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Processo Gradoli - Il brigadiere Valeriani chiede, Ala risponde
"Tatiana era morta?" "Sì"
Viterbo - 10 dicembre 2010 - ore 18,30

Ala Ceoban
Il brigadiere Maurizio Valeriani con cui Ala si sarebbe sfogata il giorno dell'arresto
Paolo Esposito
Raffaele Iannone in servizio alla stazione dei carabinieri di Gradoli
Il maresciallo Ivan Bianco del nucleo investigativo di Viterbo
Elisabetta Mei e Cristina Fattorini, i periti nominati dalla corte per gli accertamenti sul pick-up
Ala Ceoban tra i suoi legali Pierfrancesco Bruno e Fabrizio Berna
Paolo Esposito tra gli avvocati Enrico Valentini e Mario Rosati
L'avvocato Valentini
- “Tatiana era morta?” “Sì”.

E' uno scambio di battute rapido e agghiacciante quello tra il brigadiere Valeriani e Ala Ceoban, imputata al processo Gradoli con l'accusa di aver ucciso la sorella Tatiana e la nipote Elena.

Lui chiede, lei risponde. Poche parole che il carabiniere e la donna si sono detti il giorno del suo arresto. Il 5 agosto 2009. Non si sa bene se alla caserma di via De Lellis, nel tragitto in macchina da Viterbo a Civitavecchia, o ancora più tardi, quando Ala arrivò in carcere.

A raccontarlo, in aula, non è Valeriani, ma un suo collega. Il maresciallo capo Paolo Clementucci che, quel giorno, insieme al brigadiere e ad altri due militari, accompagnò Ala nel penitenziario di Civitavecchia.

“La ragazza era molto provata – afferma Clementucci -. Piangeva. E quando Valeriani le ha chiesto se Tatiana era morta, lei ha annuito”.

Una dichiarazione arrivata dopo una lunga riflessione dei giudici, che hanno dovuto riunirsi per ben due volte in camera di consiglio. Alla fine, la corte ha chiesto al testimone di descrivere solo l'atteggiamento di Ala, senza soffermarsi sulle sue parole.

Ma quello che non ha potuto dire Clementucci, è stato detto, fuori dall'aula, da alcuni suoi colleghi, presenti il giorno dell'arresto di Ala. Secondo loro, la moldava avrebbe rivelato al brigadiere che, al suo arrivo a Cannicelle, "Elena non c'era e Tatiana era già morta".

Altro che "amanti diabolici", quindi. Ala si è difesa senza fare il nome di Paolo. Scaricando, però, indirettamente sul suo uomo l'accusa di duplice omicidio.


"Le sembra razionale una fuga nei boschi?"

Nel corso dell'udienza sono stati ascoltati altri cinque carabinieri. Tra questi, Raffaele Iannone, in servizio alla stazione di Gradoli nella primavera del 2009, che ha detto di aver partecipato alle prime ricerche di Elena e Tania.

Iannone ha parlato di alcuni pozzi, sulla strada che, da Gradoli, porta verso il lago. "Non avevamo, però, gli strumenti adatti per fare una verifica approfondita - ha tagliato corto il carabiniere -. Ci siamo limitati a sentire l'odore, ma niente di più". Poi, le ricerche nelle campagne e nei boschi, pochi giorni dopo la scomparsa di madre e figlia.

"Ma le cercavate vive o morte?" ha chiesto il giudice Pacioni. "Vive", la risposta di Iannone. "E perché proprio nei boschi? Senza motivo? Le sembra razionale una fuga nei boschi in un paese civile come il nostro?". "Eseguivo solo degli ordini", ha replicato, umilmente, il carabiniere.


Nominati i periti del pick-up

Tra una deposizione e l'altra, la corte ha nominato i periti che, dal prossimo 15 dicembre, analizzeranno il pick-up in cerca di tracce e impronte.

A sorpresa, l'incarico non è stato affidato all'antropologa molecolare Elena Pilli, ma a Cristina Fattorini ed Elisabetta Mei, entrambe della polizia scientifica.

La prima si occuperà delle impronte digitali, che saranno confrontate con quelle di Paolo e Ala. La seconda esaminerà le tracce biologiche sul furgone, per capire se possano coincidere con il dna di Elena e Tania.

Anche accusa e difesa hanno nominato i propri consulenti, gli stessi già scelti in fase di incidente probatorio, per gli accertamenti sulle macchie di sangue in casa Esposito.

Il pm Renzo Petroselli si è affidato al tenente del Ris Luca Gasparollo. Le difese, a Luciano Garofano e Giorgio Portera, provenienti, entrambi, dal Ris di Parma.

L'udienza proseguirà il 17 dicembre, con l'ascolto di altri testimoni.


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