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Viterbo - Il procuratore aggiunto di Palermo al Salotto delle Sei - Fotocronaca
Ingroia infiamma la platea
Viterbo - 30 gennaio 2010 - ore 17,00

Antonio Ingroia
- Grandissimo successo per la ripresa del Salotto delle Sei, che ha inaugurato ieri la nuova stagione con l’appuntamento dedicato al tema della giustizia che ha visto ospite in sala il procuratore aggiunto di Palermo Antonio Ingroia.

La partecipazione ha spiazzato ogni più generosa aspettativa, il pubblico ha infatti superato le trecento presenze con alcuni dei partecipanti costretti a udire la conferenza dall’esterno della sala.

Da tempo immemore non si vedeva a Viterbo una tale partecipazione della cittadinanza, un appuntamento tanto atteso e così intensamente vissuto con una moltitudine di pubblico smossa dal desiderio di conoscere, mossa dalla sete della cultura.

Nella sala gremita l’appuntamento si è aperto con una pungente e acuta introduzione di Pasquale Bottone, conduttore ed ideatore del Salotto delle Sei , che gioca nel suo prologo la carta dell’ironia strappando il sorriso a Ingroia che nel momento in cui ironizza sul fatto che i magistrati siano paradossalmente diventati i colpevoli per molti del clima teso che si respira nel paese.

In un’atmosfera esaltante e carica di interesse, il pubblico ha partecipato emotivamente al veloce e coinvolgente “botta e risposta” tra Bottone e Ingroia; dibattito rapido nei tempi ma puntuale nell’esplicazione dei temi trattati, nato dalle incalzanti domande del conduttore.

Il dibattito ha toccato diversi temi, aprendosi con il tema del ddl sulle intercettazioni, passando alla discussione dei rapporti tra la mafia e il mondo politico fino ad arrivare alla legge sul processo breve.

Il magistrato, partendo dalla presentazione del suo libro “C’era una volta l’intercettazione” (Stampa Alternativa, 2009), ha illustrato l’importanza “storica” delle intercettazioni come strumento di indagine nella lotta alla mafia, i limiti che lo Stato pone all’utilizzo di queste in termini di costi e autorizzazioni, ha smascherato la campagna di disinformazione fatta a riguardo da media e governo, ha fatto un rapido excursus sui notevoli benefici che da queste si possono trarre a fini processuali, siano esse intercettazioni ambientali o telefoniche.

Il dibattito si è poi spostato sul ddl 1880, il processo breve, che Ingroia ha seccamente definito “Breve morte del processo”, “Esempio di non giustizia” che porterà ad una rapida chiusura dei processi senza sentenza di condanna o assoluzione , chiusi in virtù del fatto che saranno prematuramente caduti in prescrizione.

Il tema conclusivo che Ingroia affronta è forse il più preoccupante in termini di attualità. Il magistrato sostiene infatti che l’Italia è in piena "emergenza democratica". Alcuni principi fondamentali della nostra costituzione sono sotto stato d’assedio.

E' minacciato il valore di autonomia e indipendenza della magistratura, che non va letto come il privilegio della casta dei magistrati, ma come diritto dei cittadini a essere tutelati e giudicati da una magistratura libera di operare secondo regole ben precise e senza costrizioni.

E' minacciato il diritto di cronaca e di informazione, sancito dall’art. 21 della nostra costituzione, i cittadini hanno diritto a essere informati e a conoscere come vengono amministrati i poteri pubblici di uno Stato democratico, art. 21 è minacciato dal ddl sulle intercettazioni.

E' minacciato poi, e questo è indubbiamente il caso più grave in merito all’emergenza democratica, il principio di uguaglianza, punto fondamentale della nostra carta costituzionale purtroppo costantemente attaccato e minacciato da ogni ddl, sembra assurdo come a ogni ddl debba intervenire la Corte Costituzionale a sentenziare l’incostituzionalità della norma da varare, norma che il più delle volte tende verso una giustizia “classista”.

Per tutto l’incontro Ingroia non si è sottratto ad alcuna domanda, non ha glissato alcun argomento, è stato pronto anzi alla spiegazione dettagliata di ogni tema proposto, al resoconto dei fatti per come sono accaduti, all’analisi delle luci e delle ombre del sistema giuridico italiano.

Poi stretto nella morsa degli impegni, scaduto quel poco tempo a disposizione, tra il caldo applauso del pubblico, è volato subito a Palermo a indossare quella toga a lui cara, come ha detto lui stesso: non penso alla mia sicurezza, penso al mio lavoro.

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