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Ddl intercettazioni - ll corsivo di Meroi
Siamo diventati tutti Di Pietro?
di Marcello Meroi
Viterbo - 6 luglio 2009 - ore 3,30

Marcello Meroi
Copyright Tusciaweb

- Gli ultimi provvedimenti governativi sulla sicurezza e quelli relativi alle procedure investigative utilizzabili dalla autorità giudiziaria hanno destato, come era d'altra parte prevedibile, numerose e violente polemiche alimentate da larghissima parte dell'opposizione al Governo.

C'è chi per i primi ha gridato al razzismo, al ritorno della caccia al diverso, ad una cancellazione del principio di solidarietà verso i più deboli ed i bisognosi di aiuto.

Credo che non sia utile ripetersi ulteriormente: al di là della Chiesa che ha assunto le posizioni che tutti si aspettavano che ovviamente assumesse, la stragrande maggioranza degli Italiani condivide misure e procedure che aumentano controlli, sicurezza, che permettono una gestione dei fenomeni migratori volta all'aiuto di chi intende regolarizzare la propria posizione ed al contrasto deciso verso la clandestinità.

Ma altrettante grida si sono levate a sinistra contro le norme che limitano le intercettazioni telefoniche e dettano nuove regole per l'attività di “intelligence”.

Voglio dirlo subito: sono favorevolissimo alle modifiche apportate all'attuale legislazione in materia.

Ogni libero cittadino dovrebbe avere orrore di uno Stato che nel mondo è il più attivo nell'utilizzo delle registrazioni delle utenze telefoniche dei propri connazionali. Come accettare che centinaia di migliaia di italiani siano spiati, registrati, ascoltati, nel novanta per cento dei casi innocenti, estranei a qualsivoglia commissione di reato?

Come è possibile condividere procedure che permettono di ledere la propria libertà personale, la propria privacy, i propri diritti costituzionalmente garantiti?
E tutto questo per cosa?

Nessuno faccia finta di non capire. Qui non si tratta di voler togliere armi investigative fondamentali agli inquirenti, né di voler arginare la lotta alla corruzione politica che per alcuni verrebbe di fatto a proliferare in assenza di idonei mezzi di indagine.

Il problema è evitare i troppi, tantissimi, ingiustificati, inutili abusi che negli ultimi anni hanno permesso che si spendessero cifre folli per sapere quante donnine incontrava qualche monarca mancato, quanti arbitri taroccassero le partite, quanti uomini di spettacolo di terza categoria frequentassero allegre e varie compagnie.
Su tutto e tutti il “grande orecchio”, l'ascolto perenne, il controllo metodico, accurato, ossessivo.

E' questo lo Stato che vogliamo? E' questa la Giustizia che auspichiamo?
Siamo diventati tutti Di Pietro, il politico degli ultimi venti anni che personalmente mi spaventa più di ogni altro e che teorizza uno stato di Polizia in servizio permanente?

Il Torquemada molisano farebbe intanto meglio a spiegare, prima di vomitare morale a buon mercato, chi amministra e come il finanziamento pubblico al suo partito e soprattutto i suoi rapporti particolarmente stretti con alcuni personaggi milanesi che all'epoca della sua attività di magistrato gli fornivano immobili e mezzi di locomozione.

No, non può essere questa la patria del diritto e senza dover per forza scomodare gli antichi Romani od i Padri della Patria.

La “giustizia giusta” ed un Paese di vero diritto non sono categorie catalogabili con la appartenenza politica.

Ci si può dividere sulla individuazione dei reati, su come modulare la pena, sulla funzione punitiva o rieducativa della detenzione, a volte anche ispirandosi a principi ideologici o a visioni giusnaturaliste. Ma sulla libertà personale, sui diritti inviolabili del cittadino, non possono ammettersi deroghe in nome di falsi richiami al diritto.

Una nazione che possa definirsi civile, moderna, aperta, non poteva permettere l'ulteriore proliferare di una degenerazione del sistema che ha portato ad un controllo quotidiano e perverso dei propri membri.

Qui Berlusconi e le veline, villa Certosa, i trans di Sircana, le escort dei parlamentari, i calciatori, Moggi, Saccà, Lele Mora, la ASL barese, non c'entrano affatto.

Qui sono in gioco aspetti di assai maggiore rilevanza.
Si è esagerato, ammettiamolo.
E bene si è fatto ad intervenire.

Marcello Meroi

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