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Viterbo - Interviene Christiana Soccini, responsabile della Lav
La verità sui maltrattamenti agli animali
Viterbo - 26 giugno 2010 - ore 21,00

Riceviamo e pubblichiamo - Constatiamo che i nostri negativi commenti alla edizione della Nuova Fiera di Bagnaia hanno sortito una grande reazione, sia fra i promotori, sia fra le persone che numerose si sono indignate con noi.

Non vogliamo discutere degli allevamenti, biologici o meno, di animali destinati ad essere mattati per consumo umano. Allevato in uno spazio piccolo o un po’ più ampio per un animalista la sostanza non cambia: gli animali non si allevano né si uccidono per essere mangiati. Nell’era, però, della irrisolta fame, dell’alterazione ambientale e dell’inquinamento globali, ma anche perché un animalista è necessariamente anche ecologista, solo per accennare ad un argomento così importante qual è quello del cibo, ci limiteremo a invogliare i lettori ad intraprendere un viaggio all’interno del sito www.cambiamenu.it cui affiancare, per approfondire, i Rapporti Fao, Wupperthal, Istat, ecc.

Non esistono modi diversi o diverse prospettive dell’essere animalisti. Per un animalista gli animali non solo non si mangiano ma nemmeno si espongono come merci, mostri o zimbelli, né si vendono come tali. Gli animali si lasciano nel loro ambiente, non li si priva della loro libertà, non li si alleva come patate, non ci si specula. Se proprio ci si sente adeguati alla convivenza con una specie animale diversa dalla propria, si è certi di essere in grado di soddisfare l’intera gamma di bisogni che essa possiede e ci si impegna in qualsiasi caso a farlo per la vita, allora, ci si prende cura di esemplari bisognosi e appartenenti a specie che hanno subito volontariamente un processo millenario di domesticazione (da cui sono esclusi gli animali d’allevamento e da cortile che, per definizione, non sono domestici).

Siccome abbiamo voluto giudicare la circostanza della Nuova Fiera di Bagnaia, già decretata a suo tempo come deceduta dallo stesso marketing essendosi modificati i tempi, i gusti, i bisogni delle persone, limitiamoci quindi a trattare di commercio di animali nel suo complesso. E dato che di delirio si tratta (soprattutto d’informazione), faremo l’en plein dando i numeri.

Prima dell’allevamento fu la cattura: fino agli Anni Settanta milioni di miliardi di animali (mammiferi grandi e piccoli, uccelli, rettili e anfibi, farfalle e altri invertebrati) venivano catturati direttamente in ambiente, infilati alla bell’e meglio in scatole, tubi e sacchetti per puoi giungere con una mortalità del 90% a destinazione e in condizioni eufemisticamente pietose per l’altro 10%. Il mondo civilizzato si indignò e perciò fu la Convenzione Internazionale sul Commercio di Specie in Pericolo CITES, norma che, come esplicita il nome, regolamenta solo il commercio di animali in pericolo ma non lo vieta.

Molti Paesi – ma oggi anche Enti locali - fecero di più dotandosi di divieti indistinti di detenzione di animali esotici (p.e. Norvegia) o emanarono norme restrittive per controllarne la detenzione, come fece la Svizzera che, peraltro, nemmeno aderisce alla Cites ma fu il primo paese al mondo a dotarsi di rigidi regolamenti per il commercio e la detenzione.

Poi venne l’era dell’allevamento, che non sconfisse le catture in natura dei riproduttori né la questione dell’animale allevato come merce e, per la maggior parte, in condizioni mostruose come evidenziano quotidianamente le operazioni dei corpi di vigilanza nazionali e internazionali. L’allevamento di rettili, uccelli, piccoli mammiferi è, infatti, per la quasi totalità casalingo ed è proprio questo un aspetto del commercio di animali molto difficile da controllare poiché si svolge su canali globalizzati coinvolgendo i più disparati Paesi mondiali e perché solo in pochissimi di questi esistono norme a tutela degli animali.

