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Viterbo - Alla liberia Malatesta la mostra di Juan
"No war"
Viterbo - 4 aprile 2009 - ore 12,00

- “Il poeta insegue la vita; così com’è. La notte azzanna i suoi incubi. Li dilata con colori assurdi, li rende esperienze comuni, condivisibili. Parole come schiaffi, come baci, come rimpianti…”

Juan è di passaggio a Viterbo, è venuto a portare il suo ultimo lavoro. Questa volta, armato di pennello e spatola, ha realizzato una sorta di “anti-campagna” pubblicitaria, dissacrante e perfetta.

“No war” è il titolo di questa piccola e incisiva mostra che è ospitata dalla Libreria Malatesta.

Figlio di emigrati campani, Juan M. è nato a Buenos Aires nel 1982. Poeta, musicista e pittore alterna lunghi vagabondaggi in Europa, alla vita semplice e sedentaria della piccola fazenda di famiglia.

Chi sei? Argentino, italiano, artista, contadino…

“Sono Juan e basta. Sfuggo agli specchi che cercano risposte semplici. Io chi sono? Sono questo mondo lirico e sconcio. Sono un bambino illuso e puro. Sono una cattiva donna. Sono un uomo che dorme poco la notte. Anche definirmi artista mi costa troppa fatica.”

Dalla poesia alla tela, sempre con lo stesso impegno. Un mix di ricerca, sospesa tra una dominante puramente estetica e una impietosamente politica.

“Ci siamo: non esiste un’arte non estetica. Una canzone, come un quadro deve, in primo luogo, essere bella. E’ una condizione imprescindibile al fatto stesso di essere definita arte. Eppure, ci si pone sempre lo stesso annoso quesito dell’uovo e della gallina. Non frega più niente a nessuno.”

Il tuo errare per il mondo, la tua stessa irreperibilità ti rende misterioso. E’ una maschera che ti sei cucito?

“La maschera è un’altra invenzione piccolo-borghese. Per nascondersi dietro un ruolo, pacificamente spendibile. Essere artista non è altro che accettare un’etichetta di stravaganza. La mia maschera, l’unica che liberamente indosso, è quella del contadino. Ma è una finzione anche questa.”

La moda e la guerra. Lacrime di sangue sovrapposte a volti gelidi e stupendi. Qual’ è l’anima di questo lavoro?

“Le immagini della guerra, nella loro banale crudeltà ci scivolano addosso come flash televisivi: velocissimi e vacui. Il dolore della sconfitta è, invece, qualcosa che ci deve far riflettere. Lentamente, con tutti i silenzi possibili. La chiave giusta è la nostalgia. Del resto l’amore, come la rivoluzione, non tradisce mai. Noi, a volte, tradiamo le nostre donne o i nostri ideali.”

Arrivi, monti la tua mostra e scappi via. Perché?

“Io mi compenetro totalmente in quello che faccio. E’ la mia ossessione. Mi fa bene, in un certo senso, girare alla larga da me stesso.”

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