::::: Tutto low cost  Tutto viaggi  Tutto automobili
Logo TusciaWeb
Archivi | Mailing | Contatti | Primo | Provincia | Roma Nord | Lazio | Sport | Flash | Forum |Dossier | Gallery| TwTv| Corriere2000|





L'opinione del sociologo Mattioli
La "sfortuna" di avere un padre professore
di Francesco Mattioli
Viterbo - 2 dicembre 2010 - ore 3,20

Francesco Mattioli
- Mio padre era un colonnello medico dell’esercito italiano e l’ultimo professore universitario in famiglia è stato Pietro Egidi, ottant’anni fa, il che mi fa essere sicuramente fuori della mischia.

Ma, da docente universitario, questa storia della parentopoli, da tutti vituperata – politici, giornalisti, opinionisti, studenti, rivoluzionari, conservatori e via proclamando – mi sembra una colossale idiozia che, sotto sotto, appare persino incostituzionale.

Intanto, la legge già prevede che nei concorsi pubblici tra commissari e candidati non vi debbano essere rapporti di parentela.

Ma mi si deve spiegare per quale motivo un giovane, bravo, capace, meritevole, che ha la “sfortuna” di avere una parentela di terzo grado con un consigliere d’amministrazione della Sapienza debba andare a vincersi un concorso per forza a Cassino, a Cosenza, a Sassari o a Trento.

Dice: eh, vige il detto “per colpa di qualcuno, non si fa credito a nessuno”, per cui paga l’innocente per il peccatore e di peccati nell’università i baroni ne hanno fatti tanti…

Beh, allora introduciamo dei correttivi affinché i commissari non barino: avendo fatto parte di tantissime commissioni di concorso universitario, voglio dare assicurazione che è possibile introdurre meccanismi concorsuali in grado di evitare raggiri e favoritismi.

Il signor Berlusconi plaude: “abbiamo sconfitto parentopoli”. Già, invece, nel suo, parentopoli viaggia a mille all’ora…. Chissà perché dovrebbe risultare lecito che un farmacista erediti la farmacia del padre, il medico il portafoglio pazienti dello zio, e qualche volta che il figlio erediti in banca o in azienda il posto del padre.

Dice: ma nel privato ognuno fa quel che gli pare. Che significa? Che se il figlio del farmacista è un ignorante non fa nulla? E lo stesso vale per il nipote del medico? O per il figlio del cassiere?

O l’unico “rischio” è che il figlio del professore universitario debba per forza essere un somaro mandato avanti a spinte? Non potrebbe essere che, affiancato dal padre, si sia innamorato di quella materia, che l’abbia potuta studiare con assiduità, che abbia potuto far tesoro di una competenza quotidiana, di una fornita biblioteca di casa?

Non potrebbe essere che il figlio del docente universitario, proprio per questo, possa essere diventato persino un genio, più e più ancora del padre? Eppure, una università dovrebbe privarsi di questo genio perché è un “figlio di”, che a questo punto è peggio che esser figli di N.N.?

Nell’università italiana ci sono stati dei “clan” familiari che hanno aiutato la cultura e la scienza a crescere, penso ad esempio ai Manacorda.

Tutto ciò mi sa di becero populismo, di grossolana demagogia alimentata per di più da alcuni media desiderosi di cavalcare l’ignoranza della massa, e incapaci di separare il grano dal loglio.

Per carità, gli scandali di parentopoli ci sono e ci sono stati all’università, eccome; io stesso ho rischiato di esserne vittima nella mia carriera universitaria. Ma è lecito, buttare – come si dice - il bambino assieme all’acqua sporca? E poi, un’altra domanda mi viene spontanea: ma parentopoli c’è solo all’università?

E se parentopoli è anche altrove, chi è che si è preoccupato con altrettanto ardore di denunciarla e di prendere i dovuti provvedimenti legislativi?

Francesco Mattioli


Copyright 2010 TusciaWeb - Chi siamo


Condividi

-