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Processo - Ragazze ridotte in schiavitù - Gli avvocati leggono il verbale con la testimonianza di una delle ragazze
"Carabinieri tra i clienti delle prostitute"
Viterbo - 12 dicembre 2010 - ore 2,25

L'avvocato Maria Rita Sermoneta, difensore dell'imputata Monica Rosa Velez Montermozo, presunta "custode" delle ragazze
L'avvocato Valerio Panichelli, difensore di Ioan Genu Muntean, che era presente al "primo acquisto" delle ragazze
L'avvocato Marco Russo, difensore dei due fratelli Moltif
L'avvocato Virna Faccenda, che difende Viviana Barba Nieto, un'altra delle presunte "custodi" delle ragazze
L'avvocato Paolo Casini, che ha sostituito il collega Carlo Baccelli nella difesa di Yosif Dreghici, anche lui "custode" delle ragazze
Gli avvocati Natale Perri e Mario Murano, difensori di Samuel Cola, considerato uno dei "capi" del gruppo, che gestiva l'attività di prostituzione
Il pm Stefano D'Arma, che rappresenta la pubblica accusa insieme al collega Fabrizio Tucci
I giudici Ernesto Centaro e Franca Marinelli
La corte
- "Tra i clienti delle prostitute c'erano carabinieri e personaggi che lavorano in Procura".

A dichiararlo sono gli avvocati Maria Rita Sermoneta e Valerio Panichelli, difensori di due degli imputati al processo per riduzione in schiavitù di due minorenni romene.

Una svolta inattesa. Che ha lasciato basita la corte ed è arrivata a pochi minuti dalla fine della seduta. Pesante come un macigno.

Nell'udienza di ieri, nell'aula della corte d'assise del tribunale viterbese, l'avvocato Sermoneta ha letto il verbale con le dichiarazioni di Ankuta, la ragazza che, nel 2005, fu portata in Italia insieme alla sua amica Livia per prostituirsi. Avevano 15 e 16 anni all'epoca.

Livia fu ascoltata in aula nel vivo del processo. Ankuta no. Della ragazza si sono perse le tracce da anni. La sua testimonianza è contenuta nei verbali di interrogatorio acquisiti dalla corte. Ed è qui che si legge che, tra i clienti di Ankuta, spiccavano alcuni carabinieri e un uomo che la ragazza incontrò in seguito al bar, fuori dal Palazzo di giustizia di Viterbo.

"Ero con un ispettore che mi ha detto che quell'uomo lavorava in Procura - è scritto nel verbale -. Inoltre, Angela (la donna che avrebbe, secondo l'accusa, fatto da "custode" alle ragazze, ndr) mi ha detto che, tra i clienti, c'erano anche dei carabinieri, che però non sapevano che ero minorenne. Avevo i loro numeri di telefono memorizzati sul cellulare, tra le ultime chiamate".

Un fatto che, secondo i legali, è la prova più lampante che Livia e Ankuta non sono state ridotte in schiavitù. Se così fosse stato, dicono gli avvocati, avrebbero potuto chiedere aiuto anche ai loro stessi clienti-carabinieri. Ma non lo fecero mai.


"Le ragazze avevano scelto di prostituirsi"

Che le due baby-prostitute erano libere, a detta delle difese, emergerebbe da molti altri particolari. "Libera, innanzitutto, era stata la loro scelta di venire in Italia per prostituirsi - afferma l'avvocato Marco Russo, difensore dei due fratelli marocchini alla sbarra -. Livia cercò di far credere di essere stata costretta a lasciare la Romania, per andare a lavorare in una pizzeria a Viterbo. Ma fu lei stessa a dire al pm che le era stato offerto di fare la prostituta in Italia per 2mila euro al mese. A lei, come ad Ankuta. E loro avevano accettato".

Nessuna segregazione, dunque. Nessuna prigionia, secondo l'avvocato Russo (che ha monopolizzato l'udienza con le sue tre ore di arringa). Tant'è vero che le ragazze avevano due cellulari. Quello di Ankuta era addirittura intestato a lei.

E Livia, che aveva i genitori a Roma, a pochi chilometri di distanza, non ha mai provato a chiamarli, contrariamente a quanto faceva prima di arrivare a Viterbo. "Quando viveva in Romania con il nonno, non passava giorno che Livia non sentiva la madre e il padre - fa notare, ancora l'avvocato -. Se era così disperata, perché non ha cercato la sua famiglia?".


"Livia e Ankuta erano libere di uscire"

Anche le intercettazioni, secondo le difese, smentiscono l'accusa. Specie quando, al telefono, Livia dice di "essere a spasso", "in giro". E succede più di una volta. "Segno evidente - afferma Russo - che Livia e Ankuta erano libere di uscire e di fare tutto quello che volevano". Compreso dormire con i loro "aguzzini", come faceva Livia con uno degli imputati, Samuel Cola. Il che, a detta del suo difensore Mario Murano, potrebbe far sorgere dei ragionevoli dubbi sulla violenza sessuale perpetrata da Cola su Livia.

Per ognuno dei propri assistiti, le difese hanno chiesto l'assoluzione, con formula piena o, quanto meno, derubricando il reato di riduzione in schiavitù in quello di sfruttamento della prostituzione.

Il processo proseguirà il 22 gennaio e il 26 febbraio, con le arringhe degli altri avvocati.


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