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L'opinione di uno sporco comunista
Un attacco più al lavoro che ai "fannulloni"
di Valerio De Nardo
Viterbo - 15 giugno 2009 - ore 3,00

Valerio De Nardo
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- “Fannulloni, panzoni”: il ministro Brunetta interpreta in maniera decisamente molto estremista e poco elegante una esigenza reale del nostro Paese.

Non v’è dubbio che le funzioni pubbliche, le amministrazioni che le esercitano, il lavoro che in esse si svolge abbiano bisogno di interventi riformatori, di innovazione, di “efficientamento”.

Si deve pur riconoscere al più sbeffeggiante, brevilineo (e per questo sbeffeggiato) tra i componenti del governo, di aver avviato un processo del quale, in qualche misura, vi era dunque bisogno.

Peccato che né lui, né alcuno dei suoi colleghi, provi a mettere in discussione le caste professionali, tenti di forzare, liberalizzandolo, l’accesso blindato delle varie corporazioni.

Ci sia però intanto consentito dissentire da questa campagna di denigrazione dei dipendenti pubblici, soprattutto mentre si mette mano a provvedimenti legislativi i cui effetti reali saranno tutti da misurare.

Temo infatti che dietro il paravento dei “fannulloni” si annidi un attacco al lavoro pubblico in quanto tale, con la volontà neanche tanto recondita di affidare alcune funzioni al mercato.

Penso che le riforme prospettate apriranno una fase conflittuale nel mondo del lavoro pubblico, determinando per un’aliquota di personale di almeno il 25% (è scritto nella bozza di decreto legislativo di prossima approvazione) una diminuzione del salario. Parliamo in molti casi di stipendi che oggi non superano i 1.200/1.300 euro al mese. Parliamo di più di tre milioni di lavoratrici e lavoratori, che assolvono a ruoli spesso delicati e di grande responsabilità, che consentono alla nostra società di rimanere coesa e di progredire.

Mi rendo conto che, essendo un pubblico dipendente, scrivo un po’ pro domo mia, ma ritengo che una riforma così congegnata rischi di generare situazioni molto difficili da governare e, con esse, confusione e ulteriori problemi.

Condivido e sostengo l’idea di digitalizzare integralmente la pubblica amministrazione entro il 2012: il sistema pubblico di connettività è un grande traguardo da raggiungere, ma servono investimenti veri, formazione del personale, incentivi ai cittadini.

Credo giusto proporsi obiettivi di performance e legare ad essi parte della retribuzione (più di quanto oggi già non sia) dei dirigenti ed in misura minore dei dipendenti, ma l’effetto non può ridursi in una diminuzione dello stipendio decisa su base aritmetica per una certa quota di personale.

Il problema, però, mi appare più grave laddove si privilegiano gli investimenti in spot piuttosto che in computer, oppure laddove si creano nuovi organismi centrali nel mentre si avvia una riforma come il federalismo fiscale, che serve proprio a responsabilizzare i livelli locali.

Soprattutto ritengo sbagliata la scelta di voler imporre, di dire “si fa così o mi dimetto”.

Non serve comandare, ministro Brunetta, occorre governare. Per farlo è utile ascoltare, confrontarsi, condividere. Riformare la pubblica amministrazione non è preparare un buon risotto (sono note le capacità culinarie del nostro…).

Essendo un professore universitario, il ministro è anche un dipendente pubblico: se non è fannullone né panzone, come dobbiamo etichettarlo?

Valerio De Nardo

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