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L'opinione di un candido democristiano
Come la chiesa cattolica...
di Renzo Trappolini
Viterbo - 29 gennaio 2010 - ore 3,50

Renzo Trappolini
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- C’è una organizzazione sociale che, con i suoi consigli, collegi cardinalizi o episcopali, circoscrizioni (diocesi) e proconsoli (vescovi) dura da più di duemila anni.

E’ la chiesa cattolica che molte sue regole, gerarchie e riti aveva mutuato dall’impero romano. Tratto comune e caratteristico delle due organizzazioni, l’ecclesiastica e l’imperiale, la fonte del diritto e del potere anche territoriale in una persona, cioè il papa e l’imperatore.

Le società nazionali dell’Occidente si sono sbizzarrite nel corso dei secoli ad imitarne l’architettura istituzionale con i re “per volontà di Dio”, i parlamenti solo consultivi e comunque nominati, i feudatari, valvassori e vescovi principi investiti dal sovrano e a lui debitori della fedeltà dei sudditi.

Di tanto in tanto, qualche ribellione a volte trasformata in rivoluzione, la quale, come tale, ha sempre finito col mangiare i suoi figli.

La conservazione è stata sempre preferita infatti alla innovazione, alla rottura degli equilibri, alla ribellione e al cambiamento degli assetti. Occupazione questa di intellettuali, filosofi, poeti, mentre pochi ardimentosi – appoggiandosi però al malcontento che dovunque e sempre c’è, senza interruzioni – cambiavano leggi e poteri prima di assistere (quando gli andava bene) al ritorno quasi ai punti di partenza.

Ci fu, ad esempio, la rivoluzione di Mani pulite, vagheggiata dalla gioiosa macchina da guerra dei comunisti di Occhetto, ma il potere finì ad uomini di partiti cancellati dall’ondata pulitrice, seppur accanto all’ex Msi e alle estreme della sinistra. Rivoluzione anche contro il centralismo di Roma ladrona per ridare autonomia con il federalismo ai popoli locali.

E’ seguita l’abolizione del diritto dei membri di quei popoli, i cittadini, a indicare con le preferenze i Parlamentari “locali”.

Deputati e senatori non eletti ma nominati… da Roma, dai proprietari politici e legali delle nuove formazioni politiche, tanto padroni che, quando decidono di costituirne altre, si portan dietro simboli e cassa, poteri di firma depositati in banca e lotte tra tesorieri (leggere la corrispondenza tra i signori delle finanza Pd, Ugo Sposetti e Mauro Agostani, il quale ci ha pure scritto un libro).

Non basta, perché, al potere centrale ci si rivolge, come per i feudatari e i vescovi, per le “nomine” (altro che elezioni) di presidenti e consiglieri regionali e provinciali, all’insegna dell’autonomia, però dai territori.

Così vien da pensare osservando i riferimenti di questi giorni “a Roma” per far indicare ai viterbesi chi li governerà, dalla Pisana o da Palazzo Gentili.

Seppur col rischio del clientelismo atavico, il Pd aveva giurato sulle Primarie. Peccato che ad esse si ricorra solo in via emergenziale.

Dal canto suo, invece, il deputato Mario Valducci (così è stato scritto), con riferimento alla senatrice Allegrini, ammonisce che “a prendere i voti non è lei, è Silvio Berlusconi e le persone che devono rappresentare il Pdl nelle istituzioni non possono essere lontane dai suoi princìpi”.

Se non è un richiamo al supremo magistero, come in un’organizzazione ecclesiastica, poco ci manca.

Ma si sa, ci son sempre i più realisti del re e, come accadde con Pio IX alla vigilia della caduta del potere temporale, a qualcuno può venire in mente di ridichiararare un dogma di politica infallibilità. Da Roma.

Renzo Trappolini

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