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Viterbo - Mechelli racconta alcuni dei mille episodi che legano i poeta - cantautore alla terrà degli etruschi
Fabrizio De André "made in Tuscia"
di Beniamino Mechelli
Viterbo - 11 gennaio 2009 - ore 3,15

Beniamino Mechelli con Fabrizio De André
- Sono trascorsi 10 anni da quanto Fabrizio De André “è evaporato su una nuvola rossa”.

In tutta Italia si svolgeranno centinaia di iniziative in suo nome. Le radio e le televisioni stanno proponendo e proporranno grandi servizi.

Imperdibile quello in programma questa sera, dalle 20,30, su Rai3.

Io, che ho avuto il privilegio di conoscerlo, voglio ricordarlo svelando alcuni episodi inediti o conosciuti da pochissimi, che si sono svolti o hanno avuto per protagonisti gente della Tuscia, il terzo buen retiro, dopo Genova e la Sardegna, in cui amava trascorrere il tempo libero.

Ne approfitto anche per annunciare che l’associazione culturale di Canepina che porta il suo nome, grazie al sostegno della Provincia di Viterbo e della Regione Lazio, ha programmato una decina di eventi di grande rilievo, che si svolgeranno tra la seconda metà di maggio e l’agosto 2009.

“Sì! Prima o poi scriverò un pezzo in lingua etrusca”. Fabrizio De André ha pronunciato più volte questa frase dopo aver ascoltato i racconti su strampalati personaggi locali che gli facevano Alberto e Maria Santini in occasione dei suoi lunghi e continui soggiorni a casa loro, tra Soriano nel Cimino e Canepina.

Episodi, quelli narrati dai Santini, che avrebbero perso gran parte della loro suggestione se non fossero stati ricostruiti in lingua “originale”, cioè in dialetto sorianese frammisto al canepinese. Così Fabrizio scoprì quella che definiva appunto la “lingue etrusca”.

“Ammazza, come parlate” mi disse come incipit del racconto di un episodio che gli era capitate a Canepina, il mio paese.

“Sono entrato in una tabaccheria per acquistare le sigarette e la tabaccaia, mentre mi porgeva il pacchetto, ha ritratto la mano e mi ha chiesto: "Chi si fijo? T’ajo da ve’ visto da che parte. Nu’ zi de tocchì?"”.

Per la verità la ricostruzione del dialogo fatta da Fabrizio fu inevitabilmente approssimativa, ma riuscì a capire che la tabaccaia gli aveva chiesto: “Tu di chi sei figlio? Ti devo aver già visto da qualche parte. Non sei di qui?”.

Gli risposi: “Perché dopo il genovese e il gallurese non ti cimenti anche con il sorianese e il canepinese?”. E lui: “Chissà, potrebbe essere un’idea”.

Anche dialogando con l’allora giovanissimo canepinese Francesco Corsi, oggi giornalista, che a dispetto dell’età era stato già soprannominato “Vecchio”, il quale si presentò a casa Santini perché voleva conoscerlo, Fabrizio discettò sui dialetti della zona. Chissà cosa avrebbe potuto sfornare la sua vulcanica mente se dieci anni fa…?

Racconto questi episodi per sottolineare come Fabrizio non considerava questo pezzo di terra solo un luogo di relax ma, come faceva con tutti i posti che lo affascinavano, voleva conoscerlo in profondità, fino agli elementi che più lo caratterizzano, come il dialetto.

Quasi certamente l’affetto, ricambiato, che Fabrizio e la moglie Dori Ghezzi hanno avuto per la Tuscia ha origini lontane, che affondano nelle numerose occasioni in cui la loro vita si è intrecciata con quella della gente di qui. E sono veramente tante.

Agli inizi degli anni Ottanta, Fabrizio tenne un concerto a Montalto di Castro. Tra il pubblico c’era Alberto Santini, un imprenditore di Soriano nel Cimino il cui nonno, sul finire della Seconda guerra mondiale, aveva conosciuto a Genova Giuseppe De Andrè, suo padre.

Al termine dello spettacolo, Alberto si presentò nel suo camerino, gli chiese un autografo e gli narrò l’episodio del nonno. Tra i due nacque subito un’intensa amicizia che prosegue tuttora tra le loro famiglie.

Tra l’altro, Fabrizio volle far riprodurre nell’abitazione dei Santini un angolo del salone della villa di Genova in cui era nato e cresciuto, facendovi trasportare il pianoforte, parte degli arredi, compresi vecchi spartiti musicali ed altri oggetti. Roba che Alberto e la moglie Maria conservano come reliquie.

