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L'opinione di uno sporco comunista
Una debolezza "trasversale"
di Valerio De Nardo
Viterbo - 9 dicembre 2010 - ore 1,00


Valerio De Nardo
- Capiremo nei prossimi giorni se i fondi per il completamento della Trasversale Orte-Civitavecchia siano stati effettivamente cancellati o se verranno recuperati dalla perenzione o dove altro siano andati a finire.

A proposito: quelli per lo studio di fattibilità per l’interramento della ferrovia a Viterbo (600 mila euro), per la variante stradale di Grotte S. Stefano (1 milione 250 mila euro), per il nuovo casello autostradale della Teverina (3 milioni 600 mila euro) siamo certi che siano in sicurezza? O ce li eravamo addirittura già giocati prima?

E’ un dato che la manovra finanziaria proposta dalla giunta Polverini deve tenere conto delle pesanti misure decise dal Governo e solo parzialmente attenuate con l’approvazione della legge di stabilità.

Ciò comporta, inevitabilmente, dei tagli, importanti e significativi al bilancio regionale. Se nel Lazio si vuole cercare di salvare la Sanità, preservare alcune linee di intervento per il welfare, salvaguardare un livello essenziale del trasporto pubblico locale, è chiaro che bisogna tagliare altre spese. A pagarne le conseguenze non possono che essere i settori giudicati meno essenziali, le categorie elettoralmente più deboli, i territori più periferici.

Sia chiaro, non voglio dire che i tagli della Polverini siano ben fatti, dico che erano inevitabili e hanno agito penalizzando chi meno può alzare la voce e influire sulle decisioni.

Il definanziamento della legge regionale per la ristrutturazione dei teatri, la probabile consistente diminuzione dei fondi destinati dalla Regione alla promozione della cultura e dello spettacolo paiono rientrare nella filosofia tremontiana del “non si mangia con la cultura” (dimostrando peraltro ignoranza sull’importanza economica e occupazionale di questo Settore).

Quello che suggerisce la vicenda dei fondi per il completamento della Trasversale è invece la considerazione della debolezza che accomuna tutte le classi dirigenti viterbesi, mentre la vicenda Tuscia Expo ne costituisce l’espressione di una inadeguatezza a raggiungere i risultati.

In primo luogo ha responsabilità la classe politica: difficile discriminare fra le maggioranze e le opposizioni, dato che in questi ultimi anni le responsabilità istituzionali sono state equamente suddivise tra centrosinistra e centrodestra. Certo è più amaro che, mentre si paventa il ritorno del nucleare a Montalto di Castro, tagli alla sanità e alle infrastrutture del viterbese si realizzino proprio quando la filiera di governo è omogenea dal livello centrale a quello locale.

Ma non credo che le forze imprenditoriali, le associazioni sindacali, il mondo dell’università e finanche quello dell’informazione siano stati da meno. Ciascuno preoccupato di perseguire un proprio disegno particolare piuttosto che di fare “sistema” mentre tutti adoravano il feticcio di un aeroporto che, mai entrato davvero sulla pista di decollo della sua realizzazione, ha bloccato però ogni altro disegno di sviluppo e condizionato ogni altra opera di cui il territorio ha bisogno.

Quando venni a vivere a Viterbo, ormai quasi un ventennio fa, arte e cultura, termalismo e filiera agroalimentare e agrituristica erano le grandi linee sulle quali investire e da incentivare. Oggi colgo soltanto lo smarrimento di un futuro legato esclusivamente a quest’improbabile aeroporto.

Forse siamo la punta avanzata di quella che il Censis, nel suo ultimo rapporto annuale definisce una società passiva e indifferente entro la quale emergono comportamenti cinici di indifferenza e soprattutto lo scollegamento tra i diversi comparti di una comunità che si ripiega su se stessa e sembra non trovare ragioni per rimettere in moto una macchina bloccata.

In fondo non è così distante dalla nostra realtà ed esperienza la fotografia fatta dal Censis quando parla di evidenti manifestazioni di fragilità sia personali sia di massa: comportamenti e atteggiamenti spaesati, indifferenti, cinici, passivamente adattativi, prigionieri delle influenze mediatiche, condannati al presente senza profondità di memoria e futuro. E una società appiattita “fa franare verso il basso anche il vigore dei soggetti presenti in essa”.

E’ per questo che all’inconscio manca oggi la materia prima su cui lavorare: il desiderio. “Tornare a desiderare è la virtù civile necessaria per riattivare la dinamica di una società troppo appagata e appiattita”.

Ma noi, qui, vogliamo solo desiderare vedere decolli e atterraggi di là verso il Bulicame o vogliamo provare a desiderare qualcos’altro? Perché nel frattempo, mentre qui si discute, le risorse finanziarie pubbliche scelgono altre strade, incrociano altri desideri.

Valerio De Nardo


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