una c'è stata un'altra scossa. Ho detto a mio marito: “Che facciamo?”. Massimo mi ha risposto: “Dai dormi. Domattina mi debbo alzare presto”. E ci siamo rimessi a dormire”.

Si avvicina la catastrofe, mentre in casa c'è chi dorme e chi gioca col computer.

“Alle 3 e 32, il letto ha iniziato letteralmente a ballare. Il lampadario oscillava a tal punto da sbattere sul soffitto. Mio marito mi ha stretto in un abbraccio. Pensavamo di morire. Pensavamo che non ce l'avremmo fatta. Sono stati venti secondi infiniti. Interminabili. “Perché non finisce!”, ho gridato a mio marito. E subito il pensiero è andato ai figli”.

Poi un sospiro di sollievo.

“Siamo tutti vivi! Prendiamo le cose essenziali – continua a raccontare concitata Annalisa -. Io ho arraffato i cappotti. Ci diamo alla fuga, ma la porta di casa non si apre.

E' incastrata. Poi ci pensa Massimo con una spallata. E siamo fuori.

C'è chi è in strada mezzo nudo. Chi è sporco di sangue. Chi grida e cerca i parenti. Una scena mai vista e che non voglio più vedere.

Subito siamo riusciti a prendere la macchina e allontanarci verso la parte alta della città.

L'Aquila dall'alto appariva distrutta sommersa in una nuvola di polvere. Tutti raccontano le stesse scene. Noi che possiamo raccontarle”.

La morte ha colpito un po' tutti.

“C'è chi ha perso i genitori. Chi i figli. Due sorelle, figlie di nostri amici, sono morte. L'Aquila è una piccola città come Viterbo. Ma ora non c'è più nulla. Nulla. Proprio nulla. Subito sono arrivati i primi soccorso.

Con gli elicotteri che sorvolavano la città. I soccorso sono stati rapidi anche se si è creata un po' confusione. Tra chi arrivava e chi tentava di fuggire”.

La voglia è quella di rientrare.

“Noi vogliamo tornare nelle nostre case. Ma proprio oggi hanno fatto sapere che l'erogazione del gas è stata sospesa. E che per riattivarla ci vorrà un anno e mezzo. Noi vogliamo tornare. I nostri figli vogliono tornare. Ma non sappiamo cosa pensare.

Siamo qui a Vitorchiano per riposarci, ma torneremo all'Aquila.

Qui a Vitorchiano l'accoglienza è stata straordinaria. Subito dopo la catastrofe, le mie amiche di Vitorchiano hanno iniziato a chiamarmi. Noi non potevamo telefonare ma potevamo ricevere. Ci hanno tenuto compagnia in quei momenti drammatici”.

Dopo la tragedia l'addio all'Aquila.

“Abbiamo aspettato che la figlia più piccola tornasse dalla gita a Parigi.

La sera del terremoto, lei sapeva più di noi cosa stesse accadendo al centro della città attraverso la tv.

Quando è tornata siamo andati di nuovo a casa a prendere le cose essenziali. E poi... poi ho fatto una cosa che non avevo mai fatto. Sono scesa nel giardino di casa e ho... ho strappato via i narcisi in fiore. Sì, quei narcisi li ho voluti portare con me”.

Il racconto finisce e intanto arriva un divano letto che il sindaco ha fatto arrivare per far dormire meglio le tre famiglie dell'Aquila.

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