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Viterbo - Trovati i resti di San Gemini insieme a quelli dei Santi Valentino e Ilario
Spunta un altro santo patrono
di Salvatore del Ciuco
Viterbo - 8 gennaio 2009 - ore 15,30

Le lapidi con le iscrizioni
- Entrando nella cappella dei SS. Valentino ed Ilario nella cattedrale di Viterbo, si nota sotto l’altare un frontespizio marmoreo policromo dove è scritto che lì sono conservati i corpi dei nostri patroni Santi Valentino ed Ilario.

Si credeva da tutti che quella fosse la parte anteriore di un’urna completa che conteneva i resti dei nostri santi patroni.

Si é scoperto oggi che in realtà non è così. Quel frontespizio di marmo altro non è che una lapide di marmo prezioso che nasconde dietro di sé un’altra urna più piccola, di marmo bianco, dove sono realmente conservate le reliquie dei nostri Santi patroni insieme alle ossa di un santo confessore: San Gemini.

Si è giunti a questa conclusione scoprendo solo oggi delle iscrizioni portate alla luce grazie alla tecnica e alla professionalità di Marco Orlandi.

La cosa più sorprendente ed interessante è che su una parete dell’urna si possono leggere incise queste parole: Ossa Sanctorum Valentini Presbyteri et Hilarii Diaconi Martyrum, et Gemini Confessoris. (Quindi ci sono le ossa di tre santi, non di due).

Da un altro lato si legge: Translata fuere ad hanc cappellam solemni ritu. Dall’altro lato: Adriano Sermattejo Episcopo Viter. A.D.1724.

Il riferimento é alla traslazione delle reliquie che il vescovo di Viterbo Sermattei solennemente fece nel 1724 quando riportò i resti dei Santi sotto il nuovo altare della cappella completamente restaurata dal Comune.

La domanda che oggi ci poniamo é: come mai nell’urna dei nostril santi sono stati riposte anche i resti di S.Gemini? Chi era questo santo? Perché tanto importante da essere unito alle reliquie dei Santi Patroni? Come é arrivato a Viterbo?

In realtà sappiamo che S.Gemini nacque in Siria nella seconda metà del secolo VIII, si convertì al Cristianesimo e dopo aver esercitato il mestiere delle armi, decise di dedicarsi alla vita eremitica.

Come i pellegrini eremitici di allora, prese a girare per vari luoghi, finché si trasferì definitivamente in Italia. Sbarcato sulle coste marchigiane, dimorò per un certo periodo nella zona di Fano (nel monastero di San Paterniano); poi si addentrò all’interno, giungendo verso Spoleto, ed infine arrivò nell’umbra ‘Casventum’, in provincia di Terni.

Questa città venne poi distrutta da un attacco saraceno e quando fu ricostruita, cambiò il nome in San Gemini, in onore del santo anacoreta poi eletto a suo patrono; chiamata anche Sangemini, oggi è notoriamente conosciuta per le sue sorgenti di acqua minerale.

Negli ultimi anni della sua vita Gemini, entrò in un monastero benedettino, morì a Ferento, cittadina etrusca, il 9 ottobre 915, quasi centenario godendo di una grande stima e venerazione in tutta la nostra zona.

Quando i nostri concittadini distrussero Ferento insieme a tanti monumenti e reperti preziosi portarono in città reliquie preziose che erano lì conservate come l’alba del vescovo San Bonifacio e l’urna che conteneva i resti di San Gemini.

Un trofeo considerato davvero prezioso trattandosi di un santo allora famoso in tutto il nostro territorio. Era tenuto in tanta considerazione che i nostri concittadini vollero intestare a lui una via, nella zona di San Pellegrino, che ancora oggi esiste.

Per molto tempo le reliquie del santo furono conservate in cattedrale, entro l’urna di marmo originale, che ancora oggi si conserva, vuota, nel museo del Colle del Duomo.

Fino a quando nel 1724 il vescovo Sermattei decise di unire in un’unica urna i resti dei nostri santi Patroni con quelli di San Gemini, a riprova di quanta importanza e venerazione godeva il santo presso il nostro popolo.

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