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Viterbo - Concerto di Capodanno all'Unione - Vincenzo Ceniti esprime le sue perplessità: "La buona musica supera ogni barriera ideologica"
La marcia di Radetzky, però, ci stava bene...
Viterbo - 5 gennaio 2009 - ore 17,45

Riceviamo e pubblichiamo - L’annuale concerto di Capodanno al Teatro dell’Unione di Viterbo, diretto da Stefano Vignati alla guida dell’orchestra del “Tuscia Operafestival”, si è concluso con un colpo di scena per la mancata esecuzione, secondo la consuetudine, della marcia di Radetzky di Johann Baptist Strauss, che qualche ora prima dello stesso giorno era rimbalzata dal Musikverein di Vienna su tutti i teleschermi d’Europa.

“Non si possono onorare con la musica – ha fatto dire Vignati ai due speaker della serata - le crudeltà commesse dal comandante dell’esercito austriaco dopo le tragiche Cinque giornate di Milano”.

Per la storia va ricordato che la “marcia” venne composta da Strauss jr., per celebrare il ritorno nella capitale lombarda del caparbio feld-maresciallo, all’indomani della vittoria di Custoza (luglio 1848) che costrinse Carlo Alberto all’armistizio di Salasco.

Al posto della “marcia” è stato eseguito l’Intermezzo della Manon Lescaut di Puccini e nel cambio il numeroso pubblico che affollava l’Unione ci ha guadagnato (almeno sulla carta), data la ben diversa struttura musicale della composizione.

Ma il celebre brano è stato condizionato, nelle sonorità, dalla mancanza di alcuni strumenti nei vari reparti.

In verità le defezioni – inammissibili per i palati più fini - si sono avvertite anche nelle altre partiture del programma (“Sul bel Danubio blu” con soli due corni anziché quattro e l’Intermezzo della Cavalleria Rusticana senza l’organo).

E’ vero che i fondi sono scarsi, specialmente di questi tempi, ma il Teatro dell’Unione, per il suo retaggio storico, non merita questo.

Tornando a Radetzky, dopo un attimo di giustificato stupore, abbiamo sentito ribollire a botta calda l’ardore rivoluzionario dei nostri padri, a conferma di un orgoglio patriottico che non viene fuori solo nelle partite della nazionale di calcio.

Ma a mente fredda riteniamo che il maestro abbia avuto torto a non eseguire la “marcia”, convinti come siamo del ruolo insostituibile della buona musica nel superare ogni barriera e ideologia.

A chi gioverebbero le censure a quei capolavori che hanno pure raccontato o celebrato lotte e barbarie?

Wagner non è stato preso a prestito dal terzo Reich per esaltare le glorie naziste?

E Chopin non si è ispirato, in alcuni brani pianistici, ai moti rivoluzionari polacchi del 1830-31?

Per non parlare del “Te Deum” della Tosca che inneggia al potere papalino. Potremmo continuare.

Apprezzabile, comunque, la volontà di aver inserito nel programma di Capodanno anche alcuni autori del melodramma italiano, come d’altronde era già accaduto nei primi anni del Duemila, quando l’orchestra sinfonica di Viterbo (precedente a quella del “Tuscia Operafestival”) era lodevolmente costituita, in buona parte, da allievi ed insegnanti della locale Scuola Musicale e quando gli organici si presentavano al completo come da partitura.

Riguardo agli inserimenti delle voci recitanti (una novità del concerto), va detto che l’idea ci è apparsa azzeccata.

In ogni caso, per il futuro, suggeriamo testi più stringati e, soprattutto, più pertinenti ai temi musicali in programma, anche per facilitarne l’ascolto.

Vincenzo Ceniti

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