I Rettili sono allevati soprattutto nei Paesi dell’est Europa e dell’Asia, da dove partono verso i negozi di animali stipati senz’acqua né sottofondo adeguato in rudimentali scatoline di plastica trasparente… quelle dove si confezionano i prodotti di gastronomia come la cicoria pronta, i peperoni grigliati e gli gnocchi alla romana. I Paesi africani o quelli del sud-est asiatico invece forniscono anche animali rari o sconosciuti, prelevati in natura generalmente con metodi ambientalmente devastanti (si pensi alle bombe al cianuro usate per catturare pesci d’acquario e che hanno distrutto la quasi totalità della barriera corallina indonesiana) su cui è facile confondere e contraffare certificati di provenienza lecita… un po’ come accade per i prodotti alimentari o di grandi marche taroccati e spacciati per genuini.

Così, dopo giorni di vagabondaggio, specie note e ignote giungono lecitamente o meno sul mercato. Le cifre parlano chiaro, mediamente oltre il 60% degli organismi giunge morto a destinazione. Per alcuni gruppi faunistici la percentuale sale sino al 99%. Nei casi di elevata mortalità, il destinatario rifiuta la partita, che riprende la via a ritroso, costringendo gli animali a infiniti viaggi dove trovano la morte fra patimenti e stenti. Per quelli che superano le frontiere, dopo uno o due anni passati in un acquario, teca o gabbia – per lo più allestiti e gestiti senza alcuna cognizione di causa - la percentuale di mortalità raggiunge il 100%.

Dal recentissimo Rapporto 2010 Zoomafia LAV-forze dell’ordine: “Il traffico illecito di fauna esotica protetta interessa circa un terzo di quello legale, con un business quantificabile in circa 500 milioni di euro l’anno” significa che tale cifra deve essere moltiplicata per tre per avere una stima in difetto della quantità di
denaro mossa da tale commercio. Inoltre il Rapporto rivela che il commercio di animali selvatici autoctoni come cardellini, serpenti, farfalle, coleotteri, ecc., “muove un giro d’affari di circa 5 milioni di euro l’anno”.

Ma non è solo il mondo degli esotici e dei selvatici italiani a fare cassa. Sempre dall’ultimo Rapporto Zoomafia LAV 2010: “sono aumentati gli interventi e le operazioni di contrasto contro l’importazione illegale di cuccioli dai paesi dell’Est: in 15 mesi, solo in base alle notizie di stampa, sono stati sequestrati 886 cuccioli, centinaia di microchips-trasponditori e libretti sanitari, farmaci, dispositivi medici, e sono state denunciate 41 persone, tra trasportatori, allevatori e commercianti.”

Se non chè accenniamo anche all’aspetto della potenziale contaminazione ecologica dovuta all’introduzione di organismi esotici in ambiente, abbandonati in buona fede da acquirenti irresponsabili o dagli stessi commercianti in mala fede (vedi il caso nutria, rilasciata in ambiente negli Anni Settanta dagli allevatori): patogeni o specie esotiche rilasciate in libertà che hanno trovato nicchie ecologiche libere e hanno potuto riprodursi colonizzando ambienti a loro estranei e che hanno importato loro malgrado patologie spesso problematiche per le già sofferenti specie nostrane.

Ha fatto scuola l’introduzione di milioni di tartarughine dalle guance rosse vendute come nane a pochi euro di cui restano sulle spalle degli animalisti gli adulti abbandonati, troppo grandi e bisognosi di cure per poter essere gestiti in casa.

L’abbandono di questi organismi fu così massiccio che ottenemmo insieme alla comunità scientifica – contro la volontà della lobby dei commercianti – il divieto europeo di introduzione, allevamento e commercio di questa specie. Purtroppo i commercianti corsero subito al riparo sostituendo Trachemys scripta elegans sul mercato con alcune delle altre fra le 900 specie di tartarughe acquatiche note al mondo.

Come dire… non facciamoci mancare guadagni anche se ciò significa riproporre alla comunità un problema appena risolto. Purtroppo il taglio allarmistico dato alla questione “esotici” individua di specie in specie il capro espiatorio senza mettere sotto accusa la radice del fenomeno: il commercio di animali.


Christiana Soccini
Responsabile Territoriale Lav Onlus


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