Riceviamo e pubblichiamo - La polemica innescata in questi giorni sul transito a doppio senso in via Marconi, obbliga il sottoscritto a intervenire, su una problematica che in questa città da diversi anni si sta dibattendo senza che nulla è stato risolto.

Il mio ragionamento non vuole essere di carattere politico. Ogni cittadino può pensarla politicamente come crede, ma ha il diritto democraticamente di esprimere il proprio pensiero.

Negli anni Novanta alcuni cittadini, per la salvaguardia del centro della città, tentarono, con una raccolta di cartoline da mandare all’allora sindaco Fioroni, di proporre una chiusura alle auto del centro storico della città.

Tale proposta non fu mai attuata, sia per il peso elettorale dei commercianti, ma soprattutto per la paura in termini di consenso dell’allora maggioranza.

Ora a distanza di vent’anni, nulla è cambiato. Si spendono soldi della cittadinanza, si evita di valorizzare il centro.

Sono stato colpito dalla difesa di questa maggioranza dal consigliere Ubertini, giovane politico che dovrebbe ragionare in termini diversi.

Mi domando in questa realtà nulla può cambiare?

Nella maggior parte delle città italiane dove il centro storico è salvaguardato e chiuso, l’economia va a rotoli? I commercianti chiudono la loro attività? Certamente no.

E allora chiedo alla classe politica che governa la città, non possiamo salvaguardare il centro?

Inculcare l’abitudine ai nostri concittadini di vivere il centro senza automobile?

Inserire Viterbo nei circuiti turistici della vicina Capitale d’Italia per far ammirare le bellezze di questa città?

Domando (e gradirei una risposta) al sindaco di Viterbo e alla sua maggioranza, non possiamo con il sacrificio di tutti far divenire Viterbo una città normale?

Dove si tengano in considerazione i costi sostenuti dalla cittadinanza per migliorare le vie del centro, senza deturpare i lavori che vengono fatti con il passaggio dei mezzi?

Una classe politica che si predica innovativa può avere uno scatto per cambiare tale città?

Alle future generazioni l’ardua sentenza.

Rodolfo Rinaldi