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Festa dei morti
Non solo una ricorrenza religiosa
di Salvatore del Ciuco
Viterbo - 1 novembre 2009 - ore 5,30

Il cimitero di Viterbo
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- Un mio amico in visita a Viterbo rimase molto meravigliato nel vedere con quanta cura erano mantenute le tombe nel nostro cimitero, e ciò che più lo aveva colpito era il fatto di aver visto che ad accudire fiori e lumini non fossero solo donne, come avviene da tutte le parti, ma notò che molti uomini attendevano a ripulire e adornare le tombe.

In realtà il culto dei viterbesi verso i morti ha radici antichissime, vorrei dire che risalgono fino ai nostri antenati, gli etruschi.

E' risaputo quale culto questi avessero per i loro defunti: vivi e morti erano sempre gli uni alla presenza degli altri. Basterebbe pensare alla necropoli di Castel d'Asso: solo un torrente separava due colline.

In una sorgeva la città dei vivi situata proprio di fronte alla necropoli, quasi a dire che il mondo dei vivi non è poi tanto distante da quello dei morti. La loro ombra dall’ là, la sentivano ricadere sulla terra da essi abitata.

Gli etruschi credevano che quando sedevano sul bordo dei sepolcri anche i defunti sedessero accanto a loro partecipando al banchetto. E il banchetto, si sa, è sempre stato un momento di gioia e di serenità famigliare.

E' solo dell'Occidente moderno avere della morte un concetto triste e lugubre. Tutte le culture antiche, non solo quella etrusca e cristiana, hanno avuto della morte un concetto pieno di speranza e di vita. E i viterbesi sembra abbiano ereditato questo senso sereno della morte.

Basterebbe visitare oggi il nostro cimitero: esso si presenta come un prato fiorito a primavera, tanti sono i fiori che adornano le tombe, e si vedrebbe un mare di lumini accesi, quasi ad indicare la luce e la gioia che c'è nella rievocazione dei parenti ed amici defunti.

Quei mille fiori di crisantemo ridiventano così il simbolo che hanno in Oriente (dal quale il fiore proviene), e cioè quello della solarità e quindi della immortalità.

L'uso di deporre fiori sulle tombe è antichissimo e introdotto dal cristianesimo. Gli ebrei mettevano e mettono ancora dei sassi sulle tombe.

Fin dal secolo IV Prudenzio ricorda che sui sepolcri cristiani si spargevano viole e fiori e talvolta attraverso fori praticati sui coperchi dei sarcofagi si facevano gocciolare latte e miele oppure ungenti preziosi direttamente sulla salma.

Un'altra usanza caratteristica del viterbese è quella di mangiare in questo giorno alcuni dolci chiamati "fave da morto" (una specie di amaretti).

Usanza che mi risulta essere in vigore anche in Sicilia, Sardegna e Umbria: in queste regioni ancora si vendono e si mangiano, per l'occasione, "dolci dei morti".

Questa usanza non è azzardato farla risalire ad antiche civiltà come quella celtica, atzeca e etrusca che consideravano i morti come semi dai quali rinasce la vita e, in senso lato, che i morti "ci nutrono".

Vedere quindi il nostro cimitero in questi giorni animato da un insolito via vai di persone, che si riveste di fiori variopinti e vivide fiammelle dimostra che la nostra gente ha compreso come la "festa" dei morti non sia solamente una ricorrenza religiosa per rievocare i nostri defunti, ma una vera festa della città.

La visita al cimitero che molti di noi faranno in questi giorni sarà l'occasione anche per visitare uno dei luoghi più interessanti dal punto di vista storico e artistico della nostra città. Non è campanalismo affermare che Viterbo può vantare uno dei cimiteri più belli.

La sua origine si sa è relativamente recente. Nel 1853 fu scelto quel terreno in contrada San Lazzaro per seppelirvi i morti di colera.

Nel 1872 fu costruito il nuovo cimitero su progetto dell'architetto Virginio Vespignani.

La chiesa è affrescata con pitture di Pietro Vanni, con un Cristo crocefisso di un verismo impressionante nell'abside, e un Trionfo della croce sulla volta. Tra i monumenti funebri più belli va ricordato sulla tomba di Filippo De Parri, la scultura in bronzo di Giulio Monteverde rappresentante l'Angelo della resurrezione.

Questi appoggiato sulla tromba, è come in attesa di far echeggiarne lo squillo, mentre il suo sguardo è fisso lontano, verso l'infinito.

Un altro capolavoro in bronzo è quello del famoso scultore viterbese Francesco Nagni che ha voluto sulla sua tomba il gruppo della "Dormitio Virginis": la Madonna nel sonno della morte, sorretta da angeli, viene trasportata in cielo.

Uno sguardo e una più attenta riflessione meritano anche le belle iscrizioni incise all'ingresso principale: "Non è quì tutto l'uomo;vive altrove la divina favilla" "Spettacolo della fine di tutti:Scuola di pensieri migliori".

Sulla guida di una cimitero di una grande metropoli ho letto il titolo: "Le nostre radici". E' proprio così:i nostri camposanti dovrebbero tornare ad essere luoghi famigliari e sereni dove ciascuno di noi può ritrovare le proprie radici: tutti coloro che ci hanno preceduto e che ci hanno dato non solo la vita, ma anche quel ricco patrimonio di cultura, di fede e di civiltà, che oggi è il nostro vanto.

Monsignor Salvatore Del Ciuco

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