Ma c’era stato un precedente molto significativo. Nei primi anni Settanta, Fabrizio, che aveva da poco pubblicato “Tutti morimmo a stento”, il primo concept album rock d’Italia (un disco in cui tutte le canzoni ruotano attorno a un unico tema o sviluppano una storia), decise di comporne altri due: “Storia di un impiegato”, ispirato al Maggio francese, e “No al denaro no all’amore né al cielo”, liberamente tratto dall’Antologia di Spoon River, di Edgar Lee Masters, tradotta da Fernanda Pivano, donna cui dobbiamo la conoscenza degli autori della Beat Generation americana e di tanto altro, compresi i romanzi di Ernest Hemingway.

Scritti i testi, De Andrè chiese a Nicola Piovani, originario di Corchiano, premio Oscar per la musica de “La vita è bella” di Roberto Benigni, di collaborare alla composizione delle musiche, di curare gli arrangiamenti e la direzione d’orchestra. Inutile dire che i due Lp ebbero un grande successo e che alcuni di quei brani sono entrati nella storia della musica italiana.

Nel 1977, mentre si trovavano nella loro tenuta agricola in Sardegna, Fabrizio e la moglie Dori Ghezi, che avevano avuto da pochi mesi la figlia Luvi (Ludovica Vittoria, i nomi delle nonne), furono sequestrati.

L’Agnata, è il nome della tenuta, si trova vicino a Tempio Pausania, un luogo tristemente famoso per i sequestri di persona.

La compagnia dei carabinieri di Tempio era comandata dal capitano Vincenzo Rosati, uomo di grande esperienza che aveva già indagato su un centinaio di rapimenti. Rosati era nato ed è sepolto a Gradoli.

Dopo la liberazione e l’arresto dei sequestratori, tra i due nacque una profonda amicizia, una di quelle cui Fabrizio teneva di più.

Eppure il loro rapporto era iniziato con un aspro dissidio: Rosati non condivise la scelta di Fabrizio di non costituirsi parte civile nel processo a carico dei suoi sequestratori. Ma poi comprese che quel comportamento era in linea con il personaggio.

E il dissidio fu superato. L’amicizia con un carabiniere suscitò un certo scalpore in alcuni ambienti.

Un giornalista del Manifesto, in un’intervista, chiese a Fabrizio: “Ma come, in ‘Bocca di Rosa’ dici che ‘spesso gli sbirri e i carabinieri al loro dovere vengono meno…’ e poi sei diventato amico di uno di loro?”.

“Ho conosciuto Vincenzo Rosati – rispose – ed ho scoperto che è una persona eccezionale, piena di umanità. Cosa vuole che le dica? ci sono anche carabinieri così. E io gli sono amico”. Già, fu proprio l’umanità che distingueva entrambi a saldare la loro amicizia.

Fabrizio e Rosati, di tanto in tanto, decidevano di intraprendere una nuova attività, tra le quali la pesca. In Sardegna avrebbero potuto trovare centinaia di pescatori dai quali farsi insegnare ad usare le reti, ma scelsero un vecchio pescatore di Capodimonte, che da anni viveva nell’Isola. Insomma, un altro viterbese. Un’altra volta ipotizzarono d’impiantare addirittura un allevamento di coccodrilli. Per fortuna desistettero,

Il figlio di Vincenzo Rosati, Mario, avvocato, mi ha raccontato che poco prima di scoprire di essere gravemente malato, Fabrizio aveva sognato il padre Giuseppe il quale gli disse: “Parla con Vincenzo. Ti dirà lui perché”.

De Andrè cercò l’amico per tutto il giorno senza riuscire a trovarlo. Credo di ricordare che si recò anche a casa sua, a Gradoli, ma invano. Il mattino seguente Fabrizio dovette partire perché aveva un impegno irrinunciabile e non riuscì più a parlare con Vincenzo. Chissà cosa si sarebbero dovuti dire?

In quegli anni Fabrizio regalò a Mario Rosati una sua chitarra spagnola. Un gesto che in precedenza aveva fatto solo con Gigi Riva. Questi contraccambiò regalandogli la maglia della nazionale di calcio con cui aveva disputato la mitica partita di semifinale dei campionati del mondo di Mexico 70, Italia Germania.

Anche una parte della produzione artistica di Fabrizio è per così dire “made in Tuscia”. Durante i suoi soggiorni a Soriano si è infatti rivolto diverse volte alla piccola ma prestigiosa sala d’incisione di Acquapendente, Il mulino.

Inoltre, nel Palacimini di Viterbo ha tenuto il suo terzultimo concerto nel luglio del 1998.

Beniamino Mechelli
Presidente associazione culturale
Fabrizio De André di Canepina

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