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L'opinione di uno sporco comunista
L'uomo dei pensieri lunghi
Viterbo - 7 giugno 2009 - ore 2,00

Valerio De Nardo
Copyright Tusciaweb
- Il prossimo 11 giugno ricorre il venticinquesimo anniversario della scomparsa di Enrico Berlinguer.

L’opinione di uno sporco comunista è che la sua figura rimanga ancora oggi il simbolo nitido di un impegno rigoroso e coerente per la democrazia, la legalità e la giustizia sociale.

Fu la guida di un partito radicato nel territorio e nella società, che sapeva condurre in maniera rigorosa, competente e partecipata le amministrazioni locali, ma sapeva nel contempo guardare al lungo periodo ed alla prospettiva globale.

Un’attitudine che veniva dalla storia peculiare del movimento comunista italiano e andava misurandosi con le sempre più rapide e intense trasformazioni della realtà.

Era l’uomo dei “pensieri lunghi”, di quelle idee che non svaniscono con la battuta lanciata a qualche giornalista, non esauriscono il loro orizzonte nell’arco di una legislatura o di un mandato amministrativo, ma attraversano il dibattito culturale, offrono spunti di ricerca, sedimentano senso comune e suscitano mobilitazione politica. Insomma di lui si può dire che non fosse “un politico, preoccupato delle prossime elezioni, ma uno statista, preoccupato delle prossime generazioni”.

Pensiamo a tre temi che egli pose con forza: la pace e il disarmo, l’austerità, la questione morale.

La pace e il disarmo globale, questioni che al suo tempo stavano ancora dentro alla storia più tragica del Novecento, all’eredità di Yalta e del confronto nucleare strategico: il suo non era “pacifismo imbelle” o subordinazione all’Urss, si trattava bensì di una precisa scelta politica, della proposta di un cambio di prospettiva per l’umanità.

L’austerità era il tema che, partendo dalle questioni energetiche, metteva in gioco il rapporto tra l’uomo e la natura, la ricerca di stili di vita, di modi di produzione e di consumo più sobri e rispettosi delle persone e del loro ambiente. In un partito di tradizione operaia e industrialista era una innovazione culturale di portata storica.

La questione morale, che egli non riferiva solo alla corruzione dei livelli politici e amministrativi, ma soprattutto alla degenerazione del sistema dei partiti con l’occupazione sistema istituzionale. Percepiva chiaramente il pericolo che tutto ciò costituiva per la democrazia e la società italiana.

I grandi problemi che egli intuì e per i quali cercò una strada in grado di coniugare iniziativa sociale e capacità di governo non sono certo venuti meno. Anzi, in alcuni casi e per alcuni aspetti, si sono aggravati.

La storia ci dice ancor oggi che il disarmo è l’unica condizione che possa realisticamente permetterci un cammino di dialogo e di pace fra i popoli.

Gli scenari dovuti ai cambiamenti climatici ci impongono di ritornare alla ispirazione dell’austerità per un nuovo patto sociale che leghi fortemente tra loro valorizzazione del lavoro e dell’ambiente, perché è proprio vero, come affermava già nel 1968 Robert Kennedy, che “il prodotto interno lordo misura qualsiasi cosa, tranne ciò che rende la vita veramente degna di essere vissuta”.

La riforma della politica è oggi più urgente che mai per restituirle autorevolezza, efficienza e moralità e ridare credibilità al sistema democratico.

Quanto si avverte la mancanza di una figura come quella di Berlinguer oggi che la sinistra è franata sotto le macerie della storia, a causa della incapacità di proporre una qualche alternativa alle culture delle destre veicolate dalla televisione.

Spodestate la scuola e l’università come luoghi primari di costruzione della conoscenza, non è evaporata solamente la figura dell’“intellettuale organico”, ma è venuto anche meno il partito come “intellettuale collettivo”.

Si è accettato così il terreno imposto dai tempi e dagli avversari e, quindi, si è accettato di sostituire la comunicazione all’organizzazione e il marketing elettorale alla politica.

Diventa tristemente vero quel che scriveva un giornalista americano: i mercati governano, i tecnici amministrano, i politici vanno in televisione.
Ma ancor più triste è pensare a Berlinguer considerando la sclerotizzazione burocratica e carrieristica della sinistra.

L’importanza della selezione dei gruppi dirigenti affermata da Gramsci si perde nelle nebbie del notabilato e dei pacchetti di voti, mentre la tradizione del buongoverno e della ferrea rettitudine morale vanno a ramengo.

Oggi c’è una netta egemonia culturale delle destre, che non potrà trovare argine se dall’altra parte non si recupererà la necessità di guardare non soltanto oltre il proprio ombelico, ma oltre l’esistente e impegnarsi di nuovo per una società di liberi ed eguali, giusta, sobria, non violenta.

Occorrerebbe recuperare la capacità di elaborare, di produrre idee, di costruire un immaginario collettivo e “orientare le masse”. Per farlo sarebbe necessario evitare la continua rincorsa al consenso a qualunque costo, smettere di accarezzare sempre e comunque la pancia dell’elettorato.

Quando, lasciata la Fgci, l’organizzazione giovanile comunista, presi la mia prima tessera al Pci - tesseramento 1985 - era proprio la fine del 1984, l’anno della morte: su di essa c’era la foto di Berlinguer che salutava con il suo sorriso misurato, quasi un po’ triste. Di fronte allo spettacolo della politica odierna mi permetto di rimpiangere la serietà e il rigore di quella figura, che a suo modo poteva ispirare anche tenerezza, come nell’immagine di Roberto Benigni che “se l’incolla ‘nbraccio” alla festa dell’Unità.

Ricordo ancora quella tribuna politica del 1981 quando, a seguito dei fatti polacchi, affermò che la Rivoluzione d’ottobre aveva esaurito la sua spinta propulsiva. Tormentato e coraggioso annunciava al suo popolo che quella storia era finita.

Quella storia era veramente finita ed egli non vi sopravvisse. Ricordo la sua voce rotta dall’ictus, sul palco dell’ultimo comizio, a Padova. Ricordo il suo funerale, il tributo a un grande leader e a un grande uomo. Morì a 62 anni. Pochi giorni dopo il Pci divenne alle elezioni europee, per la prima e unica volta, il partito italiano più votato.

E’ passato un quarto di secolo e siamo entrati in un nuovo millennio.

Valerio De Nardo

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