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Lettere - Scrive Francesco Mattioli
Valle Faul, il pubblico e i privati
Viterbo - 30 luglio 2009 - ore 4,30

Riceviamo e pubblichiamo - L’ente pubblico – quale che sia – garantisce ai membri di un consorzio umano una serie di benefici collettivi, agendo imparzialmente affinché ciascuno veda soddisfatte le proprie necessità.

Così recitano, più o meno, le enciclopedie, i trattati e le ponderose opere degli studiosi che si sono occupati di stato e di pubblica amministrazione. Quindi, se fosse l’ente pubblico a farsi carico di tutti i nostri problemi sarebbe, in teoria, un paradiso.

Senonché finora i sistemi sociali che si sono interamente affidati allo stato hanno mostrato la tendenza a trasformarsi in cieche dittature, dove un Grande Fratello –poliziesco, teocratico, plutocratico, mediatico o collettivista – ha finito per decidere dei bisogni, dei gusti e diciamo pure della vita degli individui.

Così, si è optato per un sistema misto: uno stato sociale (welfare state) che garantisce alcuni servizi essenziali, (assistenza, sicurezza, sanità, educazione, ecc.) affiancato da una libera iniziativa che pratica la creatività, l’esperimento, ma anche la speculazione, cercando comunque di coniugare profitto individuale e benessere collettivo.

Neanche questa soluzione è scevra di pericoli, ma è quella che oggi appare più affidabile, nella società tardocapitalista, postindustriale e postmoderna del XXI secolo.

Ora, poiché l’ente pubblico – come stato sociale - non pratica il profitto, può accadere che si trovi nell’impossibilità di battere alcune strade: magari perché per sua intrinseca natura deve attenersi ad una certa graduatoria di priorità.

Esempio banale: le spese per la cultura, a livello statale ma anche giù giù fino a quello comunale, vengono sempre dopo quelle per l’assistenza, il lavoro, la salute, le strade ecc.

Dove non giunge, o non deve/può giungere l’ente pubblico, spesso arriva il privato, perché può investire risorse a suo piacimento, senza dover rispettare graduatorie di sorta, intravedendo un profitto quanto meno a medio termine. Tutto questo si sta verificando per Valle di Faul.

Vero che, forse, il Comune avrebbe potuto acquistare l’area dell’ex-gazometro a poco prezzo: ma con quali soldi, e con quali tempi, trasformarla in qualcosa che fosse di interesse per la collettività viterbese?

I privati hanno la possibilità di intervenire tempestivamente; non hanno solo un progetto, hanno anche le risorse: questa sembra l’unica risposta possibile.

Anzi, sarebbe auspicabile che la stessa cosa accadesse per un eventuale parcheggio sotterraneo nella Valle, che la restituisse interamente al verde pubblico; e perché no, ci sarebbero da fare voti perché qualche altro privato si accollasse il duro compito di far rivivere - a beneficio, diretto o indiretto, della città - anche il complesso dell’ex ospedale sul Colle del Duomo.

Si badi bene: opzioni del genere non hanno colore ideologico, basta vedere quali amministrazioni, in Italia e all’estero, si avvalgono e si sono avvalse dell’intervento dei privati.

Il discorso semmai è un altro: proprio affinché l’ente pubblico sia garante degli interessi della collettività, è necessario che vigili e approvi soltanto quei progetti privati che producono benefici a qualche titolo collettivi.

Nel caso della Valle di Faul, ad esempio, controllando che ciascuno dei progetti presentati – ex gazometro, chiesa di S. Croce, ex mattatoio, scala mobile, ecc. – sia compatibile con la vocazione paesaggistica, ambientale e storica della valle.

Quello che può inquietare, in realtà, è la constatazione che non sempre in passato questo è avvenuto.
Francesco Mattioli

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