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Omicidio Rizzello - Gli avvocati di De Vito parlano di "buchi" nell'inchiesta
"Mancano gli accertamenti sulle celle telefoniche"
Viterbo - 7 dicembre 2010 - ore 3,00

La vittima, Marcella Rizzello
Giorgio De Vito
Mariola Henrycka Michta
- Omicidio Rizzello, mancano gli accertamenti sulle celle dei telefonini.

La difesa di Giorgio De Vito non ci sta. Dopo l'avviso di conclusione delle indagini, gli avvocati del 34enne napoletano accusato dell'omicidio Rizzello, Marcello Rezza e Gianfranco Annino, hanno iniziato a scandagliare gli atti. E, tra le maglie dell'inchiesta, avrebbero già individuato quelli che loro ritengono buchi.

Uno di questi riguarda i controlli sui cellulari di De Vito e della Michta. In particolare, sulle celle agganciate dagli apparecchi telefonici. Controlli mai eseguiti, secondo gli avvocati dell'arrestato. Né sui telefoni degli arrestati. Né su quelli delle persone più vicine a Marcella.

La donna fu trovata morta il 3 febbraio scorso, dal suo compagno, che ne scoprì il cadavere in un lago di sangue nella camera da letto della villetta in cui vivevano con la loro figlia Giada. Una bimba piccolissima, di un anno appena, che piangeva disperata accanto al corpo senza vita della mamma. Con l'accusa di omicidio in concorso finirono in manette De Vito e quella che, allora, era la sua compagna. Una donna polacca sulla trentina di nome Mariola Henrycka Michta, tuttora detenuta nel carcere di Civitavecchia.

Le indagini sulla cella agganciata dal cellulare dell'arrestato potrebbero essere decisive.

De Vito avrebbe raccontato infatti che la mattina del 3 febbraio passò prima alla Caritas. Poi tornò a casa e restò a dormire per tutto il giorno.

Prima di pranzo, però, intorno alle 12,30, avrebbe fatto alcune telefonate. Ed è su queste che la difesa del 34enne insiste. Perché, essendo state fatte proprio nella fascia oraria in cui è avvenuto il delitto, tra le 12,15 e le 13,15, potrebbero sovvertire il quadro accusatorio. Rivelando che De Vito, a quell'ora, non era in casa Rizzello.

Rimane, tuttavia, lo "scoglio" più grande. Quello del dna del 34enne, trovato nella villetta di via dei Latini, sotto forma di tracce di sangue. Una prova schiacciante. Che ha fatto sì che De Vito, il giorno stesso del fermo, fosse indicato dai carabinieri come "il sicuro responsabile dell'omicidio di Marcella Rizzello".

Gli avvocati non escludono che il loro cliente possa essere stato "incastrato", anche se, per ora, non hanno sufficienti elementi per dimostrarlo.

Restano, comunque, dell'idea che la perizia fatta eseguire sulle macchie di sangue in casa Rizzello sia stata parziale. Il dna della Michta, infatti, non è mai stato prelevato, contrariamente a quanto disposto, in un primo momento, dal gip Franca Marinelli. Un mancato prelievo che la difesa di De Vito ha mal tollerato.

Da qui, la richiesta degli avvocati di De Vito, di eseguire l'esame sulla Michta quanto prima e di integrare la perizia del medico legale. Ma l'eccezione fu rigettata in aula dal gip, perché il perito Saverio Potenza affermò che non serviva avere a disposizione il dna della Michta. Le uniche tracce di sangue sulla scena del delitto portavano alla vittima o a De Vito.

Rezza e Annino stanno valutando se chiedere il giudizio abbreviato o il rito ordinario. Avranno tempo fino al 17 dicembre per decidere.

Dopodiché il 13 gennaio, la Michta e De Vito dovranno tornare in aula, davanti al giudice, per la prima udienza del processo su uno dei delitti più efferati che siano mai stati commessi nel Viterbese.


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